Discovery incompleta dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari

Discovery incompleta dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari

Sommario: 1. Incompleta discovery degli atti al termine delle indagini preliminari – 2. Una prima soluzione interpretativa della giurisprudenza di legittimità: la inutilizzabilità degli atti quale conseguenza della discovery incompleta – 3. (segue): Una seconda interpretazione della Suprema Corte: la nullità dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. – 4. (segue): Le due tesi a confronto – 5. Conclusioni

Abstract: Il presente contributo si propone di operare un’analisi dettagliata delle conseguenze sanzionatorie in caso di omessa indicazione degli atti d’indagine nell’avviso ex art. 415 bis c.p.p.. Si prenderanno le mosse da due sentenze della Corte di Cassazione ove vengono prospettate soluzioni discordanti. Le due tesi verranno poste a confronto, individuando i pro e i contro dell’una e dell’altra soluzione.

1. Incompleta discovery degli atti al termine delle indagini preliminari

L’avviso di conclusione ex art. 415 bis c.p.p. – oltre all’informazione sul fatto – garantisce anche un’informazione sulle indagini.

Precisamente, al fine di assicurare una completa discovery del materiale raccolto durante la fase delle indagini preliminari, il comma 2 dell’art 415 bis c.p.p prevede che gli atti di indagine debbano essere depositati presso la segreteria del pubblico ministero affinché l’indagato ed il suo difensore abbiano la possibilità di prenderne visione.

In tal modo, la persona indagata ed il difensore hanno la possibilità di conoscere la «natura» ed i «motivi» dell’accusa elevata; e, dunque, viene data piena attuazione all’art. 111 comma 3 della Costituzione.

Il pubblico ministero, pertanto, è onerato di depositare presso la sua segreteria tutti gli atti funzionali all’esercizio dell’azione penale.

Sul punto, l’unica eccezione riguarda i casi in cui le indagini interessano più soggetti o più imputazioni ed il pubblico ministero sia intenzionato a chiedere il rinvio a giudizio per alcune parti ma non per altre.

In questi casi, l’organo inquirente forma il fascicolo inserendovi solo gli atti che riguardano i soggetti e le condotte criminose per cui decide di esercitare l’azione penale.

Il suddetto criterio di selezione – riguardante cosa allegare al fascicolo – deriva dalla disciplina inerente il deposito degli atti contestuali alla richiesta di rinvio a giudizio ex art 416 comma 2 c.p.p..

In riferimento a quest’ultima norma la Corte Costituzionale[1]  ha affermato che il pubblico ministero ha il dovere di deposito di tutti gli atti di indagine riguardanti i soli atti relativi ai fatti ed alle persone cui si riferisce l’incolpazione preliminare[2].

Ebbene, lo stesso ragionamento è da predicarsi anche in ordine alla disclosure che si realizza in occasione dell’art 415 bis c.p.p. che altro non è che un momento equivalente ancorché anticipato al deposito degli atti unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio[3].

Ciò posto, stante l’inequivoco tenore letterale dell’art. 415 bis c.p.p. e tenuto conto, altresì, delle finalità dell’avviso, è indubbio che l’indagato debba poter accedere a tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero.

Come anticipato, tra l’altro, il dovere di garantire una conoscenza effettiva e completa degli atti d’indagine soddisfa due esigenze fondamentali.

Per un verso, la persona sottoposta alle indagini deve essere, nel più breve termine possibile, informata in relazione alla natura e ai motivi di accusa elevati a suo carico[4]; per altro verso, invece, consente al pubblico ministero di valutare gli elementi eventualmente offerti dalla difesa, al fin di risolvere l’alternativa fra la richiesta di archiviazione e l’esercizio dell’azione penale.

Dunque, qualora venisse preclusa all’indagato una piena conoscenza degli atti d’indagine, quest’ultimo finirebbe per essere privato di una consapevole predisposizione della propria difesa, ivi comprese le necessarie valutazioni in ordine ai possibili vantaggi derivanti dall’eventuale accesso a riti alternativi, se del caso, anche senza bisogno di affrontare la successiva fase dell’udienza preliminare[5].

Non solo.

Il tema, a ben vedere, coinvolge di riflesso anche l’analoga ipotesi del ritardato deposito. Per esemplificare, si ipotizzi l’omesso deposito in sede di avviso ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p. di atti di indagine, poi successivamente inseriti nel fascicolo trasmesso dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 416 c.p.p. al GUP.

In questo caso, infatti, la piena conoscenza del materiale investigativo ed il diritto di difesa verrebbero in rilievo sotto il profilo di divieto di ingresso “a sorpresa” di atti d’indagine.

Dunque, un dato certo è il seguente: la discovery incompleta dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari lede le garanzie difensive dell’indagato/imputato (a seconda delle fasi).

A fronte della suddetta conclusione, in mancanza di un chiaro riferimento normativo, nei prossimi paragrafi verranno analizzate le diverse soluzioni offerte dalla giurisprudenza.

2. Una prima soluzione interpretativa della giurisprudenza di legittimità: la inutilizzabilità degli atti quale conseguenza della discovery incompleta

Come anticipato nel paragrafo precedente, su quale sia la sanzione da applicare nel caso in cui il pubblico ministero, in occasione dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p., ometta di depositare atti d’indagine, sussistono opinioni discordanti.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, tale omissione comporterebbe quale conseguenza sia l’inutilizzabilità degli atti medesimi, sia l’invalidità dell’atto successivo di esercizio dell’azione penale[6].

Si tratta di un orientamento che inquadra e fa discendere dalla omessa ostensione l’“inutilizzabilità” della fonte di prova.

Tale assunto, nonostante il forte accredito goduto nella giurisprudenza di legittimità[7], è stato oggetto di molteplici critiche.

Secondo la dottrina maggioritaria, infatti, la sanzione della “non utilizzabilità” opera, come noto, secondo due schemi profondamente diversi fra di loro.

Per un verso, quello, imperniato sull’art. 191 c.p.p., della violazione di un divieto stabilito dalla legge con riguardo all’ammissione o all’assunzione della prova (c.d. inutilizzabilità patologica); per un altro verso, quello correlato all’assunto che un’attività latu sensu probatoria, seppure compiuta secundum legem, non può essere valorizzata in una certa fase del processo, in quanto quest’ultima è distinta da quella in cui l’atto probatorio si è formato (c.d. inutilizzabilità fisiologica)[8].

Dunque, quando il pubblico ministero omette di depositare parte del materiale investigativo ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p. – per reintrodurla in scena solo successivamente – non è chiaro come possa integrarsi uno dei due summenzionati paradigmi.

Oltretutto, se gli atti d’indagine in discorso sono stati compiuti nel rispetto delle regole che li governano, è arduo teorizzare una loro «acquisizione in violazione dei divieti stabiliti dalla legge»[9] solo perché non sono stati depositati ex art. 415 bis c.p.p.: si configurerebbe una causa di «inutilizzabilità patologica sopravvenuta», che farebbe venire meno la valenza euristica dell’atto istruttorio solo nell’eventualità in cui quest’ultimo, pur correttamente acquisito, non venga depositato nella segreteria del pubblico ministero[10].

Ancora meno condivisibili si rivelano, in parte qua, le implicazioni proprie della c.d. inutilizzabilità fisiologica, che rappresentano un portato del principio di separazione funzionale delle fasi e che ben poco hanno a che spartire con la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini.

D’altronde, dietro l’apparente “economicità” della soluzione prospettata, si nascondono costi troppo gravosi per un sistema che aspiri ad assicurare l’accertamento e la conseguente repressione di fatti penalmente rilevanti[11]: più specificatamente «qualora la produzione postuma avesse ad oggetto un atto i cui contenuti fossero valutabili contra reum, la pretesa punitiva dello stato ed il principio di conservazione della prova finirebbero con l’essere ingiustificatamente frustrati da una mera disattenzione dell’inquirente»[12].

In ogni caso, l’ingiustificato vantaggio che una declaratoria d’inutilizzabilità produrrebbe all’imputato si convertirebbe in un irragionevole vulnus ai diritti ed alle garanzie che l’ordinamento riconosce a quest’ultimo, nel caso in cui gli atti sottratti alla discovery si connotassero di una valenza decisamente favorevole all’accusato.

Pur non condividendo l’orientamento sposato dalla giurisprudenza maggioritaria, la dottrina esclude che la condotta irregolare del pubblico ministero sia destinata a non produrre ricadute sanzionatorie.

Più nel dettaglio, la dottrina ritiene corretto identificare nell’omesso deposito del materiale d’indagine una forma d’indebita compressione delle possibilità d’intervento e di assistenza della persona sottoposta alle indagini nel procedimento penale[13]: se il magistrato inquirente impedisce all’interessato e al suo difensore di accedere a una parte del materiale assicura solo formalmente le garanzie partecipative regolate dall’art. 415 bis c.p.p..

A tal proposito, la scelta di chiedere di essere interrogati, le risposte fornite nel corso dell’interrogatorio, il tenore delle dichiarazioni spontanee, i potenziali contributi offerti a mezzo di investigazioni difensive o di documenti stricto sensu, sono delle variabili fortemente condizionate dalla scorta di materiale investigativo che, compulsata dall’indagato e dal patrono, consente di pianificare nel dettaglio una strategia difensiva[14].

3. (segue): una seconda interpretazione della Suprema Corte: la nullità dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p.

Fermo restando l’orientamento giurisprudenziale appena analizzato, meritano attenzione alcune recenti sentenze che optano per una soluzione differente.

Nell’affrontare nuovamente la questione dell’omesso deposito del materiale d’indagine nell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., la Corte di Cassazione[15] ha, recentemente, disposto che «l’omesso deposito di atti d’indagine preliminare contestualmente alla notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, e non una non utilizzabilità del materiale di indagine».

La Corte di Cassazione, infatti, ritiene che la categoria della “inutilizzabilità” del materiale d’indagine non presti, per le proprie caratteristiche, ad essere utilizzata per sanzionare la violazione del diritto di difesa[16].

Più nel dettaglio, il deposito intempestivo di un elemento di prova andrebbe ad incidere proprio sul diritto di difesa, nella misura in cui impedisce all’indagato di esercitare i diritti correlati alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Pertanto, la lesione delle prerogative difensive trova il suo strumento generale di tutela nella categoria della nullità generale a regime intermedio, disciplinata dagli artt. 178 e ss. c.p.p., che, ove sia riconosciuta, non si risolve nell’eliminazione dell’atto dal compendio probatorio, ma piuttosto nella restituzione delle garanzie difensive, con eventuale regressione alla fase in cui si è verificata la lesione[17].

Nello statuire ciò, i Giudici di legittimità hanno precisato che tale assunto non potrebbe essere escluso dal principio di tassatività di cui all’art. 177 c.p.p..

A tal proposito, è vero che il combinato disposto degli artt. 415 –bis, 416 e 552 c.p.p. contempla, expressis verbis, la nullità dell’atto imputativo nelle sole ipotesi di mancata notificazione dell’avviso o di mancato espletamento dell’interrogatorio richiesto; è vero anche, però, che l’irrituale comportamento del pubblico ministero, di cui in questa sede si discute, acquista, di per sé, rilievo a mente dell’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., senza che, ai fini della produzione dell’effetto invalidante, si renda necessaria una menzione testuale di tale causa di nullità.

La stessa Suprema Corte di Cassazione, in più occasioni, ha teorizzato cause di nullità degli atti imputativi in relazione a violazioni della disciplina legale diverse da quelle per tabulas menzionate dagli artt. 416 e 552 c.p.p..

Fra le varie ipotesi, attribuiva rilievo alla compressione del termine dilatorio di venti giorni, stabilito dall’art. 415 bis, comma 3 c.p.p.; o alla mancata nomina di un difensore d’ufficio in favore della persona sottoposta alle indagini sguarnita di assistenza tecnica al momento della notifica dell’avviso in discorso.

Seguendo l’iter logico appena tracciato, peraltro fatto proprio anche da isolate pronunce della Corte di Cassazione[18], quando la difesa apprendere dell’esistenza di verbali o documenti in precedenza rimasti occulti, potrà dedurre la nullità dell’atto d’accusa e potrà, così, beneficiare della regressione del procedimento alla fase preimputativa.

In tale fase, potrà esplicare in modo compiuto la propria strategia difensiva, nelle forme previste dall’art. 415 bis c.p.p., comma 3.

Tale impostazione, tra l’altro, trova rispondenza anche nei principali portati della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/13 UE, ove il diritto all’informazione, inteso come una componente genetica e imprescindibile della difesa giudiziaria penale, viene enunciato secondo tre accezioni:

– conoscenza degli estremi dell’addebito;

– informazioni circa le prerogative spettanti all’indagato;

– diritto dell’indagato di accedere al materiale probatorio raccolto dagli inquirenti.

Le suddette dimensioni, pertanto, risultano direttamente collegate con la disciplina di cui all’art. 415 bis c.p.p..

Ciò conferma che l’istituto de quo si pone direttamente a presidio del diritto di difesa della persona sottoposta alle indagini[19].

In particolare, viene sostenuto che la tesi della nullità della richiesta di rinvio a giudizio pone l’attenzione sull’indagato e lascia aperte diverse strade.

Per un verso, consente all’indagato di dedurre il vizio, quando lo stesso reputi che la propria strategia difensiva ante causam sarebbe stata diversa, se avesse conosciuto a tempo debito il materiale d’indagine; per altro verso, invece, consente all’indagato di sanare il vizio, ove l’imputato faccia acquiescenza ex art. 183, comma 1, lett. a), c.p.p., giudicando in termini favorevoli o neutrali quel contributo, fino ad ora ignorato[20].

In questo modo, dunque, si verificherebbero delle preclusioni processuali capaci di arginare la sanzione in discorso, poiché verrebbe meno un regime di rilievo – com’è quello dettato dall’art. 191, comma 2 c.p.p. – capace di attingere, potenzialmente, in ogni stato e grado del procedimento[21].

4. (segue): le due tesi a confronto

All’esito dell’analisi dei due orientamenti giurisprudenziali, occorre spendere qualche parola sui pro e sui contro delle tesi descritte.

Per un verso, la tesi della non utilizzabilità degli atti d’indagine offre quale vantaggio l’esclusione dalla valutazione del giudice dibattimentale di atti che, eventualmente, vadano a pregiudicare la posizione dell’indagato.

In ogni caso, però, si tratta di una mera eventualità e non di una certezza, in quanto è possibile che la “sanzione processuale” della inutilizzabilità possa, invece, riguardare prove a favore dell’imputato.

In tale circostanza, si verificherebbe una doppia lesione del diritto di difesa: non solo per la mancanza di una piena conoscenza al momento della disclosure, ma anche per i concreti pregiudizi che l’imputato trarrebbe nel processo.

Pertanto, l’imputato avrebbe tutto l’interesse ad eccepire la nullità della richiesta di rinvio a giudizio.

Più specificatamente, l’imputato potrà beneficiare della regressione dell’atto alla fase preimpunitiva ed esplicare, in modo compiuto, la propria strategia difensiva nelle forme di cui all’art. 415 bis c.p.p..

Anche tale assunto, però, potrebbe presentare dei profili problematici: si ipotizzi il deposito solamente ritardato di un atto di indagine favorevole per l’indagato: “che tipo di interesse avrebbe sul piano pratico l’imputato ad eccepire la nullità?”

Un atto d’indagine, anche se depositato in ritardo, andrebbe comunque a suo beneficio. Tale considerazione sembrerebbe trovare un preciso avallo normativo: l’art. 182 c.p.p.; difatti, impedisce che la nullità possa essere dedotta da chi non abbia interesse all’osservanza della disposizione violata.

Di conseguenza, l’imputato dovrebbe vedersi respinta l’eccezione d’invalidità dal momento che non deriverebbe in capo al medesimo alcun pregiudizio della mancata tempestiva ostensione di un atto d’indagine a lui favorevole[22].

In ogni caso, però, un atteggiamento più cauto dovrebbe suggerire la soluzione della nullità di ordine generale a regime intermedio.

Le ragioni sono sempre le stesse: anche un singolo atto d’indagine, in occasione dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., potrebbe cambiare l’esito del giudizio. Pertanto, l’imputato avrebbe il contrario ed effettivo interesse ad una reimpostazione della propria strategia difensiva che, razionalmente, dovrebbe riprendere piede dal momento in cui si è verificato.

5. Conclusioni

In conclusione, indipendentemente dall’accoglimento dell’una o dell’altra ipotesi, la soluzione da adottare deve tener conto – come già indicato nel corso del presente lavoro – della ratio e della natura dell’avviso ex art. 415- bis c.p.p., ovvero una piena attuazione delle garanzie difensive dell’indagato.

Il deposito intempestivo di un elemento di prova incide proprio sul diritto di difesa, nella misura in cui impedisce all’indagato di esercitare i diritti correlati alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Una giusta soluzione, pertanto, sarebbe rinvenibile nella nullità della richiesta di rinvio a giudizio.

D’altronde, soltanto una conoscenza piena ed effettiva degli agli d’indagine, – compiuti dal pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari – consente all’indagato di delineare correttamente la propria strategia difensiva; e, dunque, di garantire una piena ed effettiva tutela del diritto di difesa, inteso come principio supremo dell’ordinamento costituzionale.

In ogni caso, ad avviso di chi scrive, sarebbe auspicabile, in subiecta materia, un tempestivo intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, inteso a dirimere il contrasto giurisprudenziale; e, altresì, evitare che le sorti processuali di imputati, che si trovano in situazioni analoghe, siano condotte dai giudici di legittimità e di merito verso soluzioni opposte.

 

 

 

 

 


[1] Corte Cost., sent. 20-03-1992, n. 145, in Forum di quaderni giurisprudenziali, rassegna (ISSN 2281-2113).
[2] BUZZELLI, Il Dossier dell’accusa di fronte all’udienza preliminare, in Rivista di diritto processuale, 1992, num. 3, p. 971.
[3] BENE, L’avviso di conclusione delle indagini preliminari, Edizione scientifica Italiane, 2004, p. 271.
[4] Si rilevano, pertanto, due profili distinti: uno soggettivo, consistente nella tutela del diritto di difesa; l’altro oggettivo, incidente sulla economia e sull’efficacia del processo.
[5] BONZANO, Avviso di conclusione delle indagini, l’effettività della discovery garantisce il sistema, in Diritto penale e processo, 2009, p. 1286.
[6] In tal senso, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto “L’omissione del deposito di atti dell’indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, comporta la non utilizzabilità degli stessi ma non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio” (Cass. Pen. Sez. IV, sentenza, 08-11-2013, n. 7597 (Rv. 259121).
[7] Si tratta, come noto, della soluzione maggiormente condivisa in giurisprudenza, la quale – senza pretesa di completezza – è individuabile in Cass. Pen., sent. 05-10-2011, in Cass. pen., 2012, p. 3003 e ss.; Cass. Pen., sent. 15-01-2010, Basco, ibidem, 2012, p. 1468 e ss.; Cass. Pen., sent. 17-04-2003, Visciglia e a., in A. n. proc. pen., 2004, p. 668 e ss.; Cass. Pen., sent. 06-05-2002, Bagarella e a., in Guida d., 2002, f. 42, p. 76 e ss.
[8] In parte qua, rilevano le norme sulla spartizione del materiale investigativo tra i fascicoli per il dibattimento (art. 431 c.p.p.) e del pubblico ministero (art. 433 c.p.p.), da correlarsi agli artt. 511 ss. c.p.p. sulle possibili “letture” in seno all’istruzione dibattimentale e alla norma di chiusura di cui all’art. 526, comma 1, c.p.p..
[9] Per ricorrere alla lettera dell’art. 191, comma 1, c.p.p.
[10] Manifesta perplessità rispetto al riferimento, in subiecta materia, all’art. 191 c.p.p. anche T. Bene, L’avviso di conclusione delle indagini, cit., p. 212.
[11] Emblematico il caso della ripresa audiovisiva del delitto, da cui si evincano agevolmente le modalità di realizzazione dello stesso e l’identità dell’autore: ebbene, ove il nastro non fosse offerto in visione all’indagato fin dalla conclusione delle indagini preliminari, ne resterebbe preclusa, per ciò e senza possibilità di rimedio, l’utilizzabilità.
[12] BONZANO, op. cit., p. 1286.
[13] Cfr. anche BENE, L’avviso di conclusione delle indagini, cit., p. 212; F. CAPRIOLI, Nuovi epiloghi della fase investigativa, cit., p. 266; PISANELLI, L’avviso di conclusione delle indagini preliminari, cit., p. 264.
[14] Condivisibilmente, PISANELLI, L’avviso di conclusione delle indagini preliminari, cit., p. 15, osserva, rispetto all’invito per rendere interrogatorio, assurto a condizione di validità dell’atto imputativo con la l. 16 luglio 1997, n. 234, che l’intervento riformatore di allora si era rivelato deficitario, in quanto non era stata di pari passo rinforzata la prospettiva dell’accesso difensivo agli atti del procedimento. Cfr. anche DALIA, La contestazione della imputazione provvisoria, in DALIA-FERRAIOLI (coordinato da), La modifica dell’abuso d’ufficio e le nuove norme sul diritto di difesa. Commento alla Legge 16 luglio 1997, n. 234, Milano, Giuffrè, 1997, p. 192.
[15] Cass. Pen., Sez. II, sentenza, 10-04-2018, n. 20125 in CED Cass., n. 272901.
[16] In tal senso, non mancano pronunce di merito volte a ritenere che «al mancato deposito non deve seguire l’inutilizzabilità degli atti, in quanto nessuna norma la prevede espressamente sicché l’applicazione di tale sanzione contravverrebbe al principio di tassatività. In caso contrario, peraltro, sarebbe impossibile sanare la situazione con irrimediabile pregiudizio per l’accertamento dei fatti e si priverebbe il pubblico ministero della possibilità di sostenere utilmente l’ipotesi accusatoria. Pertanto – poiché all’avviso di conclusione delle indagini preliminari deve corrispondere l’effettiva messa a disposizione della documentazione, giacché in caso contrario è leso il diritto di difesa dell’indagato – la lesione del diritto di difesa consistente nel mancato deposito degli atti, rientrando nella previsione dell’art. 178, lett. C c.p.p., rende nulli tutti gli atti successivi» (così G.i.p. Roma, 21-06-2005, inedita: al riguardo, tuttavia, v. Cass., Sez. IV, 08-06-2006. cit.).
[17] La dichiarazione d’inutilizzabilità, di contro, si risolve nella definitiva eliminazione dal compendio probatorio di elementi di prova assunti in contrasto con divieti di legge e produce l’estrema conseguenza della eliminazione della prova viziata dal patrimonio conoscitivo utilizzabile per la decisione (Cass. Sez. III, n. 4672 del 22-10-2014 – dep. 02-02-2015, L. Rv. 262468).
[18] Cfr., in particolare, Cass., sez. II, 10-04-2018, n. 20125, in Cass. pen., 2018, p. 4300, nonché in CED Cass., n. 272901. In precedenza, Cass., sez. III, 23-10-2003, n. 47578, in Riv. pen., 2004, p. 1021, aveva teorizzato una nullità di ordine generale a regime intermedio in relazione all’omesso avviso di deposito degli atti in segreteria. Giusta l’art. 183, comma 1, lett. b), c.p.p., peraltro, la Suprema Corte aveva ascritto efficacia sanante del vizio all’accesso da parte della difesa in segreteria per compulsare gli atti, configurandosi un’ipotesi di esercizio della facoltà cui l’atto omesso era preordinato. Rileva una nullità dell’atto di accusa anche Cass., sez. V, 12-04-2017, n. 38409, in CED Cass., n. 271118, che adotta il peculiare scorcio prospettico dei rapporti tra (omesso) deposito generalizzato ex art. 415-bis c.p.p. e (omessa) discovery del materiale intercettato, a mente degli artt. 266 ss. c.p.p..
[19] CIAMPI, Incompleta discovery al termine delle indagini preliminari: sulle conseguenze sanzionatorie serve un intervento delle Sezioni unite, in Processo penale e giustizia, pp. 941-943.
[20] Quella della sanatoria del vizio, ove l’imputato faccia acquiescenza ex art. 183, comma 1, lett. A), c.p.p., giudicando in termini favorevoli o neutrali quel contributo, fino ad allora ignorato; quella della neutralizzazione del vizio, per motivi ascrivibili, vuoi all’inutile decorso del termine funzionale alla deduzione o al rilievo delle nullità a regime intermedio, vuoi all’adozione, da parte dell’imputato, di determinate strategie processuali, quale, ad esempio, la richiesta di giudizio abbreviato, mercé l’art. 438, comma 6 bis, c.p.p..
[21] CIAMPI, Incompleta discovery al termine delle indagini preliminari: sulle conseguenze sanzionatorie serve un intervento delle Sezioni unite, in Processo penale e giustizia, p. 944.
[22] CENTAMORE, L’omesso (o ritardato) deposito di atti d’indagine in sede di avviso di conclusione delle indagini preliminari: inutilizzabilità e nullità a confronto, in Giurisprudenza penale, p. 11.

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