Diritto di accesso ad internet e digital divide

Diritto di accesso ad internet e digital divide

Il diritto di accesso ad internet e la sua concreta implementazione costituiscono fattori di sviluppo imprescindibili per l’intera società.

Tanto nel panorama giuridico nazionale quanto in quello internazionale, difatti, la possibilità di accedere in rete è considerata un vero e proprio diritto fondamentale della persona ed una condizione utile al suo pieno sviluppo individuale e sociale.

Il Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite ha da tempo ricompreso l’accesso alla rete nell’alveo dei diritti fondamentali dell’uomo di cui all’art 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino (risoluzione A/HCR/20/L.13), qualificando Internet come uno degli strumenti più importanti di questo secolo per aumentare la trasparenza, per accedere alle informazioni e per facilitare la partecipazione attiva dei cittadini nella costruzione delle società democratiche.

Similmente, nella Dichiarazione dei diritti di internet, varata in Italia nel luglio 2015, la rete si configura come uno spazio fondamentale per l’autorganizzazione delle persone e come uno mezzo essenziale per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale.

Dal 2016, inoltre, è in vigore il Regolamento (UE) 2015/2120 recante “misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta” che modifica la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica ed il Regolamento europeo relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione.

La situazione emergenziale e le restrizioni innescate dalla pandemia Covid-19 hanno senza dubbio stimolato un’ulteriore riflessione su tale diritto, auspicando il riconoscimento di un autonomo diritto costituzionale di accesso alla rete.

A ben vedere, tale riconoscimento fu già oggetto di una proposta di Stefano Rodotà il quale, in occasione del primo Interne Governance Forum nel 2010, suggerì l’inserimento dell’art. 21 bis al fine di attribuire a tutti un eguale diritto ad usufruire della rete; negli anni, la modifica del giurista è stata rilanciata da diversi parlamentari con proposte di riforma nella medesima direzione.

Oggigiorno internet è uno strumento essenziale per l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti tra cui il lavoro e l’istruzione: fenomeni come lo smart working e il distance learning, del resto, hanno recentemente subito una forte accelerazione e buona parte delle attività produttive, sociali e culturali del Paese sono state oggetto di un trasferimento “in remoto”.

Si può affermare che il diritto di accesso ad internet rinviene il suo fondamento normativo nell’art. 3 secondo comma Cost. essendo propulsore di uguaglianza sociale, in un’ottica di inclusione ed emancipazione.

Si tratta, cioè, di una regola giuridica posta dall’ordinamento affinché tutti abbiano la stessa possibilità di accesso alla rete, in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate.

Al fine di rendere effettivo tale diritto, dunque, le istituzioni pubbliche devono garantire i necessari interventi strutturali ed infrastrutturali capaci di contrastare e superare ogni forma di divario digitale atteso che non avere la possibilità o la capacità di poter accedere ai contenuti di internet significa non poter esercitare appieno la maggior parte dei diritti collegati alla cittadinanza.

L’espressione “digital divide”, invero, si identifica con la divisione della popolazione nell’accesso ad internet: una forma di disuguaglianza sociale che cominciò a diffondersi negli anni novanta dello scorso secolo, fratturando sempre più la società e aumentando il divario socio-economico e culturale.

Non si tratta, però, di una mera distinzione tra “haves and have-nots”, bensì di una condizione più ampia di diversità dovuta a molteplici fattori: territoriali, economici, culturali, anagrafici e tecnologici.

Non vi è da stupirsi che le persone maggiormente minacciate dall’esclusione digitale appartengano a ceti sociali più svantaggiati: si tratta di soggetti che vivono in condizioni di povertà, anziani, donne non occupate, disabili, immigrati e di tutti coloro che – essendo in possesso di bassi livelli di scolarizzazione e di istruzione- non sono in grado di utilizzare gli strumenti informatici.

Il divario digitale presenta una struttura bidimensionale: ad una dimensione cognitiva, che presuppone l’assenza di conoscenze informatiche minime da parte dell’individuo, si affianca una dimensione infrastrutturale connessa a carenze di strumenti telematici necessari a consentire un’efficace navigazione.

L’evolversi del fenomeno, pertanto, appare influenzato da due variabili: il livello medio di competenze necessarie all’utilizzo funzionale delle nuove tecnologie ed il livello di diffusione delle infrastrutture di rete.

La prima non può evidentemente prescindere da interventi in tema di alfabetizzazione digitale e formazione che riformulino i programmi scolastici e garantiscano una riqualificazione professionale dei lavoratori.

A tal proposito, giova menzionare il recente progetto “Operazione Risorgimento Digitale” promosso da Tim in collaborazione con la Commissione europea, i ministeri per la Pubblica Amministrazione, dell’Istruzione e della Giustizia, ed altre istituzioni, fondazioni, associazioni di categoria e realtà del terzo settore.

Si tratta, in sostanza, di una serie di iniziative volte ad abbattere il digital divide e superare il gap rispetto ad altri Paesi europei: una scuola di Internet aperta a tutti i cittadini, un percorso formativo per i consumatori digitali, un’iniziativa ad hoc per avvicinare i docenti alla didattica “ibrida”, un corso per l’acquisizione delle competenze da parte dei lavoratori ed infine una piattaforma di e-learning per accompagnare i manager e dipendenti della PA nella rivoluzione digitale.

Quanto alla seconda variabile, essa attiene ai necessari interventi infrastrutturali legati per lo più alla diffusione capillare di connessioni a banda larga o ultra-larga.

In considerazione delle rilevanti implicazioni del divario digitale, tale fenomeno ha interessato anche la giurisprudenza di merito e quella comunitaria che, a più riprese, hanno riconosciuto l’esistenza di un “danno da digital divide” provocato dalla violazione del diritto di accesso ad internet.
Per i giudici nazionali e per la Corte di Strasburgo, difatti, la lesione di tale diritto cagiona un danno non patrimoniale in termini di perdita di chance di inclusione: un nocumento alla libera realizzazione della persona nel cyberspazio.

Una sentenza del giudice di pace di Trieste del 2013, ad esempio, ha ammesso la sussistenza in capo al danneggiato di una condizione di oggettiva disuguaglianza dovuta alla impossibilità di fruire dei servizi di comunicazione telefonica e internet sostenendo che l’inadempienza del fornitore, pur non incidendo sulla salute (intesa in senso stretto) del danneggiato, avesse reso difficoltoso lo svolgimento delle attività quotidiane.

Con la pronuncia Jankovskis c. Lituania del 2017, invece, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Lituania per aver impedito ad un carcerato l’accesso a Internet al fine di seguire un corso universitario online promosso dal Ministero.

La Corte, in tale occasione, ha evidenziato il “valore di Internet come servizio pubblico” e la sua “importanza per il godimento di una serie di diritti umani“.

Ne consegue un legame sempre più stretto tra libertà fondamentali dell’individuo e diritti connessi all’utilizzo delle tecnologie, quale appunto l’accesso ad internet.

Si può agevolmente sostenere, difatti, che la rete è diventata un vero e proprio elemento di congiunzione dell’uomo ad una nuova dimensione partecipativa

L’inarrestabile crescita ed evoluzione della tecnologia e delle potenzialità espresse dalla rete sono dunque il simbolo della nuova società dell’informazione.

Tuttavia, occorre scongiurare il rischio di limitare tali opportunità soltanto in favore di pochi privilegiati che sono nelle condizioni di fruire di tali risorse, a discapito dei c.d. “esclusi digitali” che non hanno le medesime possibilità.

Lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri Conte ha recentemente sottolineato il ruolo cruciale che la rete gioca nelle democrazie e nelle economie moderne e la necessità di garantire un reale coinvolgimento di tutta la popolazione.

Ciò significa che il contrasto al digital divide è e resterà al centro dell’agenda politica nazionale nell’ottica di un adeguamento del sistema di leggi ordinarie e, se del caso, costituzionali che tenga conto dei bisogni del terzo millennio.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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