Disapplicazione dei regolamenti amministrativi da parte del Giudice Amministrativo

Disapplicazione dei regolamenti amministrativi da parte del Giudice Amministrativo

I regolamenti amministrativi sono atti formalmente amministrativi perché provenienti da una Pubblica Amministrazione, ma sostanzialmente normativi, data la loro portata generale e astratta e il loro contenuto innovativo rispetto all’ordinamento giuridico.

Proprio le predette caratteristiche, consentono di distinguere i regolamenti dagli atti amministrativi generali. Tali atti, pure essendo generali, si presentano come concreti e non hanno un contenuto innovativo. Difatti sono emanati avendo di mira la regolazione di una vicenda concreta, esaurita la quale non sono più suscettibili di applicazione. I destinatari di tali atti inoltre, pur essendo indeterminati ex ante, sono individuabili ex post.

Di converso i regolamenti hanno una portata innovativa dell’ordinamento giuridico, i destinatari degli stessi sono indeterminati sia ex ante che ex post e possono essere applicati indefinite volte.

Sull’esercizio del potere regolamentare ha inciso la riforma del titolo V della Costituzione ad opera della l. cost. 3 / 2001. L’art. 117, co. 6 della Cost. conferisce ora il potere regolamentare allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle Regioni e alle Regioni nelle altre materie. Infine Comuni, Province e Città metropolitane possono emanare regolamenti per disciplinare e organizzare le funzioni loro attribuite. Altri poteri regolamentari sono previsti e attribuiti dalle discipline di settore.

Vi sono molti criteri per classificare le varie tipologie di regolamenti, per esempio in base all’organo che li ha emanati, è possibile distinguere i regolamenti statali da quelli regionali, tra i primi è possibile anche distinguere tra governativi, ministeriali e interministeriali. La legge n. 400 / 1988 sui regolamenti governativi, li disciplina in base alla loro funzione in attuativi, esecutivi, indipendenti, d’organizzazione e di delegificazione.

I regolamenti in esame sono annoverati tra le fonti secondarie del diritto, di guisa che nell’ambito della gerarchia delle fonti si collocano in posizione subordinata rispetto agli atti normativi unionali, alla Costituzione e alle leggi costituzionali, alla legge ordinaria e agli atti ad essa equiparati.

Occorre dunque domandarsi quale possa essere la tutela per i singoli pregiudicati a fronte di un regolamento illegittimo, magari perché in contrasto con una fonte subordinata o per vizi inerenti la procedura per la loro adozione.

La questione appare problematica principalmente in ragione di due considerazioni.  In primis la doppia natura dei regolamenti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi, pone il problema di capire se vadano attivati i rimedi previsti per l’impugnazione degli atti amministrativi o quelli per gli atti normativi.

In secondo luogo si registra un problema di legittimazione ad agire. Tra le condizioni dell’azione infatti, è annoverato l’interesse ad agire, principio questo ricavabile dall’art. 35 del c.p.a. sui ricorsi inammissibili per carenza di interesse e dall’art. 100 c.p.c., applicabile in virtù del rinvio di cui all’art. 39 c.p.a.. A fronte della portata generale ed astratta dei regolamenti, non si vede come i privati possano vantare un interesse attuale e concreto e soprattutto differenziato, tale da legittimarli ad agire.

E’ pacifico in giurisprudenza che i rimedi attivabili avverso i regolamenti illegittimi, siano quelli previsti per la tutela avverso gli atti amministrativi e che la giurisdizione spetti al giudice amministrativo. Nemmeno sarebbe pensabile l’impugnazione dinnanzi alla Corte Costituzionale ex art. 134 Cost., considerato che non sono ivi annoverati tra gli atti suscettibili del giudizio di costituzionalità.

Rispetto al secondo profilo, è emersa in giurisprudenza la tendenza a distinguere tra regolamenti- azione e regolamenti – volizione.

I primi sarebbero quelli contenenti disposizioni immediatamente lesive e sarebbero pertanto immediatamente impugnabili. Semmai gli atti successivamente e medio – tempore adottati in applicazione del regolamento impugnato, potrebbero essere a loro volta impugnati con motivi aggiunti ex art. 43 del c.p.a., che ora consente accanto all’introduzione di motivi nuovi, anche l’impugnazione di domande nuove purché connesse.

I regolamenti afferenti invece al secondo tipo, non hanno portata lesiva immediata e pertanto sono impugnabili soltanto e congiuntamente agli atti attuativi.

Si è posta pure la questione in giurisprudenza se il giudice possa disapplicare i regolamenti non tempestivamente impugnati nel giudizio sottoposto al suo vaglio.

Stando ad un primo e risalente orientamento, al GA non spetterebbe un simile potere in considerazione del fatto che nessuna norma lo prevede, a differenza dell’art. 5 LAC per il giudice ordinario, perché sarebbe un modo per eludere i termini previsti per l’impugnazione e perché si porrebbe un problema di certezza del diritto, se nonostante la scadenza dei termini per impugnare, ai giudici residuasse sempre e comunque il potere di disapplicare.

Secondo l’orientamento più recente emerso in giurisprudenza, il GA ben può disapplicare i regolamenti illegittimi, tale potere è un precipitato del principio iura novit curia, tra l’altro era già ammesso pacificamente nelle ipotesi di provvedimenti in rapporto simpatico/antipatico coi regolamenti per ottemperare ai vincoli derivanti dal diritto comunitario, infine per analogia con l’art. 5 LAC. D’altra parte se il GO può disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, non si vede perché non dovrebbe poterlo fare anche il GA, che è l’organo naturalisticamente deputato a conoscere degli effetti e della validità degli atti amministrativi.

La giurisprudenza maggioritaria appare aderire a questa seconda tesi, tanto che si è addirittura posta la questione se la disapplicazione sia divenuta il mezzo principale di impugnazione dei regolamenti ovvero essa si ponga in rapporto di alternatività rispetto all’impugnazione.

La questione della tutela avverso i regolamenti è strettamente connessa al problema dell’estensione soggettiva e oggettiva del giudicato delle sentenze con cui l’autorità giudiziaria si sia pronunciata sui loro effetti.

E’ evidente che se il regolamento non è stato impugnato, il giudizio di illegittimità perpetrato ai soli fini della sua disapplicazione è emesso incidenter tantum, per cui nemmeno si pone un problema di estensione del giudicato. Non potrebbe nemmeno sostenersi il contrario, data la vigenza anche nel processo amministrativo del principio della domanda.

Diverso è a dirsi per i giudizi in cui sia stato impugnato un regolamento poi dichiarato illegittimo. Considerata la portata generale e astratta dei regolamenti, è ragionevole concludere che in deroga al principio di cui al 2909 c.c., la pronuncia abbia efficacia erga omnes ed ex tunc, tale conclusione è imposta anche dall’esigenza di certezza del diritto.

Rispetto invece all’estensione oggettiva del giudicato è controverso se l’illegittimità del regolamento si riverberi sugli atti attuativi alla stregua di un vizio caducante ovvero viziante. Nel primo caso gli atti sarebbero automaticamente illegittimi e non andrebbero impugnati, nel secondo sarebbero soltanto viziati e tale vizio andrebbe fatto valere con un apposito giudizio. La giurisprudenza appare non avere aderito aprioristicamente a nessuna delle tue tesi, piuttosto il tipo di vizio dipenderebbe dalla sussistenza o meno di un rapporto di stretta necessarietà tra i due atti e quindi andrebbe vagliata caso per caso.

Data la portata estensiva del giudicato, occorre a questo punto vagliare la  questione della tutela dei controinteressati.

Generalmente sono tali quei soggetti che traggono vantaggio dal provvedimento impugnato e vantano pertanto un interesse opposto, rispetto a quello del ricorrente principale. E’ discusso se essi vadano individuati in base al criterio formale e cioè sono tali coloro che sono nominativamente indicati nel provvedimento impugnato, oppure sostanziale per cui sono tali anche coloro che sono inequivocabilmente individuabili dal tenore del provvedimento. Quella dei controinteressati è una categoria di enorme rilievo, se si considera che i ricorsi amministrativi sono improcedibili, qualora non siano stati notificati ad almeno un controinteressato. Inoltre il c.p.a. riconosce loro innumerevoli prerogative, possono proporre ricorso incidentale e domande riconvenzionali, nei loro confronti può essere promossa l’integrazione del contraddittorio e possono intervenire volontariamente nel processo.

Considerata però la portata generale ed astratta dei regolamenti, si pone il problema della individuazione dei possibili controinteressati nei giudizi di annullamento. E’ proprio dibattuta la stessa ammissibilità di controinteressati in tali giudizi. A fronte di posizioni oscillanti, la giurisprudenza maggioritaria tende a propendere per un giudizio caso per caso e dunque ad ammettere che in talune ipotesi, possano esserci controinteressati.

E’ chiaro che la soluzione al predetto problema si riverbera necessariamente sulla questione della tutela dei terzi pregiudicati dalla sentenza resa tra le parti, che non abbiano preso parte al giudizio.

Se si accede difatti alla tesi che i controinteressati ci sono sempre, anche nei giudizi di impugnazione dei regolamenti, l’eventuale sentenza dovrebbe essere inutiliter data, data la mancata attuazione del principio del contraddittorio. La sentenza allora sarebbe insuscettibile di essere portata ad esecuzione.

Se si accede invece alla tesi per la quale in tali giudizi non è possibile individuare dei controinteressati, si pone il problema della tutela avverso la sentenza eventualmente emessa e valida che risulti pregiudizievole però per il terzo.

La sentenza rispetto al terzo è res inter alios acta, difatti ai sensi dell’art. 2909 c.c. fa strato soltanto  tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa. Allora l’unico rimedio esperibile rimane l’opposizione di terzo ex art. 108 c.p.a. che consente ai terzi l’impugnazione delle sentenze pronunciate dal TAR e dal Consiglio di Stato tra altri soggetti e anche se passate in giudicato, qualora pregiudichino i loro diritti o interessi legittimi. L’opposizione si propone dinnanzi al giudice che ha pronunciato la sentenza. Per completezza occorre evidenziare che l’art. 109 c.p.a. sancisce una chiara prevalenza dell’appello rispetto all’opposizione. Pertanto se deve essere impugnata una sentenza di primo grado, rispetto alla quale sia già pendente un giudizio di appello, il terzo dovrà proporre l’opposizione intervenendo in appello. Nel caso inverso, in cui cioè sia stata proposta prima l’opposizione e in un secondo momento l’appello, il giudice dell’opposizione è tenuto a dichiarare l’improcedibilità e ad assegnare un termine al terzo per intervenire in appello.

In conclusione la tutela avverso i regolamenti illegittimi, nonostante la loro natura sostanzialmente normativa, ma formalmente amministrativa, va attuata ricorrendo ai mezzi remediali approntati dall’ordinamento per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi.

Dalla portata generale e astratta, tipica e caratteristica dei regolamenti, discende che essi possano essere impugnati immediatamente soltanto qualora contengano clausole immediatamente lesive, altrimenti andranno impugnati congiuntamente ai provvedimenti che li attuano. Altro precipitato della peculiare natura dei regolamenti, è la portata erga omnes ed ex tunc delle pronunce giudiziali in deroga al principio di relatività del giudicato sancito dall’art. 2909 c.c..

La portata estensiva del giudicato conduce inevitabilmente a interrogarsi sulla questione della tutela dei controinteressati e dei terzi pregiudicati dalla sentenza.

Rispetto al primo profilo è addirittura dubbia a monte la configurabilità di soggetti controinteressati, ma sembra ragionevole non escludere a priori che possano sussistere. Se dunque vi sono controinteressati, a loro va notificato il ricorso a pena di improcedibilità o comunque nei loro confronti va integrato il contraddittorio, possono intervenire in giudizio volontariamente e possono proporre ricorso incidentale e domande riconvenzionali.

A prescindere dalla questione dell’ammissibilità dei controinteressati nei giudizi di impugnazione dei regolamenti, può in concreto accadere che la sentenza pronunciata risulti pregiudizievole delle prerogative di soggetti terzi che non hanno preso parte al giudizio. La sentenza atteggiandosi alla stregua di res inter alios non può certo essere impugnata in appello o in Cassazione. E’ ammissibile però la proponibilità dell’opposizione di terzo ex art. 108 c.p.a. che consente proprio ai terzi di impugnare le sentenze pregiudizievoli di diritti e interessi legittimi, anche se passate in giudicato.


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Morena Campana

Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza nell'A.A. 2012/2013 presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma con tesi di Laurea su "PROFILI GIURIDICI E MEDICO LEGALI DELLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA", si è diplomata nel 2015 presso la Scuola di Specializzazione per le professioni Legali dell'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel 2016.

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