Divorzio giudiziale: se l’ex coppia ha dei figli minori, di chi è la competenza territoriale?

Divorzio giudiziale: se l’ex coppia ha dei figli minori, di chi è la competenza territoriale?

L’individuazione del giudice competente non rientra nella disponibilità delle parti. È la stessa Costituzione, all’art. 25, a sancire che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.  

Ebbene, l’interrogativo a cui si intende rispondere in tale sede, è quello di stabilire a quale giudice dovrà rivolgersi l’ex coniuge che intende presentare ricorso ai fini della domanda di divorzio, qualora l’ex coppia ha dei figli minori.

Innanzitutto, il riferimento normativo si rinviene nell’art. 4 della Legge n. 898/1970, nota come Legge sul divorzio, in forza del quale, “la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio”[1].

Il problema che si pone è se tale competenza, ossia quella del Tribunale del luogo di residenza o domicilio del coniuge convenuto, permane anche in presenza di figli minori. E pertanto, in tale ipotesi, prevale il criterio della residenza del figlio minore ovvero quello di residenza del convenuto?

Nel novembre del 2015 la VI sezione della Corte di cassazione con l’ordinanza n. 24099 conferma, anche in quest’ipotesi, la competenza territoriale in favore del Tribunale ove risiede il convenuto del giudizio di divorzio, così come disposto dalla summenzionata disposizione.

Infatti, nel caso di specie, il procedimento era stato inizialmente incardinato in forza del criterio della residenza del figlio minore della coppia, e precisamente davanti al Tribunale di Firenze. Sennonché, i giudici del capoluogo toscano, con ordinanza, dichiaravano la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale di Prato, poiché foro competente in quanto ivi residente l’ex coniuge, convenuto nel suddetto giudizio di divorzio.

A questo punto, la ricorrente, proponeva regolamento di competenza, dinanzi alla Suprema Corte, sollevando talune censure al provvedimento del Tribunale di Firenze, tra cui:

1) In primo luogo, la decisione del giudice di primo grado, nell’interpretare l’art. 4 L. div. 898/70, avrebbe violato il dovere di interpretazione conforme alla normativa Europea, e in particolare l’art. 12 del regolamento CE del Consiglio n. 2201/2003 del 27/11/2003.  Infatti, secondo la ricorrente, il giudice italiano avrebbe dovuto attribuire all’art. 4 “il significato secondo cui, qualora vi siano figli minori della coppia, il foro territorialmente competente è quello della residenza del minore”, alla stregua del principio generale di salvaguardia del preminente interesse del minore, sancito dalle disposizioni comunitarie e recepito nell’ordinamento nazionale dall’art. 709 ter c.p.c., che prevede la competenza del giudice del luogo di abituale residenza del minore, nonché dalla consolidata giurisprudenza, che attribuisce al medesimo giudice l’adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c.;

2) La ricorrente, in subordine, eccepisce altresì l’illegittimità costituzionale  della disposizione in esame poiché in contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, quali norme interposte, e con l’art. 3 Cost., sul parallelo tra l’art. 4 L. div. e il citato art. 709 ter cpc.

Gli ermellini concludono per il rigetto delle censure sollevate dalla ricorrente, e in particolare:

a) In riferimento al punto 1), la Corte sottolinea che: “ a mente dell’art. 4 L. n. 898/1970, in materia di divorzio, la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. La lettera della disposizione è insuperabile e non consente interpretazioni alternative che valorizzino la residenza di eventuali figli minori delle parti”. Inoltre, la Corte evidenzia l’arbitrarietà assunta della difesa della ricorrente a far riferimento alla giurisprudenza che radica la competenza all’adozione dei provvedimenti ex artt. 330 e 333 c.c. davanti al giudice del luogo di residenza del minore, atteso che si tratta di provvedimenti ben diversi dalla decisione sulla domanda di divorzio!! Si noti come già tale ricostruzione, così attenta e rigorosa, sarebbe bastata per escludere tale fantomatica violazione del dovere di interpretazione.  

b) Ciononostante, i giudici di legittimità aggiungono che: la disposizione de quo non si pone in contrasto con alcuna norma comunitaria, e il regolamento del 2003 citato dalla ricorrente si riferisce al riparto di competenza tra gli stati membri dell’Unione europea, e non al riparto di competenza tra i giudici nazionali.

c) Infine, quanto al punto 2), la Corte afferma che: non ricorrono i profili di illegittimità costituzionale, poiché le norme interposte invocate (artt. 6 e 13 CEDU) sul giusto processo e l’effettività della tutela giurisdizionale “non possono ritenersi in alcuna misura vulnerate dalla previsione di un criterio di riparto della competenza sulla domanda di divorzio basato sulla residenza del convenuto, anziché dell’eventuale figlio minore delle parti: criterio che è arbitrario assumere comprometta detta effettività.” Parimenti, non si afferma una violazione dell’art. 3 Cost. sollevato dalla ricorrente sul parallelo con l’art. 709 ter c.p.c., il quale concerne le “controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità di affidamento”, per le quali peraltro, la norma codicistica prevede la competenza del “giudice del procedimento in corso”, mentre la competenza del tribunale del luogo di residenza del minore è prevista per i “procedimenti di cui all’art. 710 c.p.c.”, relativi alla “modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti alla separazione“: procedimenti, questi, del tutto diversi da quello di divorzio e nei quali l’interesse della parte convenuta non è centrale così come nell’ipotesi di scioglimento del matrimonio.

d) Per gli Ermellini, non ha alcun fondamento il richiamo al principio di tutela del preminente interesse del minore, che, per come è sancito nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nello stesso art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, attiene al contenuto della decisione da assumere e non al riparto di competenza.

Ad avviso della scrivente ciò ribadisce ancora una volta la totale estraneità che la prole minore debba assume in un giudizio di divorzio, così come in uno di separazione, in quanto terzi e non parti.Tuttavia, non si può negare che si tratti solo di una pseudo estraneità, atteso che una decisione in tal senso non può che stravolgere, in concreto, anche la loro vita e le loro abitudini. È indubbio, che in questo così ampio scenario la stella polare che deve orientare ogni giudice ai fini della determinazione del contenuto di una decisione, il cui contenuto riguardi appunto minori, non può che essere il principio generale del preminente interesse del minore. Infine, si auspica affinché tale pronuncia di legittimità abbia chiarito numerosi dubbi che spesso sono sorti e sorgono tutt’oggi nelle aule giudiziarie.


[1] La Corte Costituzionale, con sentenza n.169 del 23 maggio 2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 4 L. 898/1970, limitatamente alle parole “del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza”.


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Giulia Migliore

Dott.ssa in Giurisprudenza, iscritta al Registro dei praticanti Avvocati del Consiglio dell'Ordine di Palermo, e attualmente Tirocinante presso gli uffici giudiziari ex art. 73 L. 98/2013.

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