E’ valido in Italia il matrimonio telematico all’estero

E’ valido in Italia il matrimonio telematico all’estero

La Corte di Cassazione, con la sentenza 15343/2016, ha ritenuto la compatibilità con l’ordine pubblico interno del matrimonio celebrato in Pakistan da una cittadina italiana e da un cittadino pakistano e contratto, secondo la legge straniera, in forma telematica e, dunque, senza la contestuale presenza dei nubendi. La pronuncia, recante la data del 20 giugno 2016, ribadisce un filone interpretativo già espresso da parte dei giudici di legittimità, che ancora una volta hanno evidenziato la compatibilità di una simile decisione con le norme interne in materia di celebrazione del matrimonio e con il diritto internazionale privato, non ravvisando alcun motivo ostativo.

La decisione della prima sezione civile della Suprema Corte assume un valore anche contingente, pertanto risulta particolarmente attuale, alla luce dei diversi matrimoni tra persone di nazionalità diverse già celebrati o comunque di nozze tra nubendi di cui almeno uno straniero, stabilitisi in Italia, il cui riconoscimento consente di far vivere anche all’interno del nostro ordinamento lo stato giuridico contratto all’estero. Nella vicenda che ci occupa, rileva dunque la lex loci, ovvero la legge del luogo in cui si è prodotto e consumato il rapporto giuridico, dovendo la correttezza formale di questo essere salvaguardato da parte del diritto straniero, nell’ottica della certezza dei traffici giuridici.

La sentenza 15343/2016, pur senza dilungarsi nell’analisi, offre l’unico vero ostacolo a che un matrimonio inter absentes contratto all’estero possa non essere riconosciuto: la violazione dei principi e valori fondamentali del nostro ordinamento, e in particolar modo le violazioni del consenso, vero e proprio requisito per la stipula di un contratto. Qualora non vi sia distorsione del consenso, il matrimonio celebrato anche in forma telefonica risulta essere valido, se tale è per l’ordinamento di almeno uno dei due coniugi. Richiamato dalla pronuncia in esame, il principio ben risponde all’art. 28 della legge 218/1995 sulla riforma del diritto internazionale privato: “il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento”.

Appare interessante analizzare l’iter interpretativo – motivazionale della Corte, che giunge alla sua conclusione a partire proprio dalle norme interne. Il codice civile italiano, all’art. 111, prevede la celebrazione del matrimonio inter absentes, inserendo il matrimonio per procura per determinate categorie di soggetti e di situazioni, quali, in tempo di guerra, quelle dei militari e delle persone che per ragioni di servizio si trovano al seguito delle forze armate. Al di là della non inderogabilità di quanto previsto ex art. 107 c.c. rispetto alle modlaità di svolgimento della celebrazione del matrimonio, ciò che rileva è proprio la previsione esplicita di un matrimonio senza la presenza di un coniuge dinanzi all’ufficiale, che quasi giustifica la capacità dell’ordinamento di sopportare forme atipiche della celebrazione.

In fatti, se la normativa italiana stima lecito un matrimonio ‘a distanza’, allora in tali casi non considera viziato il consenso dei coniugi stessi. Per analogia, anche in un matrimonio telematico – magari via Skype come nel caso che ci occupa – non viene lesa la manifestazione del consenso contrattuale, vero e proprio cardine della disciplina contrattualistica nostrana. I giudici di legittimità, proprio nella sentenza 15343/2016, specificano che “non può ritenersi che siano insussistenti i requisiti minimi per la giuridica configurabilità del matrimonio medesimo, e cioè la manifestazione di una volontà matrimoniale da parte di persone di sesso diverso, in presenza di un ufficiale celebrante”. Trattasi di una sorta di analogia legis ac iuris alquanto sostanziosa, che fa rinvenire nel nostro ordinamento la giustificazione, l’accettazione, la riconoscibilità giuridica di un matrimonio contratto secondo le forme previste dall’ordinamento di almeno uno dei due coniugi. Tale approdo giurisprudenziale, era stato già analizzato dal Tribunale di Bologna con un decreto del 13/01/2014: “v’è davvero da chiedersi se un ordinamento che prevede espressamente in capo ai propri consociati (in casi sicuramente eccezionali sì, ma neppure oggetto di elencazione tassativa) la possibilità di unirsi in matrimonio anche inter absentes, possa ritenersi vulnerato nelle proprie fondamenta da una previsione normativa straniera che ammetta la celebrazione di un matrimonio per via telematica, alla presenza di un officiante e di quattro testimoni”.

Alla luce di ciò, anche la forma – ovvero il veicolo di celebrazione del matrimonio – risulta un requisito attenuato, quasi inderogabile, e comunque soccombente rispetto al consenso delle parti. Secondo la dottrina, “il matrimonio appartiene per sua natura all’ordine dei rapporti interpersonali e pertanto la volontà di contrarre dell’uno deve incontrarsi con la medesima volontà dell’altro, e ciò diventa possibile soltanto se la volontà di entrambi diviene percepibile attraverso, appunto, la sua manifestazione esterna” (A. D’Auria, Il Consenso Matrimoniale. Dottrina e giurisprudenza canonica). È il consenso, dunque, che rende legittimo l’atto. Ma non basta, perché tale consenso deve essere legitime manifestatus, ovvero conforme all’ordinamento giuridico che lo riconosce e lo tutela. Nel caso che ci occupa – è il ragionamento della Suprema Corte – non ci sono norme del nostro ordinamento, di principio e sostanziali, ostative a un matrimonio contratto per via telematica, e soprattutto vige un diritto internazionale privato che prevede espressamente la liceità della forma del matrimonio secondo la legge di uno dei due coniugi. Impedire il riconoscimento di un matrimonio contratto via Skype secondo norme legittime seppure straniere sarebbe quindi una violazione dello stesso diritto internazionale privato.

In ragione di quanto appena detto, correttamente Cass. 15343/2016 richiama il proprio precedente di 20559/2006 quando aveva postulato il diritto al ricongiungimento familiare di coniugi che avevano celebrato il matrimonio in via telefonica alla presenza di testimoni.


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Fabio Mandato

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