Donne e lavoro: l’art. 37 della Costituzione al compimento del suo – quasi – 70°compleanno

Donne e lavoro: l’art. 37 della Costituzione al compimento del suo – quasi – 70°compleanno

“Sul piano economico, la donna è vittima di una discriminazione inaccettabile quanto quella razzista condannata dalla società in nome dei diritti dell’uomo: le viene estorto un lavoro domestico non retribuito, viene adibita ai lavori più ingrati, e il suo compenso è meno alto di quello dei suoi omologhi maschi. […]”[1]

Il suddetto concetto espone, purtroppo, il panorama socio-lavorativo femminile, ancora largamente diffuso agli albori degli anni settanta, di “segregazione professionale”, per il quale: “[…]la divisione sessuale del lavoro si estende anche alla struttura occupazionale, per cui […] si può parlare di segregazione professionale femminile, sia orizzontale (per settori di attività economica), sia verticale (per posizioni professionali)”.[2]

Il tempo trascorso dall’entrata in vigore della Carta Costituzionale non, del tutto, si è tradotto in progresso e la prospettiva storica sul lavoro al femminile, non completamente, segue il percorso dei diritti sanciti dall’articolo 3, circa il principio fondamentale di pari dignità sociale e di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge “…senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali” ovvero l’art. 37, laddove, si specifica, espressamente, che: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore[…]”.

“L’attuazione dei principi costituzionali comincia ad essere sollecitato, solo, dal risveglio dell’organizzazione sociale, indotto in gran parte dalle associazioni femminili, dal movimento sindacale e dalle forze popolari di progresso che stimolano la traduzione, sul piano legislativo, dei principi proclamati dalla Carta Costituzionale. […] Gli anni 70’ si avviano, infatti, con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori (L. 300/70) in cui vengono dettate le norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavoratori tout court, senza distinzione di sesso: dalla libertà di opinione, al diritto alla tutela della salute nel luogo di lavoro, al diritto di associazione e di attività sindacale, basi del diritto del lavoro italiano. […] e tale processo si integra con la Legge 877/73 sul lavoro a domicilio con il quale si estendono le garanzie economiche e giuridiche conquistate dalle lavoratrici subordinate […] intervenendo in settori lavorativi quasi totalmente dominati dalla presenza femminile e con carenti garanzie per i lavoratori, nonché privi di adeguati controlli. […] E’ però la Legge 9 dicembre 1977 n. 903, che rappresenta il primo dettato normativo espressamente inerente la “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro” […].[3] Secondo l’art Art. 1, infatti: “E’ vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale. La discriminazione di cui al comma precedente è vietata anche se attuata: attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza; in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso. Il divieto di cui ai commi precedenti si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti. Eventuali deroghe alle disposizioni che precedono sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva. Non costituisce discriminazione condizionare all’appartenenza ad un determinato sesso l’assunzione in attività della moda, dell’arte e dello spettacolo, quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione”.

Pubblicata sulla G.U. n.343 del 17 dicembre 1977, sancisce, inoltre, sia che: “La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore. I   sistemi   di   classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne.”, vietando inoltre “[…] qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda   l’attribuzione  delle  qualifiche,  delle  mansioni  e  la progressione nella carriera.”, che, nell’art. 14: “Alle   lavoratrici   autonome   che  prestino  lavoro  continuativo nell’impresa  familiare  è  riconosciuto il diritto di rappresentare l’impresa negli organi statutari delle cooperative, dei consorzi e di ogni altra forma associativa.”

Questi il baluardo che segna “[…] il passaggio dal riconoscimento della parità formale tra uomini e donne ai provvedimenti orientati al raggiungimento della parità sostanziale […] confermato […] con la Legge 125/91, in cui, vengono promosse le Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro orientate ad eliminare le disparità di fatto nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità, nella retribuzione; favorendo la diversificazione delle scelte professionali delle donne; l’accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale, la qualificazione professionale; l’inserimento delle donne nelle attività nei settori professionali e nei livelli nei quali sono sottorappresentate ed in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità; favorendo, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi. La norma definisce anche i comportamenti pregiudizievoli che costituiscono discriminazione diretta o indiretta nel lavoro per ragioni di sesso, gli strumenti di cui avvalersi e gli Organismi di parità a cui ricorrere. […]”[4]

E’ dunque evidente come “le pari opportunità hanno un lunghissimo cammino in Italia […] ma necessaria è una distinzione tra i due concetti di parità e pari opportunità: con il primo si intende una “condizione di effettiva eguaglianza di diritti fra individui di diversa razza, etnia, lingua, cultura, età e genere”. Con il secondo si allude al “divieto di discriminazione in base a uno solo dei caratteri innati o acquisiti di un individuo. In particolare, l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale in base al sesso di appartenenza”. Con le pari opportunità si persegue un principio di eguaglianza liberale, secondo il quale bisognerebbe garantire “pari chance di accesso e di fruizione” a soggetti che si trovino in una condizione svantaggiata di partenza. L’obiettivo è quello di assicurare ai due sessi eguali opportunità di accesso di fruizione e di partecipazione equilibrata alla vita economica, sociale e politica, con l’eliminazione di quelle barriere che vi si frappongono […] promuovere l’eguaglianza tra uomini e donne e a tradurre nella prassi tale diritto, facendolo passare dal piano formale a quello sostanziale”.[5]

A tal proposito, “[…] raggiungendo un ragguardevole risultato e intervenendo per la prima volta in settori di origini remote ed intrinsecamente legati alla struttura familiare ed alla condizione della donna, sia in epoca preindustriale che industriale, tentando così di arginare il feroce sfruttamento ad esso connesso […]”, la legge 22 giugno 1990, n. 164, entrata in vigore il 12 luglio de 1990: “Nell’intento di assicurare la piena realizzazione  del  precetto di cui all’articolo 3 della Costituzione, costituisce presso  la Presidenza del Consiglio dei Ministri la Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo  e  donna  –  indicata  nella presente legge con il termine “la Commissione” – con  il  compito  di promuovere l’uguaglianza tra i sessi rimuovendo ogni  discriminazione diretta e indiretta nei confronti delle donne  ed  ogni  ostacolo  di fatto limitativo della parità in conformità  all’articolo  3  della Costituzione.” con la finalità di: “[…] fornire al Presidente del Consiglio dei Ministri il supporto necessario  per  l’espletamento  dell’attività  volta  a realizzare la parità fra i sessi e ad assicurare  pari  opportunità tra uomo e donna.”

In ambito europeo, nella medesima circostanza storica delle grandi riforme nazionali,  non minori, sono le azioni promosse, nella suddetta direzione, dalla CEE: quest’ultime, indirizzate alla concretizzazione dei punti presenti nel Preambolo di: “avere per scopo essenziale il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei loro popoli.”, vedono una tangibile, iniziale, realizzazione con la Direttiva 75/117/CEE del Consiglio del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile.

“[…] Considerando che l’attuazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile , previsto dall’articolo 119 del trattato , è parte integrante dell’instaurazione e del funzionamento del mercato comune […] e che, è riconosciuto il carattere prioritario delle azioni da intraprendere a favore delle donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro ed alla formazione e promozione professionali nonchè per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le retribuzioni […]”, si stabilisce, nell’art. 3, che: “Gli Stati membri sopprimono le discriminazioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile derivanti da disposizioni legislative , regolamentari o amministrative e contrarie al principio della parità delle retribuzioni.” Se “il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile , previsto dall’articolo 119 del trattato, denominato in appresso «principio della parità delle retribuzioni» , implica , per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni .” è, dunque, opportuno che: “Gli Stati membri prendano le misure necessarie affinchè le disposizioni contrarie al principio della parità delle retribuzioni e contenute in contratti collettivi , tabelle o accordi salariali o contratti individuali di lavoro siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate”, come disposto nell’art.4. Inoltre “[…] considerando che un’azione della Comunità appare altresì necessaria per attuare il principio della parità di trattamento tra uomini e donne sia per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e promozione professionali, sia per quanto riguarda le altre condizioni di lavoro ; che la parità di trattamento tra i lavoratori di sesso maschile e quelli sesso femminile costituisce uno degli obiettivi della Comunità , in quanto si tratta in particolare di promuovere la parificazione nel progresso delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera; che il trattato non ha previsto i poteri di azione specifici necessari a tale scopo ; considerando che occorre definire ed attuare gradualmente con ulteriori strumenti il principio della parità di trattamento in materia di sicurezza sociale […]”, il 9 febbraio 1976, il Consiglio delle Comunità Europee adotta il regolamento, relativo alla Direttiva 76/207/CEE, circa l’ “attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro”.

“Scopo della presente direttiva è l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compreso la promozione, e l’accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e […] la sicurezza sociale”, pertanto: “ai sensi delle […] disposizioni il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.”

L’art. 3 ed, a seguire l’art. 5 sanciscono, rispettivamente che: “L’applicazione del principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda le condizioni di accesso, compresi i criteri di selezione, agli impieghi o posti di lavoro qualunque sia il settore o il ramo di attività, e a tutti i livelli della gerarchia professionale.” e che: “L’applicazione del principio della parità trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantire agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso”; “A tal fine, gli Stati membri prendono le misure necessarie affinchè siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento; siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti collettivi o nei contratti individuali di lavoro , nei regolamenti interni delle imprese nonchè negli statuti delle professioni indipendenti; siano riesaminate quelle disposizioni legislative, regolamentari e amministrativi contrarie al principio della parità di trattamento, originariamente ispirate da motivi di protezione non più giustificati; per le disposizioni contrattuali di analoga natura, le parti sociali siano sollecitate a procedere alle opportune revisioni.”

Misure necessarie anche per l’art.4, per: “l’applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso a tutti i tipi e a tutti i livelli di orientamento, di formazione, di perfezionamento e di aggiornamento professionali […]”, prevedendo, ulteriormente, che: “l’orientamento, la formazione, il perfezionamento nonchè l’aggiornamento professionale, fatta salva l’autonomia accordata in alcuni Stati membri a taluni istituti privati di formazione, siano accessibili secondo gli stessi criteri e agli stessi livelli senza discriminazione basate sul sesso.”

La donna è, ora, un pianeta in evoluzione e la realtà femminile si affaccia al nuovo millennio con rapidissimo cambiamento; sempre più protagonista della realtà sociale, culturale ed economica, il connotato femminile di partecipazione al mercato del lavoro si avvia ad acquisire nuovi lineamenti: inizia a delinearsi, finalmente, una compiuta affermazione dell’identità di genere, nonchè, una maggiore valorizzazione della specificità femminile.


[1] de BEAUVOIR SIMONE, “Le Nouvel Observateur”

[2] ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA – ASSOCIAZIONE ITALIANA SOCIOLOGI, “Immagini della società italiana – Donne e lavoro”, ROMA 1988

[3] (I Quaderni di in-formazione sull’imprenditoria femminile in Sicilia – Approfondimenti e riflessioni per il rafforzamento delle imprese femminili nel territorio siciliano), “Le donne ed il lavoro – un breve excursus sulla normativa nazionale e regionale – un focus sull’imprenditoria femminile”, a cura del Gruppo di lavoro del Dipartimento per le Pari Opportunità a supporto della Regione Siciliana: Adriana Ferrara – Barbara Mura – Silvia Raudino – Maria Grazia Virga, Dicembre 2011

[4] IBIDEM

[5] FERRARI OCCHIERO M., IN “Amici stranieri? Dialogo della cultura politica in Germania e Italia” – Fondazione Konrad Adenauer (Prospettiva italiana› Economia e sociale› Pari opportunità)


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Giulia Genovese

-P. AVVOCATO ABILITATO AL PATROCINIO SPECIALIZZATA IN DIRITTO CIVILE: – BANCARIO – FALLIMENTARE - DI FAMIGLIA; -AMMINISTRATIVO- DEL LAVORO -UNIONE EUROPEA ED INGLESE GIURIDICO -MASTER II LIVELLO IN DIRITTO AMMINISTRATIVO -MASTER I LIVELLO IN DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA -LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA UNIVERSITA’ DI NAPOLI “FEDERICO II” -MATURITA' CLASSICA -EUROPEAN INFORMATICS PASSPORT -INGLESE : INGLESE GIURIDICO C/O BRITISH SCHOOL ; CORSO DI FORMAZIONE DI INGLESE DEL “SID FORMAZIONE TRAINING SCHOOL” PRESSO CSV - AVELLINO / -FRANCESE: DIPLOME, STAGE DE FRANCAIS INTENSIF PRESSO IL CAMPUS SAINTE THERESE DI OIZOR LA FERRIER-FRANCIA / -ORIENTAMENTO DI DIRITTO DEL LAVORO / -ORIENTAMENTO DI DIRITTO DI FAMIGLIA / -ORIENTAMENTO DIR. PROCESSUALE -"LA MEDIAZIONE OGGI"/ -ORIENTAMENTO DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE -CORSO DI NOZIONI DI FINANZA AGEVOLATA -CORSO DI TECNICHE DI COMUNICAZIONE -CORSO DI TECNICHE DI RACCOLTA ED ARCHIVIAZIONE DATI - CON LA RIVISTA SALVIS JURIBUS: 1) DIRITTO DI FAMIGLIA:“DONNE, LAVORO E...LE GARANZIE CIVILISTICHE?” 2) DIRITTO DEL LAVORO: “DONNE E LAVORO: L’ART. 37 DELLA COSTITUZIONE AL COMPIMENTO DEL SUO – QUASI – 70°COMPLEANNO." 3) DIRITTO PROCESSUALE “CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA… QUESTA SCONOSCIUTA!” 4)DIRITTO AMMINISTRATIVO: “APPALTO CONCORSO: TUTTO QUELLO CHE C’E’ DA SAPERE!”[IN COLLABORAZIONE CON L'AVV. ALBERTO MARIA ACONE E LO STUDIO LEGALE ACONE ]

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