Dove paga le tasse Netflix?

Dove paga le tasse Netflix?

Negli ultimi mesi Netflix ha aumentato i contenuti italiani fruibili dal maggior pubblico che si è garantita nel Belpaese. L’aumento repentino degli utenti aveva fatto drizzar le orecchie alle Fiamme Gialle in ragione dell’enorme incremento dei profitti realizzati sul territorio italiano, a fronte dei quali non corrispondeva alcun prelievo fiscale da parte dello Stato.

Il Pubblico Ministero Gaetano Ruta, che si è occupato delle indagini, ha ritenuto non possibile contestare al colosso statunitense la stabile organizzazione materiale; al tempo dell’inchiesta non era ancora presente in Italia alcuna struttura organizzata con sedi e personale dipendente della famosissima N rossa.

È necessario partire dalle basi e capire cosa si intende per stabile organizzazione. La definizione di stabile organizzazione è contenuta nell’art. 162, comma I, del DPR n. 917/1986, ai sensi del quale si identifica in una sede fissa o centro di affari tramite cui un’impresa non residente in Italia esercita qui la propria attività commerciale.

Individuare quando la sede di una società estera rientri nella definizione di stabile organizzazione è fondamentale ai fini fiscali, poiché essa è soggetta ad imposizione tributaria nel Paese dove ha la sede e non dove risiede la società controllante: la stabile organizzazione è tenuta al pagamento delle imposte dirette in Italia.

Per sede fissa si individua una struttura fisicamente tangibile e che svolge sul suolo italiano un’attività commerciale non meramente occasionale, ma caratterizzata dalla permanenza. Due, quindi, sono i requisiti essenziali: l’organizzazione di un apparato strumentale fisico e lo svolgimento tramite esso di attività commerciale. La stabile organizzazione può essere materiale o personale, quest’ultima non prevede una struttura, appunto, materiale sul territorio ma la presenza di un agente, dipendente dalla società estera, che opera per essa in un diverso Stato.

L’Italia ha inserito il concetto di stabile organizzazione nelle varie Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate con altri Stati, ai sensi dell’art. 5 del Modello OCSE.

Il progresso digitale che ci ha coinvolti negli anni più recenti ha reso possibile alle imprese estere svolgere attività (e conseguire utili considerevoli) sul nostro territorio attraverso strutture dematerializzate. Tutta una serie di attività online opera attraverso servizi digitali, pur non rivestendo quella struttura fisica e tangibile richiesta dal Tuir.

Per anni le c.d. Over The Top (OTT), come Google, Apple, Amazon, Facebook hanno conseguito utili consistenti attraverso attività sul nostro territorio sfuggendo all’amministrazione tributaria italiana. La nozione tradizionale di stabile organizzazione materiale non riusciva a coprire l’attività economica via Web, che può difettare in assoluto di qualsiasi collegamento fisico con il territorio (per parlare in termini pratici, senza neppure uno “sgabuzzino” dove svolgere l’attività). Ne derivava l’impossibilità di individuare la stabile organizzazione, di conseguenza, di tassare i profitti realizzati online. Attività dematerializzate alquanto redditizie bypassavano l’ostacolo della struttura fisica con il risultato di basi imponibili ridottissime in Italia.

L’articolo 5 del Modello OCSE, adeguandosi alla nuova digital economy, ha previsto la possibilità che un’impresa conduca attività commerciale in un altro Stato senza una presenza materiale. Il Tuir, in seguito alle modifiche apportate con la legge di bilancio 2018, ha aggiunto al secondo comma dell’art. 162 la lettera f-bis che considera un modello di stabile organizzazione in Italia di tipo materiale senza consistenza fisica.[1]

Per fronteggiare simili manovre elusive rientra oggi nel nuovo concetto di stabile organizzazione materiale tutto quel complesso di strumenti quali computer, server, algoritmi, cavi, fibre ottiche di cui si serve l’attività commerciale per garantire profitti alla casa-madre.

È proprio a tale definizione che si è agganciata la Procura di Milano l’ottobre dello scorso anno per formulare il capo di imputazione contro il colosso delle serie TV. Netflix tramite argute strategie di pianificazione fiscale aggressiva è riuscita a trasferire i profitti riferibili a due milioni di abbonati dalle filiali italiane verso paradisi fiscali Stati esteri. La sede europea si trova ad Amsterdam, tuttavia, secondo la Procura milanese era riscontrabile in Italia una sede fissa di affari per mezzo della quale è esercitata in tutto o in parte l’attività commerciale. Anche se il colosso del web non ha in Italia strutture e dipendenti quell’insieme di asset quali server, computer, algoritmi rientrano nel concetto di stabile materiale.

Come è strutturato il gruppo societario della grande N rossa?

In base a quanto osservato dal rapporto inglese di Tax Watch[2], la struttura aziendale della grande N si fonda su un modello simile ad altre OTT. La sede della casa madre si trova negli Stati Uniti e i profitti derivanti dagli abbonati europei vengono raccolti da una controllata con sede in Olanda (Netflix International BV), la cui controllante è una società che presuppone una struttura simile a quella che per noi è la Sas. Le società in accomandita semplice olandesi (Commanditaire vennootschaop) hanno il vantaggio di operare in Olanda senza essere visibili al fisco: i soci possono risiedere in uno Stato estero, con la conseguenza che gli utili di tali società non vengono tassati in Olanda, la quale presuppone che siano pagati nella madrepatria, ma neppure nello Stato dove risiedono i partner, che a sua volta presume siano versate al fisco olandese. La società olandese che raccoglie i profitti europei è controllata da un’altra partner del gruppo, Netflix Global Holding CV, la quale ha sede nelle Isole Cayman (noto paradiso fiscale americano). La casa madre afferma di aver cancellato quest’ultima società, tuttavia la vicenda è oscura e non risulta ancora chiaro dove sia la sede ufficiale della grande multinazionale di streaming. Quello che sta attuando Netflix, di fatto, è lo spostamento dei profitti di tantissimi abbonati fuori dagli USA in Paesi a fiscalità agevolata (o quasi assente). Lo confermano anche le dichiarazioni della stessa multinazionale relative al 2018, secondo le quali Netflix avrebbe pagato 43 milioni di dollari al Fisco statunitense, somma, per l’appunto, corrispondente alla cifra versata per la nuova GILTI[3], inserita da Trump, al fine di riportare ad una soglia minima di prelievo fiscale gli utili che le società statunitensi “nascondono” nei paradisi fiscali, tramite proprie partecipate.

In conclusione, in riferimento al panorama italiano, Netflix avrebbe portato “a casa” il 100% degli utili realizzati attraverso una stabile organizzazione occulta (nel significato non fisico sopra spiegato), a fronte dei milioni di abbonati che riscontra qui in Italia. In seguito all’inchiesta di Milano, il Ceo di Netflix, Reed Hastings, ha annunciato l’intenzione di aprire in Italia una sede stabile e sottoporne gli utili a tassazione.

La piattaforma streaming aveva già un team di responsabili di programmazione, marketing e diritti multimediali presso la sede di Amsterdam e che si occupava della diffusione dei contenuti sul mercato italiano. Un gruppo tale di dipendenti ha da poco aperto nella capitale, in omaggio alla città che per l’Italia è un po’ la patria del cinema e della televisione. Ma il trasferimento dai canali dell’Amstel ai canali di Cinecittà, più che un omaggio alla patria di Fellini e De Sica, è forse il risultato della pressione del Fisco italiano.

Negli ultimi mesi Netflix ha aumentato i contenuti italiani fruibili dal maggior pubblico che si è garantita nel Belpaese. L’aumento repentino degli utenti aveva fatto drizzar le orecchie alle Fiamme Gialle in ragione dell’enorme incremento dei profitti realizzati sul territorio italiano, a fronte dei quali non corrispondeva alcun prelievo fiscale da parte dello Stato.

L’ottobre dello scorso anno la procura di Milano ha aperto un’inchiesta contro la multinazionale delle serie TV: il Pm Gaetano Ruta ha ritenuto di portare avanti le indagini nei confronti di netflix per omessa dichiarazione dei redditi ottenuti tramite l’attività commerciale svolta sul nostro territorio. Al tempo delle indagini il colosso multinazionale non era ancora presente nel nostro Paese con una struttura organizzata attraverso sedi e personale dipendente. Secondo il pubblico ministero l’attività di Netflix in Italia configurava quella che è definita dagli esperti stabile organizzazione materiale occulta.

Ma cosa si intende per stabile organizzazione materiale? Ai sensi dell’art. 162 del Tuir, il testo unico delle imposte sui redditi, si configura una stabile organizzazione materiale nella sede fissa o centro di affari tramite cui un’impresa non residente in Italia vi svolge la propria attività commerciale. Dunque, due sono i requisiti: la sede o centro d’affari non occasionale e lo svolgimento di attività commerciale.

Negli anni più recenti il mondo intero ha visto un repentino sviluppo della digital economy, le c.d. Over the Top, cioè le imprese multinazionali del web quali Google, Amazon, Apple, Facebook hanno conosciuto un’espansione sempre più forte nei mercati mondiali con un corrispondente impennarsi dei fatturati.

Le argute strategie di pianificazione fiscale aggressiva organizzate sulla base di società dislocate in Stati a fiscalità agevolata, permettono ai colossi del web di “mettersi in tasca” quasi il 100% del fatturato. Il problema per molti aspetti è radicato proprio in quella definizione di stabile organizzazione legata ad una struttura fisica e tangibile che internet non conosce.

Anche Netflix si è dotata di una struttura simile al modello degli altri colossi del Web. In base al rapporto del centro di ricerca londinese Tax Watch, Netflix attraverso una rete di società offshore ha spostato quasi il totale dei profitti in vari paradisi fiscali.

Ma capiamo come è strutturato il gruppo multinazionale della N rossa: gli utili che Netflix produce grazie agli abbonati europei sono raccolti da una sua partecipata con sede in Olanda, Netflix international bv che a sua volta è controllata dalla holding olandese del gruppo, di proprietà di Netflix Global Holding Cv. Quest’ultima è la corrispondente olandese delle nostre società in accomandita semplice; le società così strutturate hanno il vantaggio di evitare di sottoporre gli utili a tassazione: secondo la legge dei Paesi Bassi tale forma societaria può costituirsi anche se i partner risiedono all’estero con la conseguenza che i profitti non saranno tassati in Olanda, che presuppone che i contributi siano versati nel paese dove risiede la casa-madre, ma neppure nel paese di origine, che ritiene a sua volta che gli utili siano tassati in Olanda. Inoltre, le società olandesi del gruppo riescono a mantenere profitti bassi attraverso l’erogazione infragruppo di somme importanti. La ciliegina sulla torta di una già elaborata pianificazione è la sede di Netflix Global Holding CV nelle Isole Cayman, un noto paradiso fiscale. La compagnia ha riferito di aver cancellato tale sede, tuttavia i documenti fondativi della stessa fanno riferimento alle Cayman e non risulta ancora chiaro dove sia stabilita la casa madre.

Quello che sta attuando Netflix di fatto è lo spostamento dei profitti di tantissimi abbonati fuori dagli USA in Paesi a fiscalità agevolata (o quasi assente). Lo confermano anche le dichiarazioni della stessa multinazionale relative al 2018, secondo le quali Netflix avrebbe pagato 43 milioni di dollari al Fisco statunitense, somma, per l’appunto, corrispondente alla cifra versata per la nuova Global intangible law tax icome, inserita da Trump, al fine di riportare ad una soglia minima di prelievo fiscale gli utili che le società statunitensi “nascondono” nei paradisi fiscali, tramite proprie partecipate.

In conclusione, in riferimento al panorama italiano, Netflix avrebbe portato “a casa” il 100% degli utili realizzati attraverso una stabile organizzazione occulta (nel significato non fisico appena visto). In seguito all’inchiesta di Milano, il Ceo di Netflix, Reed Hastings, ha annunciato l’intenzione di aprire in Italia una sede stabile e sottoporne gli utili a tassazione.

La piattaforma streaming aveva già un team di responsabili di programmazione, marketing e diritti multimediali presso la sede di Amsterdam e che si occupava della diffusione dei contenuti sul mercato italiano. Un gruppo simile di dipendenti ha da poco aperto nella nostra capitale, in omaggio alla città che per l’Italia è un po’ la patria del cinema e della televisione. Ma il trasferimento dai canali dell’Amstel ai canali di Cinecittà, più che da un omaggio alla patria di Fellini e De Sica, è forse il risultato delle pressioni del Fisco italiano.

Negli ultimi anni il numero degli abbonati italiani a netflix è cresciuto a dismisura.

In conseguenza di tale aumento la procura di milano ha aperto un’inchiesta contro la piattaforma streaming per omessa dichiarazione dei redditi ottenuti in italia tramite quella che si definisce stabile organizzazione materiale occulta. Pur non avendo al tempo delle indagini una sede fissa in Italia, Netflix attraverso il complesso di server cavi e fibre ottiche operava sul mercato italiano e raccoglieva gli utili tramite una controllata in Olanda, la cui normativa fiscale permetteva di evitarne la tassazione. In seguito all’inchiesta milanese il Ceo di netflix, Reed Hastings, aveva annunciato l’intenzione di aprire una sede a Roma in omaggio alla patria del cinema e della tv. Ma bisogna chiedersi se il trasferimento dai canali dell’amstel a quelli di cinecittà sia piuttosto dovuto alle pressioni del fisco italiano.

 

 

 

 

 


[1] La lettera f-bis del comma II dell’artico 162 del DPR n.917/1986 indica come stabile organizzazione “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non far risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso”.
[2] Secondo il rapporto inglese di TaxWatch Netflix ha spostato utili per 430 milioni di dollari dalle sue filiali internazionali verso paradisi fiscali. La sede della multinazionale.
[3] LA Global Intangible Law Tax Icome è il regime di tassazione per trasparenza introdotto da Trump che grava in capo alla controllante, residente negli Usa, sui redditi attribuibili ai beni immateriali conseguiti dalle controllate estere, nelle quali detiene almeno il 10%, direttamente o indirettamente.

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