Farmacovigilanza: medicinali sperimentali tra rischi e benefici per i pazienti

Farmacovigilanza: medicinali sperimentali tra rischi e benefici per i pazienti

La commercializzazione di un farmaco, in Italia, rappresenta l’epilogo di quel lungo percorso denominato “sperimentazione clinica[1], attualmente disciplinato dal Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 211 e ss.mm.ii., la cui durata è di regola pluriennale, ed il cui esito è rappresentato dalla messa a disposizione del medicinale sperimentale alle masse.

Tuttavia, come è accaduto nello scenario prodotto dalla pandemia da Covid-19, può succedere che ragioni di necessità ed urgenza impongano una accelerazione significativa delle classiche tempistiche sperimentali, tali da poter raggiungere obiettivi di cura più celeri ed ottenere le necessarie autorizzazioni per la commercializzazione del medicinale oggetto di sperimentazione. È ciò che si è verificato con la produzione dei vaccini anti-covid, i quali sono stati generati ed approvati dalle autorità competenti in tempi estremamente brevi, quantificabili in poco meno di un anno.

Affinché un farmaco possa essere utilizzato dalla collettività sociale, è necessario che lo stesso ottenga dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) -autorità nazionale competente per le attività regolatorie dei farmaci in Italia- la cd. autorizzazione alla immissione in commercio (AIC)[2], la quale ne consente l’impiego ad uso generale; i parametri di riferimento che vengono considerati nella procedura di sperimentazione, e ancor meglio, nelle varie fasi in cui si articola lo studio clinico, sono principalmente legati alla sicurezza e tollerabilità del farmaco sull’essere umano, nel rispetto e tutela della salute, quale diritto fondamentale dell’individuo riconosciuto dalla Costituzione italiana[3].

Il noto rapporto rischi/benefici, accertato già durante la prima fase di una sperimentazione clinica, deve sempre risultare ottimale, il che significa che i benefici raggiunti dal farmaco sperimentale devono essere maggiori rispetto agli eventuali danni che lo stesso può potenzialmente provocare nei pazienti[4].

Non a caso, in tutte e quattro le fasi in cui si articola la sperimentazione clinica che coinvolge l’essere umano viene costantemente valutata la relazione tra questi due fattori, la quale –se positiva- legittima lo sperimentatore a proseguire il trial clinico, nonché a richiedere la predetta AIC all’autorità competente, la quale trasporta la ricerca clinica nella cd. Fase 4, durante la quale si acquistano ulteriori e nuove informazioni riferite ad eventuali effetti indesiderati non emersi nelle precedenti fasi, ma che grazie all’uso di massa del nuovo farmaco possono diventare rilevabili[5]. Questa fase -l’ultima della sperimentazione clinica- impone un continuo e costante controllo ex post del farmaco sperimentale, da parte degli organi di vigilanza a ciò preposti, attraverso una rete di operatori ed attività che ne garantiscono la sicurezza e l’efficacia.

Questa attività di sorveglianza post marketing dei farmaci, pur essendo svolta in collaborazione con gli Stati Europei, è regolata nello Stato Italiano da norme e procedure che coinvolgono differenti soggetti con diversi ruoli. Più precisamente, sono interessati i cittadini, gli operatori sanitari, le Aziende Sanitarie Locali (ASL), le Regioni ed infine la stessa AIFA, che coordina l’intero sistema di Farmacovigilanza italiano[6], fondato sulla cd. Rete Nazionale di Farmacovigilanza, una banca dati elettronica che raccoglie le segnalazioni di sospette reazioni avverse evidenziate da cittadini ed operatori sanitari.

Attraverso tale sistema- definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)[7] come “la scienza e le attività collegate all’identificazione, valutazione, comprensione e prevenzione delle reazioni avverse o di altri problemi collegati ai farmaci”- l’AIFA garantisce la sicurezza dei farmaci in commercio, assicurando ai medici che li prescrivono e ai pazienti che li assumono un rapporto rischi/benefici favorevole ed accettabile per gli scopi per cui il farmaco è stato prodotto ed è destinato ad operare nella pratica clinica quotidiana in pazienti non selezionati; al contempo, attraverso un monitoraggio continuo sulla sicurezza del prodotto, verifica la tollerabilità a lungo termine del farmaco e le eventuali interazioni farmaco-farmaco significative, in casi di co-somministrazione.

Tornando alla normativa italiana che disciplina le sperimentazioni cliniche, la stessa prospetta tra gli effetti secondari legati alla somministrazione di un farmaco sperimentale le cc.dd. reazioni avverse, dal legislatore definite come reazioni “dannose o indesiderate a un medicinale in fase di sperimentazione, a prescindere dalla dose somministrata[8].

La reazione avversa, meglio nota nello scenario internazionale come Adverse Drug Reaction (ADR), ha subìto una significativa correzione in sede europea, con la Direttiva 2010/84/UE con cui il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno introdotto il concetto di “evento nocivo e non voluto conseguente all’uso del medicinale”, che include i danni derivanti da un uso improprio del medicinale ovvero da un abuso del farmaco, da errori terapeutici, come il sovradosaggio accidentale, ed infine da un uso non conforme alle indicazioni contenute nell’AIC.

Nella pratica clinica una reazione avversa può, tuttavia, palesarsi come lieve, moderata, grave o letale in base agli effetti provocati nella persona del paziente che ha utilizzato il farmaco; una delle risposte più negative che può, in concreto, verificarsi è, senza dubbio, quella che viene definita “reazione avversa grave”, la quale può mettere in pericolo la vita del paziente, provocarne una invalidità grave o permanente, determinare o prolungare l’ospedalizzazione, causare anomalie congenite e/o difetti alla nascita ovvero avere esito fatale[9].

Non tutte le conseguenze che possono presentarsi in un soggetto che si è sottoposto ad un trattamento sanitario farmacologico vanno, però, ricondotte alla ipotesi delle predette reazioni avverse, essendo contemplate dal legislatore italiano anche i cc.dd. eventi avversi. L’art. 2, D.Lgs. 211/2003 descrive, infatti, l’evento avverso come “qualsiasi evento clinico dannoso che si manifesta in un paziente o in un soggetto coinvolto in una sperimentazione clinica cui è stato somministrato un medicinale, e che non ha necessariamente un rapporto causale con questo trattamento”.

Secondo l’OMS gli Adverse Drug Events dovrebbero trovare allocazione in quella categoria di fenomeni clinici spiacevoli che si presentano durante un trattamento con assunzione di farmaci, che non abbiano, però, alcuna relazione con il trattamento medico seguito, nonostante la coincidenza temporale in cui si manifesta l’evento, la quale non implica alcun sospetto di relazioni causali tra i fenomeni.

Malgrado l’apparente analogia tra le situazioni appena descritte, i due concetti appaiono intrinsecamente differenti: mentre la reazione avversa porta con sé un legame causa/effetto con la somministrazione del medicinale, palesandosi come conseguenza diretta -seppur non voluta- dell’uso del farmaco, l’evento avverso non si inserisce necessariamente nel perimetro tracciato del nesso di causalità, giacché il suo verificarsi potrebbe non essere dipeso direttamente dal trattamento sanitario seguito.

Eppure, nello scenario delineato dagli “effetti secondari” di un farmaco, occorre richiamare in questa sede anche i più comuni e noti effetti collaterali i quali, per loro natura, necessitano di essere distinti dalle precedenti ipotesi indesiderate già descritte. Gli effetti collaterali – noti nella comunità scientifica internazionale come Side Effects– rappresentano, secondo la definizione offerta dalla OMS, quegli effetti non intenzionali di un farmaco che insorgono a seguito della somministrazione di dosi normalmente impiegate nell’uomo, connessi alle proprietà del medicinale stesso. La peculiarità di tale ipotesi è rappresentata dalla natura farmacologica degli effetti che il medicinale può provocare, senza che vi sia una situazione di palese sovradosaggio, essendo sufficiente il rispetto delle dosi prescritte.

L’insorgere di uno o più dei descritti esiti indesiderati comporta, tuttavia, l’intervento delle autorità regolatorie per le sperimentazioni cliniche, le quali saranno chiamate ad effettuare le dovute verifiche e i dovuti controlli in risposta alle esigenze di prevenzione dei rischi e tutela dei diritti alla vita e alla salute dei cittadini, qualificati come fondamentali dalla normativa nazionale e sovranazionale[10], i quali necessitano di forme stringenti di protezione e salvaguardia e da parte degli organi governativi, e da quelli tecnici.

Se, infatti, dalla somministrazione di un farmaco (come sta accadendo per gli attuali vaccini anti-Covid-19), dovessero emergere episodi pregiudizievoli per la salute di coloro ai quali il medicinale viene destinato, l’autorità nazionale – l’AIFA per lo stato italiano- e quella sovranazionale – European Medicines Agency (EMA) per l’Unione Europea- quali garanti della sicurezza ed efficacia del medicinale nelle fasi di somministrazione, dovranno intervenire affinché venga accertato che il rapporto rischi/benefici legato all’utilizzo del farmaco resti positivo.

Se gli elementi di questa relazione, infatti, dovessero cambiare portata (vale a dire dovesse verificarsi un aumento dei rischi a discapito dei benefici), sarà legittimo per le autorità competenti prevedere la sospensione e la eliminazione sul mercato farmaceutico del medicinale, giacché potrà dirsi superato lo scopo primario per cui è stata originariamente intrapresa la sperimentazione, ossia “curare” il paziente, “alleviare” le sue sofferenze e, finanche, “guarirlo“, atteso che un farmaco può definirsi tale laddove sia in grado di rispondere alla generale esigenza sociale di ‹‹cura›› dei pazienti, contribuendo al loro benessere.

 

 

 

 


[1] La sperimentazione clinica in Italia vede coinvolti numerosi attori: l’AIFA per l’autorizzazione degli studi ed emendamenti di ogni fase, l’Istituto Superiore di Sanità per il parere consultivo sugli studi e gli emendamenti di Fase I, i Comitati Etici per i pareri di merito nelle strutture sanitarie in cui si svolge lo studio clinico, le Direzioni Generali delle strutture sanitarie per la definizione dei contratti, il network Eudravigilance per la segnalazione di reazioni avverse serie e inattese, in corso di sperimentazione.
[2] Decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211.
[3] L’art. 32, Cost. così recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
[4] Nella fase 1 della sperimentazione clinica ha inizio lo studio del principio attivo sull’uomo che ha lo scopo di fornire una prima valutazione della sicurezza e tollerabilità del medicinale. Se il farmaco dimostra un livello di tossicità accettabile rispetto al beneficio previsto (il cosiddetto profilo beneficio/rischio), può passare alle successive fasi della sperimentazione.
[5] www.aifa.gov.it
[6] Il D.M. 30.04.2015, con cui è stata recepita la Direttiva 2010/84/UE e la Direttiva 2012/26/UE, attualmente regolamenta la Farmacovigilanza in Italia.
[7] www.salute.gov.it
[8] L’art. 2, lett. p), del D.Lgs. 211/2003 così recita: “reazione avversa: qualsiasi reazione dannosa e indesiderata a un medicinale in fase di sperimentazione, a prescindere dalla dose somministrata”.
[9] www.aifa.gov.it
[10] L’art. 32 Cost, tutela il diritto alla salute come diritto fondamentale (cfr. nota 2).  L’art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), rubricato Diritto alla vita, così recita: “1.I l diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena. 2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: (a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;(b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;(c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.

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Valentina Carella

Nata a Napoli nel 1990, laureata nel 2014 in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, ha conseguito un Master di II livello presso la Luiss School of Law, in collaborazione con il Ministero dell'Interno, in "Politiche di contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata". Subito dopo la laurea ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli e, contestualmente, ha terminato positivamente lo stage ex art. 73 D.L. 96/2013 presso gli Uffici Giudiziari del Tribunale di Napoli, Ufficio Gip. Abilitata alla professione forense.

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