E’ possibile eludere il divieto di ius novorum in appello?

E’ possibile eludere il divieto di ius novorum in appello?

Dispone l’art. 345 comma 3 del c.p.c.: “…Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile…”.

Il primo elemento da esaminare nella fattispecie qui vagliata è la “novità”.

E’ dunque indispensabile valutare, preliminarmente, se il mezzo di prova di cui si chiede l’ammissione o il documento prodotto, possano definirsi “nuovi”, perché in caso contrario non sarebbero sottoposti al divieto di ius novorum.

L’elemento di novità, si concretizza ogni qual volta non sia desumibile dal tenore degli scritti di primo grado una allegazione specifica.

E ancora, il mezzo di prova è da considerare “nuovo”, quando non v’è risultanza (se non in appello) di una specifica proposta in ordine a un fatto dedotto in giudizio, nonché quando sia diretto a dimostrare un fatto già sottoposto all’accertamento del giudice di prime cure, ma mediante un mezzo istruttorio diverso. Rientra nell’ambito del divieto di ius novorum pure la richiesta di esibizione di cui all’art. 210 c.p.c., che può dunque essere avanzata in appello solo come reiterazione di quella di primo grado (v. Cass. civ. n. 24414/2009).

Il secondo elemento da considerare è la “non colpevolezza”, ovvero l’estraneità ai fatti impeditivi, cioè, la terzietà rispetto ai fatti che hanno contrastato la produzione documentale o la richiesta di assunzione dei mezzi istruttori.

La parte incorsa in una decadenza o in una prescrizione, per poter superare le normali conseguenze di legge ricollegate all’intempestività della produzione, è tenuta a dimostrare, sostanzialmente, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’istituto della rimessione in termini, attualmente previsto dall’art. 153, comma 2 del c.p.c: “…La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini…”.

Le cause che consentono la rimessione in termini, non imputabili alla parte, principalmente sono quelle dovute a ragioni di forza maggiore, bisogna quindi spiegare che la decadenza sia stata determinata da un fattore estraneo, del quale è necessario fornire la prova della non imputabilità, ai sensi dell’art. 294 c.p.c. (Cass. civ., sent. n. 7003/2011).

Terzo ed ultimo elemento è la “tempestività”, perché l’iniziativa della parte deve essere immediata al palesarsi della preclusione.

In ordine al concetto oggetto di analisi, la Suprema Corte di Cassazione, si è espressa ex plurimis con sentenza n. 23561/2011: “…La rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’art. 184 bis c.p.c., quanto in quella di più ampia portata prefigurata nel novellato art. 153, secondo comma, c.p.c., presuppone la tempestività dell’iniziativa della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile, tempestività da intendere come immediatezza della reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa…” e con sentenza n. 4841/2012: “…La rimessione in termini prevista dall’art. 153, comma 2, c.p.c. (ovvero, in precedenza, dall’art. 184 bis dello stesso codice) deve essere domandata dalla parte interessata senza ritardo e non appena essa abbia acquisito la consapevolezza di avere violato il termine stabilito dalla legge o dal giudice per il compimento dell’atto…”.

In sostanza, per evitare l’ostacolo di cui all’art. 345 c.p.c. comma 3, quindi il divieto di ius novorum, le istanze istruttorie non devono essere caratterizzate dalla novità, la parte deve dimostrare di essere incorsa nelle preclusioni per un fatto ad essa non imputabile, ovvero per ragioni estranee alla sua volontà, e deve necessariamente far valere le proprie ragioni in primo grado, o meglio non appena si è manifestata la preclusione.

Pier Vincenzo Garofalo


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