Fallimento e leasing, i nuovi principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza 2061/2021

Fallimento e leasing, i nuovi principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza 2061/2021

Con la Sentenza n° 2061/2021 depositata in Cancelleria il 28/01/2021 le Sezione Unite Civili della Corte di Cassazione hanno enunciato due nuovi principi di diritto in tema di Fallimento e di Contratto di Leasing.

In particolare le Sezioni Unite si sono pronunciate sul caso del fallimento dell’utilizzatore, sulla risoluzione del contratto di Leasing per inadempimento dell’utilizzatore e sull’applicazione analogica dell’articolo 72 della Legge Fallimentare.

La vicenda processuale. In estrema sintesi il caso su cui si sono trovate a statuire le Sezioni Unite della Cassazione riguardava una società di leasing che aveva esercitato il proprio diritto a vedersi corrisposte le rate scadute e non pagate di un contratto di leasing strumentale. L’utilizzatore, infatti, in un primo momento si era reso inadempiente e, successivamente, aveva dichiarato fallimento. La società di leasing aveva, quindi, chiesto di poter insinuare al passivo il proprio credito. L’istanza di ammissione al passivo veniva rigettata dal giudice delegato in ragione del fatto che, essendosi risolto il rapporto prima della dichiarazione di fallimento, doveva ritenersi applicabile l’articolo 1526, in forza del quale al concedente era dovuto soltanto un “equo compenso per l’uso della cosa”. Tanto più che, secondo il giudice di merito, l’utilizzatore aveva versato, nel corso del rapporto, un ammontare ben superiore a quello corrispondente all’equo compenso calcolato. Di conseguenza, il giudice delegato aveva ordinato al concedente di restituire alla curatela fallimentare la relativa differenza.

La società di leasing, quindi, impugnava lo stato passivo reso esecutivo in base al disposto dell’articolo 98 della Legge Fallimentare, chiedendo l’ammissione del proprio credito. Il Tribunale di Macerata, con interpretazione conforme a quella del primo giudice adito, rigettava l’opposizione. Di conseguenza, la società di leasing proponeva ricorso per cassazione.

Le premesse delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte. In via preliminare, le Sezioni Unite chiariscono che non è possibile affermare, come sostenuto da parte ricorrente,  la non risolubilità per inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, del contratto di leasing intercorso tra le parti in quanto contratto di durata già giunto alla sua naturale scadenza.

Le S.U. ricordano che, alla luce della giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, anche se riferita a fattispecie contrattuali diverse ,nella specie il contratto di mandato e quello di appalto, è possibile enucleare un principio più generale ( la cui tenuta, comunque, deve essere testata nelle singole vicende), per cui la cessazione di efficacia di un contratto, per lo spirare del termine di durata, non preclude, di per sé, la possibilità di far valere rimedi risolutori, azionabili per un inadempimento concretatosi anteriormente alla scadenza naturale del contratto medesimo.

E questo non solo in ragione dell’alterità, nonché priorità degli effetti nel tempo, della risoluzione rispetto ad altra causa di cessazione del contratto, ma, altresì, in forza del potere di autonomia privata del contraente non inadempiente – che trova corrispondenza nella consentita alternativa dei rimedi ( adempimento e risoluzione) e nella prevalenza di quello risolutorio alla stregua di quanto disposto dai primi due commi dell’articolo 1453 del Codice Civile – il quale, in ragione della cessazione fisiologica del termine di durata del contratto, sarebbe privato della possibilità di far valere l’inadempimento altrui.

D’altra parte, continuano le Sezioni Unite, questo non elide quella verifica, caso per caso – messa in evidenza dall’ordinanza interlocutoria n° 5022/2020 – dell’ammissibilità della domanda di risoluzione di un contratto di durata, per l’inadempimento delle relative obbligazioni, pur a fronte della cessazione del rapporto per altra causa, successiva all’inadempimento (nella specie, per la intervenuta scadenza naturale), dovendo sussistere un concreto ed attuale interesse alla tutela azionata che, di regola, non potrebbe darsi ove, essendo la pretesa circoscritta all’adempimento dei corrispettivi insoluti o al risarcimento del danno, trovi immediato rilievo il regime dettato dall’articolo 1458, primo comma, secondo periodo, del Codice Civile, per cui gli effetti della risoluzione non si estendono alle prestazioni già eseguite.

Da ciò, infatti, deriverebbe che si verrebbero a sterilizzare le conseguenze liberatorie e restitutorie che, normalmente, discendono dalla disciplina della risoluzione, per di più caratterizzata dalla retroattività, proprio in forza del primo comma, primo periodo, dello stesso articolo 1458. Ma in tal modo, si renderebbe inutile la domanda giudiziale, in quanto dal suo eventuale accoglimento non potrebbe discendere alcun effetto che non si sia già prodotto, ad esempio la cessazione del rapporto. O anche che non sia conseguibile con la domanda di adempimento e con la generale azione di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 1218 Codice Civile, in quanto autonomamente proponibile rispetto a quella di risoluzione.

La risoluzione nel leasing. Facendo applicazione dei principi sopra esposti al caso di specie, le Sezioni Unite  chiariscono che l’alternativa anzidetta non è ricompresa nella impugnazione portata all’attenzione degli Ermellini. Di conseguenza, non è immediatamente applicabile per quanto attiene agli effetti risolutori del contratto di leasing.

D’altra parte, continuano le S.U., è possibile rinvenire nella presente opposizione una diversa alternativa. Questa sarebbe “scolpita”, per i supremi giudici, dall’applicazione, per di più  già effettuata anche dal giudice di merito, dell’articolo 1526 Codice Civile al contratto inter partes e, dall’altro, dell’operatività , invocata dall’odierna ricorrente, dell’articolo 72-quater della Legge Fallimentare ( che da rilievo all’eventuale credito in favore del concedente risultante dalla differenza tra quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene e il credito contrattuale residuo in linea capitale) e, dunque, tra rimedi che si atteggiano, entrambi, in termini differenti ed ulteriori rispetto a quelli ( adempimento e risarcimento del danno ex articolo 1218 Codice Civile) correlati alle conseguenze ordinariamente disposte dall’articolo 1458 Codice Civile.

Il contrasto giurisprudenziale posto alle Sezioni Unite. Dopo tali premesse, le Sezioni Unite passano ad analizzare il contrasto giurisprudenziale sorto e portato allo loro attenzione.

I giudici fanno notare che la società ricorrente sostiene che, a seguito della tipizzazione del contratto di Leasing, ad opera della Legge 124/2017 all’articolo 1, commi da 136 a 140, sarebbe venuta meno la distinzione tra leasing traslativo e di godimento, essendo stata ascritta al contratto una disciplina unitaria, la quale, a differenza di quanto previsto dall’articolo 1526 del Codice Civile, consente al concedente di pretendere dall’utilizzatore non già e non solo un equo compenso, ma di trattenere i canoni pagati, pretendere il pagamento di quelli scaduti e non pagati, ed esigere quelli ancora a scadere, più il prezzo di opzione.

Da ciò deriverebbe che il superamento di tale distinzione comporterebbe che gli effetti della risoluzione di un contratto non soggettoratione temporis, alla Legge 124/2017 dovranno trovare la propria disciplina di riferimento in quella dettata dall’articolo 72-quater Legge Fallimentare, quale norma da applicare in via analogica in luogo del non più richiamabile, analogicamente, articolo 1526 Codice Civile.

Da parte sua, la Terza Sezione Civile della Cassazione rimettente la questione ha dato conto, innanzitutto, del diritto vivente formatosi sulla distinzione, in seno al contratto di leasing finanziario ( o locazione finanziaria), tra leasing di godimento ( in cui il rapporto ha, essenzialmente, una funzione di finanziamento a scopo di godimento e, quindi, con una previsione dei canoni su base eminentemente corrispettiva di tale scopo, essendo marginale ed accessoria la pattuizione relativa al trasferimento del bene alla scadenza dietro pagamento del prezzo d’opzione) e leasing traslativo ( in cui il rapporto è indirizzato anche al trasferimento del bene, in ragione di un’apprezzabile valore residuo di esso al momento della scadenza contrattuale, notevolmente superiore al prezzo di opzione, mostrando i canoni anche la consistenza di corrispettivo del trasferimento medesimo) e della affermata diversità di regole applicabili all’una o all’altra fattispecie negoziale, avendo la giurisprudenza della Cassazione ribadito, in modo costante e coeso che gli effetti della risoluzione per inadempimento del contratto di leasing traslativo sono regolati per analogia dall’articolo 1526 del Codice Civile.

E tale orientamento, secondo la Sezione rimettente, non sarebbe mutato anche a seguito dell’introduzione dell’articolo 72-quater della Legge Fallimentare, ascrivendosi la disciplina di tale norma non già al profilo di risoluzione del contratto di Leasing, bensì del suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell’utilizzatore. E la fermezza di tale indirizzo, secondo la Sezione rimettente, si rinvenirebbe anche in epoca successiva all’entrata in vigore della Legge 124/2017.

D’altra parte, occorre precisare che se questo è stato l’orientamento principale per circa un trentennio, alcune recenti pronunce della Suprema Corte sono state maggiormente inclini a valorizzare, in via interpretativa, proprio la novella legislativa del 2017, giungendo alla conclusione che, in ragione del quadro normativo di riferimento, l’articolo 1526 del Codice Civile non possa trovare applicazione nel caso di risoluzione per inadempimento dei contratti di leasing in quanto è stata superata, per l’appunto, la tradizionale distinzione tra leasing traslativo e di godimento, quali figure ora accomunate in una regolamentazione unitaria e a vocazione generale anche quanto ai stabiliti effetti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore.

Quindi, secondo questo più recente indirizzo, gli effetti delle novità normative si riverberano anche sui contratti cui esse non sarebbero applicabili ratione temporis.

E questo non già per effetto di una non consentita applicazione retroattiva, ma per effetto di un’interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale non può essere che valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora, ma all’attualità”. E ciò sul presupposto che, sino al definitivo accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, non si siano esauriti i relativi effetti.

Da ciò deriva, quindi, il principio per cui le conseguenze della risoluzione dei contratti di leasing, antecedente al fallimento dell’utilizzatore e sottratti ratione temporis all’efficacia diretta della Legge 124/2017, debbano essere disciplinate in via analogica dall’articolo 72-quater L.F., che esibisce la medesima regolamentazione di quella poi fatta propria dalla novella più recente.

L’ interpretazione definitiva delle Sezioni Unite. Dopo tale disamina e ricostruzione giurisprudenziale, le Sezioni Unite ritengono che non possa darsi seguito all’orientamento giurisprudenziale più recente, e che, dunque, debba assicurarsi continuità al diritto vivente di risalente formazione (ma, come detto, ribadito anche da pronunce successive a quella portatrice di overrulling), che ha costantemente tratto dall’articolo 1526 del Codice Civile, in forza di interpretazione analogica, la disciplina atta a regolare gli effetti della risoluzione per inadempimento di contratto di leasing traslativo verificatasi prima dell’entrata in vigore della Legge 124/2017 e del fallimento dell’utilizzatore resosi inadempiente.

In via preliminare all’esplicitazione delle ragioni della decisione sopra sintetizzata, le Sezioni Unite affermano che, al fine di poter colmare l’eventuale lacuna che l’ordinamento esibisca rispetto alla disciplina di un caso concreto, il procedimento analogico ( o interpretazione-integrazione analogica) esige, in base all’articolo 12, secondo comma, delle “preleggi”, che la disposizione ( analogia legis) o lo stesso “principio generale dell’ordinamento” ( analogia iuris) che a quel caso forniranno la regula iuris in quanto si possa ravvisare la eadem ratio – ossia la medesima ragione giustificativa che legittima il ricorso al procedimento stesso, ciò implicando il riconoscimento a monte di un rapporto di similitudine fondato sulla comunanza di elementi ( giuridici o fattuali), strutturali e/o funzionali, rilevanti – devono essere presenti all’interno dell’ordinamento ( quali norme frutto dell’attività interpretativa svolta) nel momento in cui il giudice si trova a doverli applicare, non potendo egli fare opera creativa.

Nel caso di specie, evidenziano le S.U., viene in rilievo la regola dettata dall’articolo 11 delle “preleggi”, in base al quale “la legge non dispone che per l’avvenire”, in forza della quale, ove non sia il legislatore stesso a disporre in via retroattiva, un tale potere non è esercitabile dal giudice, neppure per il tramite del procedimento analogico, essendo l’efficacia temporale della fonte disponibile solo per il Legislatore e pure per esso in termini tali da non poterne fare uso arbitrario.

Con l’avvento della nuova legge si pone, dunque, un problema di effetti intertemporali rispetto alla disciplina previgente, che, se non regolati questi ultimi dal Legislatore direttamente tramite disposizioni che modulano la transizione dalla vecchia disciplina alla nuova, sono da risolversi in base alla teoria del c.d. “fatto compiuto”, che la Cassazione segue da tempo risalente in modo costante.

Per le S.U., quindi, occorre considerare che, sino al momento dell’entrata in vigore della Legge 124/2017, il leasing è rimasto sostanzialmente un contratto soltanto socialmente tipico, articolato in distinte forme e strutture dalla pratica commerciale, unificate dall’operazione di finanziamento volta a consentire ad un soggetto utilizzatore o lessee il godimento di un bene grazie all’apporto economico di un soggetto abilitato al credito, il concedente o lessor, il quale, con proprie risorse finanziarie, consente all’utilizzatore di soddisfare un interesse che, altrimenti, non avrebbe avuto la possibilità o l’utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del costo del bene e, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l’anticipazione del capitale.

In questo contesto, pertanto, si è sviluppata la distinzione tra leasing traslativo e di godimento, che porta come conseguenza rilevante quella diversificazione delle relative discipline in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore.

Nel leasing di godimento, la risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, secondo quanto disposto dall’articolo 1458, primo comma, secondo periodo del Codice Civile, in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica, riscontrandosi piena sinallagmaticità tra le reciproche prestazioni; sicché, l’utilizzatore è tenuto a restituire il bene, mentre il concedente ha diritto a mantenere le rate riscosse, oltre al risarcimento del danno per l’inadempimento.

Nel leasing traslativo, la risoluzione resta soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni di cui all’articolo 1526 del Codice Civile, con riguardo alla vendita con riserva di proprietà, per cui l’utilizzatore è obbligato alla restituzione del bene e il concedente alla restituzione delle rate riscosse, avendo, però, diritto ad un equo compenso per la concessione in godimento del bene e il suo deprezzamento d’uso, oltre al risarcimento del danno.

Tale distinzione nella disciplina degli effetti risolutori tra le due figure di leasing, secondo le Sezioni Unite, è quella di far fronte, in entrambe le fattispecie, all’esigenza di porre un limite al dispiegarsi dell’autonomia privata là dove questa venga, sovente, a determinare arricchimenti ingiustificati del concedente, il quale, seguendo lo schema da lui predisposto a conseguire più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere per il regolare adempimento del contratto da parte dell’utilizzatore stesso.

D’altra parte, continuano le Sezioni Unite, la Legge 124/2017 è stata preceduta da alcuni interventi legislativi, di portata eminentemente settoriale, volti a regolare aspetti o modelli peculiari del leasing finanziario, come gli effetti dello scioglimento del contratto a seguito del fallimento dell’utilizzatore ( articolo 72-quater l.f.) o gli effetti dello scioglimento del medesimo contratto nell’ambito del concordato preventivo ( articolo 169-bis, quinto comma, l.f.), nonché la disciplina di una specifica tipologia di leasing, quello di immobile da adibire ad abitazione principale.

L’articolo 1, commi 136-140, della Legge 124/2017, quindi, superando la logica della regolamentazione specifica e settoriale, ha fornito, secondo i giudici di legittimità, una tipizzazione legale del contratto di leasing finanziario in termini di fattispecie generale ed unitaria, mutuandone morfologia e funzione da un radicato substrato economico-sociale, così da plasmare in disciplina positiva l’esperienza lungamente maturata nel contesto regolatorio dell’autonomia privata, alimentato, costantemente, dall’attività ermeneutica della giurisprudenza.

Il comma 137 si sofferma sull’inadempimento dell’utilizzatore stabilendo, appunto, che “costituisce grave inadempimento il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, o di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria”.

Le conseguenze dell’inadempimento dell’utilizzatore, in termini di risoluzione del contratto, sono dettate dal successivo comma 138. Tale disposizione prevede che “il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, a valori di mercato, dedotte le somme pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente”.

Infine, per quello che qui rileva, il comma 140 fa salva la disciplina settoriale, sia quella dettata dall’articolo 72-quater l.f., sia quella del leasing immobiliare per abitazione principale.

La disciplina introdotta dalla legge 124/2017 non ha, però ,carattere retroattivo, essendo essa priva degli indici che consentono di riconoscerle efficacia regolativa per il passato, non avendo in tal senso disposto lo stesso legislatore, né proponendosi la novella di operare un’interpretazione autentica di un assetto legale precedente, in quanto essa interviene, in modo innovativo, a colmare una lacuna ordinamentale circa la disciplina del contratto di locazione finanziaria, cui soltanto il formante giurisprudenziale aveva posto rimedio attraverso l’integrazione analogica di cui si è già detto.

Di conseguenza, l’efficacia della Legge 124/2017 è pro-futuro, in quanto il Legislatore non si è preoccupato di dettare una disciplina provvisoria inter-temporale riguardo ai rapporti contrattuali in corso di svolgimento al momento della sua entrata in vigore. Disciplina che, pertanto, occorre individuare in forza del già ricordato principio del c.d. “fatto compiuto”, applicabile anche ai contratti di durata come il leasing.

D’altra parte, continuano le S.U., deve ritenersi che l’applicazione della nuova legge è consentita, nei confronti di contratto di leasing finanziario concluso antecedentemente alla sua entrata in vigore e che, comunque, sia sussumibile nella fattispecie delineata dal comma 136, allorché, ancora in corso di rapporto, non si siano verificati i presupposti (legali o convenzionali) della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore: ossia non si sia verificato, prima dell’entrata in vigore della legge, il fatto generatore degli effetti giuridici derivanti dalla applicazione del diritto previgente.

In altri termini, il “fatto compiuto” è, nella specie, quello che genera la responsabilità del debitore-utilizzatore ai sensi dell’articolo 1218 del Codice Civile, e cioè l’inadempimento, quale evento attinente al rapporto, che è idoneo a legittimare, come effetto, la risoluzione del contratto; inadempimento che la Legge 124/2017 tipizza in guisa tale da determinare il discrimine tra il “prima” e il “dopo” ai fini dell’applicazione della novella.

E il comma 137, spiegano i giudici di legittimità, è norma imperativa, non avendo altrimenti ragione d’essere la tipizzazione ex lege della gravità dell’inadempimento a fronte di possibili deroghe pattizie che attribuiscono al concedente il potere risolutivo per il mancato pagamento di un solo canone o, comunque, di inadempimenti di carattere finanziario meno gravi rispetto a quelli contemplati dalla norma anzidetta.

Ulteriore conseguenza di quanto sopra, secondo il Supremo Collegio, è l’inefficacia ex nunc della clausola risolutiva espressa (articolo 1456 del Codice Civile), apposta a contratto di leasing in corso che non abbia ancora maturato i presupposti della risoluzione ai sensi del citato comma 137, ove calibrata in termini diversi e meno favorevoli per l’utilizzatore di quanto previsto dalla legge con norma imperativa per l’inadempimento di tipo finanziario.

La Legge 124/2017, quindi, non può trovare applicazione per il passato, ossia per i contratti di leasing finanziario in cui si siano già verificati, prima della sua entrata in vigore, i presupposti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, con la conseguenza che gli effetti risolutori non potranno essere, per detti contratti, quelli disciplinati dal comma 138 dell’articolo 1 della medesima legge.

Le Sezioni Unite chiariscono, poi, che non è predicabile l’esito di un’applicazione analogica della disciplina dettata dall’articolo 72-quater l.f., in caso di scioglimento di contratti di leasing ad opera del curatore nell’ambito di procedura fallimentare, siccome assunta in guisa di principio generale proprio alla luce, retrospettiva, della novella del 2017 e in forza del comune denominatore, tra le due fattispecie, rappresentato dalla attribuzione al concedente del diritto alla restituzione del bene concesso in godimento e all’utilizzatore o alla curatela del ricavato della vendita o di altra allocazione del bene medesimo, detratto l’ammontare del credito residuo.

Le Sezioni Unite fanno notare, infatti, che è jus receptum che l’articolo 72-quater l.f., è norma, di natura eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale, presupponendo lo scioglimento, per volontà del curatore e quale conseguenza del fallimento, del contratto ancora pendente a quel momento.

Sicché, la norma fallimentare mantiene salda la distinzione strutturale esistente tra la nozione di risoluzione contrattuale e quella di scioglimento del contratto, quale facoltà riconosciuta ad una pluralità di rapporti pendenti tra il contraente ed il fallito, tra i quali, per l’appunto, anche il leasing, che rientra nel novero dei contratti che, al momento dell’apertura del concorso, restano sospesi secondo la regola generale di cui all’articolo 72, primo comma, della l.f.

Del resto, proprio nell’ambito di detta distinzione, si apprezza la diversità di tutela somministrata dai due istituti, quello dello scioglimento contrattuale volto a riconoscere tendenzialmente solo una tutela restitutoria e non anche risarcitoria, come invece accorda il rimedio generale della risoluzione per inadempimento, la cui azione potrà essere coltivata nei confronti della procedura ove promossa prima della dichiarazione di fallimento, dovendo il contraente far valere le conseguenti pretese restitutorie e di risarcimento del danno ai sensi degli articoli 92 e successivi della l.f., come stabilito dal quinto comma del citato articolo 72.

Ed è proprio in ragione di quanto sopra che il “diritto vivente” ha escluso che la disciplina dell’articolo 72-quater l.f. possa trovare applicazione analogica in caso di contratto di leasing finanziario risolto, per inadempimento dell’utilizzatore, prima del fallimento di quest’ultimo, avendo invece rinvenuto la disposizione volta a colmare la lacuna ordinamentale, in coerenza con i criteri di cui all’articolo 12 delle “preleggi”, in quella generale codicistica dell’articolo 1526 del Codice Civile, in ipotesi di leasing traslativo.

E tale disciplina non è stata mutata dall’introduzione della Legge 124/2017. Anzi il comma 140 ha ribadito la specialità della norma fallimentare contenuta nell’articolo 72-quater l.f., come pure la sua portata circoscritta all’ambito di specifica pertinenza.

Per i contratti di leasing traslativo, che non siano soggetti, ratione temporis, alla regolamentazione della legge anzidetta, resta, dunque, valida la soluzione adottata dal diritto vivente di individuare, per analogia legis, nella disposizione dell’articolo 1526 del Codice Civile, la disciplina della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, essendo comunque sorretta da una ratio giustificativa rispondente all’esigenza di dare equilibrato assetto alle posizioni delle parti di un contratto atipico, forgiato da una risalente prassi commerciale e al quale il formante giurisprudenziale ha dato stabilità di assetto e certezza applicativa, rimasto tale sino all’entrata in vigore della novella del 2017 che ha tipizzato legalmente la figura, unitaria, della locazione finanziaria.

L’articolo 1526 del Codice Civile, chiariscono gli Ermellini ricomprende, all’interno dell’espressione “equo compenso”, la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso. Ma non include il risarcimento del danno spettante al concedente che, pertanto, deve trovare specifica considerazione e, secondo la sua ordinaria configurazione di danno emergente e di lucro cessante ( articolo 1223 del Codice Civile), tale da porre il medesimo concedente nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto.

A questo proposito, fanno notare le S.U., il risarcimento del danno del concedente può essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell’articolo 1382 e in questo senso si è, del resto, dispiegata l’autonomia privata nella costruzione, in base a modelli standardizzati, del social-tipo “contratto di leasing”.

In tale contesto, quindi, si è fatta applicazione del secondo comma dell’articolo 1526 del Codice Civile e del principio, già contemplato dall’articolo 1384 del Codice Civile, della riduzione equitativa, ad opera del giudice, della penale che, sebbene comunque lecita, si palesi manifestamente eccessiva, così da ricondurre l’autonomia privata nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela e riequilibrando, quindi, la posizione delle parti, avendo pur sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento integrale.

Da questo punto di vista, è stata considerata coerente con la previsione contenuta nel secondo comma dell’articolo 1526 del Codice Civile la penale inserita nel contratto di leasing traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito.

In tale prospettiva va allora considerato che, ove la vendita o altra allocazione sul mercato del bene concesso in leasing non avvenga, non vi può essere in concreto una locupletazione che eluda il limite ai vantaggi perseguiti e legittimamente conseguibili dal concedente in forza del contratto.

Per cui resta fermo, secondo le S.U., il diritto dell’utilizzatore di ripetere l’eventuale maggior valore che dalla vendita del bene a prezzo di mercato ricavi il concedente rispetto alle utilità che quest’ultimo avrebbe tratto dal contratto qualora finalizzato con il riscatto del bene ( quale tutela già settorialmente tipizzata legalmente, come detto, dallo stesso articolo 72-quater l.f.).

Se, invece, il contratto preveda una clausola penale manifestamente eccessiva, essa, ai sensi dell’articolo 1526, secondo comma, del Codice Civile, andrà ridotta dal giudice, anche d’ufficio, nell’esercizio del potere correttivo della volontà delle parti contrattuali affidatogli dalla legge, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento degli interessi contrapposti.

A tale riguardo, tenuto conto delle circostanze concrete del caso oggetto di sua cognizione occorrerà che il giudice, ferma restando l’irripetibilità dei canoni già riscossi, provveda ad una stima del bene ai valori di mercato al momento della restituzione dello stesso e, quindi, detragga il valore stimato dalle somme dovute al concedente, con eventuale residuo da attribuire, in fattispecie di fallimento dell’utilizzatore successivo alla intervenuta risoluzione contrattuale, alla curatela.

In siffatto contesto, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una domanda di insinuazione al passivo, ex articolo 93 l.f., in seno alla quale, invocando l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, offra al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa o manifestamente eccessiva; e per consentire siffatta valutazione da parte del giudice delegato, è chiaro onere dell’istante quello di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa.

Da tutto quanto sopra detto le Sezioni Unite dichiarano infondato il motivo di ricorso con l’enunciazione dei seguenti due nuovi principi di diritto:

“A) La legge 124/2017 (articolo 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore; sicché, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell’utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest’ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all’art. 1526 c.c. e non quella dettata dall’art. 72-quater l.f., rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso all’analogia legis, né essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad un’applicazione retroattiva della legge 124/2017.

B) In base alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una completa domanda di insinuazione al passivo, ex art. 93 l.f., in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva, a tale riguardo avendo l’onere di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa”.


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