È nullo il mutuo fondiario finanziato oltre la soglia dell’80%? La disciplina ex art. 38 T.U.B., il contrasto giurisprudenziale e la “terza via”

È nullo il mutuo fondiario finanziato oltre la soglia dell’80%? La disciplina ex art. 38 T.U.B., il contrasto giurisprudenziale e la “terza via”

Sommario: 1. La nozione di mutuo – 2. Il mutuo fondiario – 3. Il superamento della soglia di finanziabilità e il contrasto giurisprudenziale – 4. La terza via

 

1. La nozione di mutuo

Il mutuo è il principale tipo di contratto stipulato per ottenere un prestito, le cui origini sono risalenti al diritto romano. A detta di Gaio, ex meo tuum fit, un’assonanza che rende bene la sostanza del rapporto negoziale preso in esame: ciò che è mio, da mio diventa tuo. Nel contratto di mutuo, infatti, la parte mutuante trasferisce all’altra la proprietà di una determinata cosa fungibile (quale il denaro) e l’altra parte, mutuataria, si obbliga alla riconsegna, entro un certo periodo di tempo, di cose della stessa specie e nella stessa quantità. Il mutuo è considerato un contratto reale: i suoi effetti si producono con la consegna materiale della cosa, nel momento in cui il mutuatario ne ha la piena ed immediata disponibilità. È un contratto oneroso, in quanto colui che acquista la proprietà della cosa oggetto del mutuo è tenuto a corrispondere un prezzo, che nel caso del denaro è rappresentato dal tasso di interesse (per la cui determinazione il codice rimanda all’art. 1284 cod. civ. in tema di obbligazioni pecuniarie). Il contratto di mutuo avente ad oggetto il denaro svolge una funzione creditizia. Per tali ragioni, è un contratto stipulato, tipicamente, con gli istituti di credito. Accanto, quindi, alla disciplina generale, accolta all’interno del nostro codice agli art. 1813 e ss., il mutuo è regolato dalle norme sull’attività bancaria, in particolare, il d. lgs. n. 385 del 1993, il cd. Testo Unico Bancario (T.U.B.) Esistono diverse tipologie di mutuo, che si differenziano per lo più in base al tasso di interesse applicato, alla durata, allo scopo principale per cui è stato stipulato dalle parti. Il mutuo fondiario, pur non essendo un mutuo di scopo, poiché di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a determinate finalità, è connotato dalla semplice possibilità di prestazione da parte del proprietario di immobili (rustici o urbani) a garanzia ipotecaria (tra le altre cfr. Cass. n. 4792 del 26/03/2012 e n. 9511 del 20/04/2007). Tale tipologia di mutuo riveste una particolare influenza sul mercato immobiliare, ancora maggiore se contestualizzata al momento di forte crisi pandemica che stiamo vivendo, che da un lato ha reso ancora più centrale il valore degli immobili e il diritto all’abitazione, dall’altro ha messo a dura prova la tenuta finanziaria del sistema. Sicché, vale la pena soffermarsi sulla disciplina del mutuo fondiario e sul contenzioso avente ad oggetto la verifica ed il rispetto dei parametri per la sua validità.

2. Il mutuo fondiario

La disciplina del mutuo fondiario è contenuta agli artt. 38 e ss. del d. lgs. n. 385/1993. La disposizione sancisce, al primo comma, che «il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili». Col secondo comma affida alla Banca d’Italia il compito di individuare il limite massimo dei finanziamenti «in rapporto al valore dei beni ipotecati», in conformità alle deliberazioni del CICR. Il CICR, con la deliberazione del 22/4/1995, ha individuato tale limite di finanziabilità «pari all’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi»; percentuale che «può essere elevata fino al 100% qualora vengano prestate garanzie integrative.» Sicché, il mutuo, per dirsi fondiario, deve caratterizzarsi: i. per la garanzia reale prestata dal soggetto mutuatario, mediante iscrizione ipotecaria di primo grado sull’immobile concesso in garanzia; ii. per il suddetto limite di finanziabilità, individuato dal combinato disposto dell’art. 38 T.U.B. e della deliberazione del CICR. 

La ratio dell’art. 38 del T.U.B è stata chiarita dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 175 del 2004, secondo cui l’intenzione del legislatore è stata quella di «favorire la “mobilizzazione” della proprietà immobiliare – e, in tal modo, l’accesso a finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di situazioni di crisi dell’imprenditore». L’obiettivo di tale scelta di politica economica è quello di rendere più agevole la concessione del credito bancario, assicurando, al contempo, all’ente mutuante una garanzia proporzionata al valore dell’immobile in caso di inadempimento. La disciplina dispone un trattamento di favore alla Banca che eroghi un tal tipo di finanziamento, assegnandole dei privilegi sostanziali e processuali, ad esempio sul versante del consolidamento breve dell’ipoteca fondiaria (art. 39 T.U.B.) e nell’ambito del processo esecutivo individuale, attivabile pur in costanza di fallimento (art. 41 T.U.B.). Pertanto, limitando inderogabilmente l’autonomia privata, la norma è, da un lato, funzionale alla tutela degli interessi dell’Istituto di credito (onde evitare che siano concessi finanziamenti senza adeguata copertura), dall’altro, è mossa a tutela dell’interesse pubblico. La disposizione in esame, infatti, ha indiscutibili conseguenze sull’equilibrio, la stabilità e la competitività del sistema finanziario (Cass. 28/11/2013, n. 26672) ed è considerata, pertanto, una norma imperativa di ordine pubblico, volta alla tutela dell’intero mercato del credito.

Tale considerazione ha, inevitabilmente, delle ricadute, sulla fase patologica del contratto di mutuo fondiario. Infatti, mentre in caso di violazione di quanto previsto dall’art. 117 T.U.B. in tema di contratti bancari il legislatore ha ravvisato una ipotesi di nullità relativa, nel caso della violazione dell’art. 38 non può dirsi altrettanto. Parte della giurisprudenza (cfr. Cass. n.17352/2017 e successive pronunce dello stesso orientamento) ravvisa nel superamento del limite di finanziabilità previsto dall’art. 38 T.U.B. un’ipotesi di nullità cd. virtuale, ai sensi dell’art. 1418 c.c. Nullità conseguente, per l’appunto, alla violazione di una norma imperativa quale è l’art. 38, che, come sottolineato dalla Suprema Corte, persegue «obiettivi economici di carattere generale, attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale».

3. Il superamento della soglia di finanziabilità e il contrasto giurisprudenziale

Con un primo orientamento risalente al 2013 (Cass n. 26672/2013) la Corte di Cassazione ha preliminarmente chiarito che la determinazione del limite massimo di finanziabilità non è manifestazione del potere “tipizzatorio” di cui è titolare Banca di Italia e pertanto non rientra tra le ipotesi previste dall’art. 117 T.U.B.: tale disposizione attribuisce a Banca d’Italia il potere di stabilire il contenuto di certi negozi, mediante l’apposizione di clausole determinative dell’oggetto del contratto. Diversamente, il limite di finanziabilità non inerisce all’oggetto del contratto, che di per sé è già tipizzato, bensì al valore massimo del finanziamento. Ciò si evince dal fatto che quest’ultimo si determina in base ad un giudizio valutativo e di stima dell’immobile (ai sensi dell’art. 120-duodecies T.U.B), senza che sia predeterminato alcun limite di valore. Dopo aver escluso la possibilità di prevedere una nullità di protezione, non ravvisandosi una posizione di debolezza del consumatore che, in qualche misura, sarebbe avvantaggiato dal superamento della soglia massima finanziabile del mutuo, la Suprema Corte si è attestata sulla tradizionale impostazione secondo cui unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere eventualmente fonte di responsabilità, ovvero quando la legge assicura l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi (Cass. sez .un. 26724/07; Cass 25222/10) Pertanto, la Corte ha ritenuto che disporre la nullità del contratto stipulato in violazione del limite di finanziabilità sia una conseguenza eccessiva rispetto alla finalità perseguita dalla norma violata. La nullità del mutuo, travolgendo altresì la connessa garanzia ipotecaria, pregiudicherebbe quella stessa stabilità finanziaria che la norma intende tutelare. Secondo tale orientamento, l’art. 38 del .T.U.B. avrebbe, pertanto, il carattere di norma imperativa di comportamento (il riferimento è alla distinzione tra nome imperative di comportamento e di validità, cfr. Cass. Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724 in tema di servizi di intermediazione finanziaria), destinata agli istituti di credito, affinché non eccedano nel concedere finanziamenti senza adeguate coperture. Dalla violazione di suddetta disposizione, pertanto, non potrebbe derivare alcuna nullità virtuale, parziale o meno, del contratto di mutuo fondiario. La violazione dell’art. 38 T.U.B., infatti, non inciderebbe in alcun modo sugli elementi essenziali del contratto, in tal modo non inficiando la validità del sinallagma contrattuale. Sulla base di tali presupposti, la accertata violazione della norma potrebbe, tutt’al più, comportare l’irrogazione delle sanzioni disciplinari previste dall’ordinamento bancario (art. 145 del T.U.B.)

Nel 2017, la Corte di Cassazione si è espressa con un radicale mutamento di prospettiva. Preliminarmente, ha aderito a quanto in precedenza affermato in ordine alla non riconducibilità della fattispecie della violazione dell’art. 38 T.U.B. alla nullità testualmente stabilita dall’art. 117 T.U.B. ottavo comma «perché l’indicazione dell’importo massimo finanziabile non fa parte del contenuto del contratto di credito fondiario che può considerarsi tipico secondo il disposto di quella norma». Successivamente, a fronte della poca incisività del rimedio delle sanzioni amministrative che lasciavano impunito il mancato rispetto del principio della par condicio creditorum, la Corte ha ritenuto che la violazione della norma sui limiti di finanziabilità fondiaria debba costituire causa di nullità del contratto di mutuo e della relativa concessione di garanzia ipotecaria. La pronuncia n. 17352 del 2017 ha messo in luce, infatti, che quanto determinato dalla Banca d’Italia e dalle delibere del CICR sulla determinazione dei limiti di finanziabilità «si inserisce tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa dirsi “fondiario». Sulla base di tale presupposto, e ritenuto che l’interesse meritevole di tutela sotteso al rapporto abbia natura di interesse pubblico, la Corte ha sancito il principio per cui «il mancato rispetto del limite di finanziabilità, ai sensi dell’art. 38, secondo comma, del T.u.b. e della conseguente delibera del Cicr, determina di per sé la nullità del contratto di mutuo fondiario; e poiché il detto limite è essenziale ai fini della qualificazione del finanziamento ipotecario come, appunto, “fondiario”, secondo l’ottica del legislatore, lo sconfinamento di esso conduce automaticamente alla nullità dell’intero contratto fondiario, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario ove ne risultino accertati i presupposti.» (vd. anche Cass. n. 19016/17, Cass. n. 13286/18, Cass. n. 22466/18, Cass. n. 1193/20).

Qualora la norma imperativa possa essere efficacemente tutelata con rimedi diversi, in ossequio al principio di conservazione degli effetti giuridici del negozio, non può essere dichiarata la caducazione totale degli effetti del contratto. Pertanto, si è ragionato in ordine all’ammissibilità della conversione del contratto nullo ai sensi dell’art. 1424 cod. civ., a mente del quale il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità. L’istituto della conversione opera a fronte della sussistenza della declaratoria di nullità di un contratto, che viene trasformato in un contratto diverso del quale condivida i requisiti essenziali, di forma e sostanza. È da ritenersi applicabile a fronte della prova che le parti, in buona fede, avrebbero comunque voluto il contratto dichiarato nullo se avessero conosciuto la nullità. La domanda di conversione, da proporsi su istanza di parte nella prima difesa utile (cfr. SS.UU. Cass. 26242/2014, che esclude la pronuncia di conversione in assenza di una esplicita domanda di parte, visto il carattere meramente individuale degli interessi sottesi) è costitutiva, pertanto, di un nuovo contratto i cui effetti si producono in coerenza con il negozio precedente e in continuità con la volontà manifestata dai contraenti.

4. La terza via 

La vexata quaestio ha trovato, nel 2019 un nuovo sviluppo nel dibattito, sia dottrinale che giurisprudenziale. Parte dei giudici di merito e di legittimità hanno rimeditato la questione, risolvendola sul piano della qualificazione del negozio giuridico. La qualificazione è il momento dell’interpretazione del contratto in cui il Giudice di merito si fa carico di individuare il tipo normativo maggiormente compatibile con la sintesi complessiva degli interessi manifestati dalle parti contraenti, al di là del nomen iuris che queste hanno inteso utilizzare. A norma dell’art. 1367 cod. civ., il contratto deve essere interpretato nel senso in cui possa produrre qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbe alcuno. Gli effetti giuridici del negozio, che ne costituiscono la funzione e che nel mutuo sono la consegna di una determinata quantità di denaro a fronte dell’obbligo di restituzione, si possono produrre attraverso molteplici strutture e schemi tipici (mutuo fondiario, ipotecario, ecc.). Nel caso in cui il negozio sia affetto da mancanza di uno dei requisiti fondamentali per poter essere ricondotto al tipo modellato dall’iniziativa dei soggetti, al Giudice è consentito di riqualificare lo schema contrattuale in un modello aderente ai principi dell’ordinamento giuridico, facendo comunque salva la volontà delle parti. Pertanto, il mutuo che per struttura non è conforme alle disposizioni dell’art. 38 T.U.B. può essere riqualificato dal Giudice in mutuo ordinario, con disapplicazione della disciplina riservata al creditore mutuante, il quale non può giovarsi dei privilegi riconosciuti dalla normativa speciale fondiaria, facendo salvi gli effetti del contratto di mutuo ipotecario originario nonché della garanzia ipotecaria. La Cassazione, testualmente, ritiene che « il superamento del limite di finanziabilità non comporterebbe, in quanto ad esso estrinseco, la nullità del sinallagma né la verifica della possibilità di dar luogo alla conversione in altro tipo di contratto, ma semplicemente la disapplicazione della speciale disciplina del mutuo fondiario, con conservazione del contratto di mutuo ipotecario originario e della garanzia ipotecaria».

Pertanto, il contratto di mutuo può essere riqualificato alla stregua di mutuo ordinario ipotecario, senza che sia necessario passare per una dichiarazione di nullità e di conversione, ma semplicemente mediante una riqualificazione del negozio in mutuo ordinario, con garanzia ipotecaria (in tal senso, senza pretesa di completezza, Trib. Sassari n. 1313/2019; Trib. Roma sez. XVII n. 12972/2020; Trib. Torino Sez. spec. Impresa n. 4607/2020; Trib. Napoli, sez. V, n. 7534/2021; Trib. Verona 15 aprile 2021). Tale orientamento, quindi, fa salvo il mutuo e le sue garanzie, in favore della tutela dell’equilibrio finanziario dell’Istituto di credito, a fronte della già intervenuta erogazione del capitale, con il solo effetto di disconoscere i privilegi sostanziali e processuali collegati alla fondiarietà del mutuo. 

La “terza via“, dunque, parrebbe quella maggiormente conforme al fondamento giuridico dell’art. 38 del T.U.B., sia per il riconoscimento della valenza imperativa della norma, posta a tutela della stabilità del sistema finanziario attraverso la sana e prudente gestione del singolo intermediario, sia nel rispetto degli art. 1424 e 1367 cod. civ., espressione del principio di conservazione dei negozi giuridici. 


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