Equiparazione tra contagio da coronavirus e infortunio sul lavoro

Equiparazione tra contagio da coronavirus e infortunio sul lavoro

La circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020 si occupa della tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro. Tutti i casi accertati di COVID-19 sono equiparati agli infortuni sul lavoro se il contagio è avvenuto durante l’attività lavorativa o in itinere.

Ciò pone una serie di interrogativi: come si considera accertato il contagio ai fini della tutela INAIL e a quali categorie di lavoratori ci si riferisce.

L’art. 42, comma 2, del c.d. decreto “CURA ITALIA” stabilisce che, nei casi accertati di infezione da coronavirus  in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail. Le prestazioni Inail nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro.

Ai fini della certificazione dell’avvenuto contagio si ritiene valida qualsiasi documentazione clinico-strumentale in grado di attestare, in base alle conoscenze scientifiche, il contagio stesso.

Quanto alle categorie di lavoratori coinvolti si fa riferimento soprattutto agli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio oltre a tutte le altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. Ad esempio i lavoratori che operano alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi.

Per tutte queste categorie la circolare INAIL stabilisce proprio una presunzione semplice e cioè: se i soggetti interessati rientrano in tali tipologie lavorative e viene accertato il contagio allora si ritiene che quest’ultimo sia di origine professionale e, dunque, soggetto alla tutela INAIL. Ciò considerata, appunto, l’elevatissima probabilità che i lavoratori vengano a contatto con il nuovo coronavirus.

Ai fini della certificazione dell’avvenuto contagio si ritiene valida qualsiasi documentazione clinico-strumentale in grado di attestare, in base alle conoscenze scientifiche, il contagio stesso.

E per tutte le altre attività lavorative?

Questa presunzione non è automatica. Infatti, se l’episodio che ha determinato il contagio non sia noto o il lavoratore non può provare che il contagio si sia verificato durante l’esercizio delle proprie mansioni, allora si dovrà procedere con un accertamento medico-legale ad hoc che dovrà valutare gli elementi epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale per capire se il contagio possa essere o meno ricondotto all’attività lavorativa.

E cosa succede in relazione agli infortuni in itinere, quelli, cioè, occorsi durante la percorrenza del normale tragitto di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro?

La circolare afferma testualmente: “In merito all’utilizzo del mezzo di trasporto, poiché il rischio di contagio è molto più probabile in aree o a bordo di mezzi pubblici affollati, al fine di ridurne la portata, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza sul luogo di lavoro è considerato necessitato l’uso del mezzo privato per raggiungere dalla propria abitazione il luogo di lavoro e viceversa”.

Considera, dunque, necessario (ed auspicabile) che il lavoratore si sposti con la propria auto al fine di prevenire le situazioni di contagio, ma non esclude l’applicabilità della procedura infortunistica laddove il lavoratore debba necessariamente spostarsi con i mezzi pubblici.


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