Filosofia del diritto. Dissertazioni sul tempo di oggi

Filosofia del diritto. Dissertazioni sul tempo di oggi

Nella ricerca del significato del concetto di diritto [ 1 ] possono i principi di «liberté – égalité – fraternité» trovare ancora applicazione al tempo dell’attuale neo-decadentismo?

I. Intraprendere un percorso di ricerca comporta (la difficoltà di) delineare ambiti e obiettivi da raggiungere a partire da un orizzonte culturale. Per il giurista, chiamato a confrontarsi, da un lato, con i sistemi normativi e, dall’altro, con la pluralità delle culture o le culture plurali, non si tratta tanto di ripercorrere solchi già tracciati quanto piuttosto di addentrarsi per sentieri spesso inconsueti e non privi di incognite.

Nel mondo giuridico, spazio e tempo rappresentano ricorrenti categorie “alleate” nella conoscenza e necessarie premesse metodologiche in quanto fondano la lettura della storia e l’interpretazione degli eventi, tracciandone percorsi e dando vita anche ad istituti giuridici all’interno degli ordinamenti; si pensi alla consuetudine, che trova la sua rilevanza giuridica nel decorso del tempo: tra i requisiti, la stessa necessita infatti del ripetersi di comportamenti, assunti ad oggetto di una regola, per un certo periodo di tempo in una collettività.

Difficile diventa ricostruirne la chiave di lettura tra complessità e incognite, contraddizioni e rinnovate attese per singoli e popoli. Dinanzi a “poteri” e “saperi”, che la stessa scienza e il progredire della storia umana portano con sé, occorre lasciarsi interpellare da domande forse inedite, senza peraltro tralasciare quelle pur note al diritto, non ultime: giustizia e legalità.

Se in tal senso l’analisi del giurista trova di solito come suo oggetto un ordinamento e le regole in esso dettate per la convivenza, si pone la questione non solo in ordine alla natura stessa del diritto, ma anche in riferimento al contenuto dei suoi principi generali.

Attraverso l’approccio metodologico che compete gli studi nella materia della Filosofia è possibile interrogarsi sul Diritto in maniera differente rispetto alla sua formale correttezza, produzione, interpretazione ed applicazione, andando ad indagare quali possano essere i valori – oltre a quello dell’ordine – che riescano a conferirgli un senso ed uno scopo da raggiungere e alla luce dei quali verificare non solo l’opportunità delle singole norme astratte ma anche la qualità del loro funzionamento nel concreto delle relazioni umane; valori che dovrebbero essere riconosciuti nelle varie culture ed idonei ad orientare le relazioni, la cui ricerca non può esimersi dalla concezione antropologica dell’essere umano.

La concezione di tipo personalistico ritiene di riconoscere all’essere umano la propria identità e che questi la sviluppi solo attraverso il rapporto con le altre persone, configurabile anche sotto forma giuridica: aspetto che conferisce al diritto uno spiccato carattere di relazionalità accresciuto dal fatto che il diritto stesso si presenta come una comunicazione, rivolta ai singoli componenti, da parte del gruppo o dei gruppi a cui essi appartengono.

Nel corso della storia umana, almeno per quanto attiene alla sfera occidentale del mondo, sono sorti dei valori che hanno inciso fortemente sulla qualità delle relazioni umane e sulla loro disciplina giuridica, presentandosi in luoghi ed epoche come principali obiettivi a cui il diritto doveva tendere: sono i principi della libertà e dell’uguaglianza.

In età moderna essi sono stati proposti con particolare energia ed efficacia dalla Rivoluzione francese la quale, forse con minore energia e certo con minore efficacia, vi ha affiancato quello della fratellanza, principio anch’esso che ha dietro di sé una lunga storia sociale e giuridica al di fuori delle relazioni tra consanguinei.

Si tratta di principi così profondi che, nella visione musicale del Ludwig van Beethoven, assumono la connotazione della forza dell’Assoluto: aspetto che stimola la riflessione sulla possibilità di dare concretezza, anche nel campo giuridico, a tali concetti.

La Grande Storia… sumeri, babilonesi, dinastie egizie, Atene, fondazione di Roma, disgregazione dell’Impero romano (momento dal quale Bisanzio seguirà il suo corso), riunificazione carolingia e trattato di Verdun con la separazione dell’Europa in quattro parti (è dal Sacro Romano Impero di Carlo Magno che essa non è unita), guerre mondiali, etc

Ma mai come con l’Illuminismo si è avuta una svolta nella storia della vita delle popolazioni e nella concezione del diritto senza la quale difficilmente si sarebbe pervenuti alla nascita dell’odierno impianto costituzionale.

Tale è stato l’ossequio agli ideali richiamati dal trinomio illuministico che, dopo l’ultimo conflitto mondiale, il principio della fraternità non solo ha ispirato ma viene esplicitamente citato in alcune carte costituzionali (a titolo esemplificativo: in quella francese, portoghese e brasiliana) ed in altre (come avviene in quella italiana e spagnola nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) si fa riferimento al valore, simile ancorché non identico, della solidarietà; lo stesso concetto è stato indicato come supremo criterio regolatore dei rapporti interumani dai rappresentanti degli stati (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo).

Le sfide di oggi intrecciano storie di individui e di popolazioni dinanzi alle quali il diritto pare attraversato da una crisi profonda e da una mancanza di effettività nell’attuazione; eppure, tanto più penetrante ne appare la sua forza, se la si misura in ragione delle numerose fonti di produzione normativa.

Parrebbe, da un lato, essersi perso nel tempo il senso stesso del diritto come regola di vita e coesistenza, capace di orientare le varie forme di convivenza; dall’altro, il “ridursi” del mondo al c.d. “villaggio globale” richiama l’attualità intramontabile del dettato dall’incipit della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

La “famiglia umana”, di cui al Preambolo, fa da sfondo nella Dichiarazione del 1948 all’enunciato secondo cui «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti (…) e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».

E quasi a percorrere un ideale ponte tra passato e presente, si ritrovano alcune parole, scritte in un manifesto giuridico già del 1868, che appaiono forse in controtendenza ma quasi in attesa di risposta: «L’umanesimo picchia alle porte del tribunale (…): l’uguaglianza e la libertà (…) si fecondano con un terzo [concetto] (…) la fraternità tra gl’individui e tra i popoli, che dal campo ideale e religioso accenna versarsi nel campo politico e legale».

Il diritto parrebbe così ricercare, anche in epoche lontane, nuove vie e guardare oltre rispetto a consolidati principi o tradizioni, per divenire strumento efficace della convivenza e di giustizia.

II. Nell’ambito degli studi di Giurisprudenza, non vi è materia – per quanto attinente ad un insegnamento professionalizzante – che mi ammali, affascini e seduca come la Filosofia del diritto; nel suo approfondimento trovo entusiasmante e meraviglioso scoprire l’accostamento, se non addirittura la fusione, della ricerca della concezione del diritto e del Vero con l’amore per la saggezza e la passione per il pensiero dell’uomo.

Nel percorso della ricerca del «concetto di diritto», che si compie nello studio della materia, si approfondisce la ricostruzione storica dei periodi temporali dell’Antichità classica, dell’Età medievale e dell’Età moderna; con l’approccio antropologico si cerca poi di scavare le argomentazioni alla loro radice.

Emerge così la constatazione che il diritto non possa essere ridotto al mero insieme del dettato normativo ma che rappresenta, piuttosto, l’ordinamento fondamentale dell’azione umana che riscontra la naturale e primitiva esigenza di regolamentarsi.

È lo stesso uomo “animale sociale” (espressione di memoria aristotelica) ad avvertire in sé la necessità di regole giuridiche, in coesione con gli altri individui, propense alla pacifica esistenza sociale; allora, per vivere e relazionarsi costantemente con i suoi simili, necessita della creazione di regole.

La proposizione «ubi societas, ibi jus» integrata con «ergo ubi homo, ibi jus» identifica la circostanza secondo la quale ove esiste una società civile – ossia stabile, strutturata e autonoma di soggetti – lì vi è il diritto, volto ad organizzare e disciplinare i rapporti.

È pertanto il pensiero giuridico classico a conoscere la distinzione, al giorno d’oggi talvolta ritenuta desueta, tra lo Ius (il diritto) e la lex (la legge).

Con il periodo della deriva illuminista [ 2 ] si evidenzia l’importanza del passaggio storico fondamentale al fiorire del successivo costituzionalismo.

Il lux permette di compiere la svolta epocale verso la modernità ed al miglioramento del vivere; nella prospettiva del filosofo Kant, la luce dell’intelligenza e della ragione permette al genere umano – finalmente, dopo un lunghissimo periodo – di ridestarsi dal sonno e risvegliarsi nella sua maggiore età, con la capacità cioè di assumere le decisioni senza la tutela di autorità precostituite (il potere temporale della Chiesa o i regnanti dell’Ancien Régime).

L’Illuminismo giuridico di Beccaria consente di porre il diritto, per la prima volta nella Storia, come concreto limite al capriccio e all’arbitrio del potere, di qualsiasi tipo.

La celebre terna «libertéégalitéfraternité» è il buon frutto dell’âge des lumières e della Rivoluzione francese che, indipendentemente dalle materialistiche definizioni terminologiche, suscita in ciascuno sentimenti e percezioni positive che elevano l’animo umano.

La disamina di questi principi cardine, sviluppata nell’ottica delle interrelazioni con lo Ius, comporta l’evoluzione nell’esperienza giuridica.

La loro applicazione nel bios pone le basi al dialogo e al confronto che sono volti a produrre un accrescimento di civiltà a vantaggio di tutto il genere umano; ne è evidenza l’evoluzione vissuta dal diritto con il periodo delle codificazioni.

In questa visione le leggi costituiscono la norma positiva e il diritto, inteso come res da normare, rappresenta la norma presupposta: così, il concetto dell’individuo e della sua dignità sono i termini a partire dai quali, e nei quali, lo Ius e, di conseguenza, la lex trovano significato poiché le cose acquisiscono il loro significato solo in relazione ad un soggetto significativo, con il continuo reinserimento di questo sapere nell’orizzonte antropologico del diritto che è la persona umana.

La profondità di tali questioni rivela, già in sé, l’intrinseca problematicità di concetti ai quali si sarebbe portati ad accordare un riconoscimento e un’adesione incondizionata.

Tutti i beni degni di essere promossi e protetti giuridicamente, considerati nella loro natura di valori, si rivelano reciprocamente incommensurabili, anche se talora conflittuali, potendo dar luogo ad alternative inesorabili e a conseguenti rinunce: con riferimento alle potenziali collisioni tra l’uguaglianza e la libertà non pare possa esistere un mondo sociale senza perdite.

Specificamente, le radici dell’eguaglianza normativa vanno ricercate in una teoria più generale della giustizia e non può essere ricondotta a un criterio di mera misurazione della capacità; ad ogni persona devono essere garantite pari opportunità di accesso a questi beni, indipendentemente dagli esiti che ciascuno effettivamente conseguirà.

Le differenziazioni esistenti dipendono da un assetto della società che non è riconducibile a tale ideale bensì a vicende storiche che appaiono controllate solo in minor misura dal diritto; l’uguaglianza effettiva tra le persone è ben lontana dal realizzarsi, anche e soprattutto nelle società avanzate.

L’uomo è un essere in divenire, in crescita dinamica sulla spinta della libertà, e la via che percorre ha uno sbocco nell’infinito: la tensione, pertanto, non può mai placarsi.

In questo cammino, egli si imbatte in molteplici sentieri che si diramano dalla via principale; forte è, quindi, la tentazione di inoltrarsi lungo qualcuno di essi, con il rischio di piombare in un baratro o di perdersi in un deserto.

È questa la lacerazione profonda quando si sente teso fra il fascino del bene e l’attrattiva del male, sentimenti che pulsano sia nel suo animo così come nella sua carne.

Descendit ad inferos, quando l’umanità muore a se stessa nei periodi bui che la Storia riserva.

Le parole del trinomio formano da sole il programma di tutto un ordine sociale che realizzerebbe il progresso più assoluto dell’umanità, qualora i principi che rappresentano potessero avere piena applicazione.

Nell’accezione rigorosa del termine, la fratellanza riassume tutti i doveri degli uomini gli uni verso gli altri, richiamando la devozione, l’abnegazione, la tolleranza, la benevolenza, ricordando l’applicazione della massima «agire verso gli altri come vorremmo che gli altri agissero verso di noi».

Mentre la fratellanza afferma «uno per tutti e tutti per uno», l’egoismo, sua controparte, pronuncia «ognuno per sé»; essendo queste due qualità la negazione l’una dell’altra, sarà pressoché impossibile che una persona egoista agisca fraternamente verso i propri simili, così come un avaro possa divenire – almeno improvvisamente o d’impulso – generoso.

Finché la piaga dell’egoismo dominerà la società non si potrà avere un mondo di vera fratellanza; essa verrebbe utilizzata in maniera deviata per il proprio profitto e non certo per quello altrui o, se del caso, sarebbe soltanto dopo essersi bene assicurati che non ci si perda nulla.

Considerata dal punto di vista della sua importanza nella realizzazione del benessere sociale, la fratellanza è la base senza la quale non potrebbe esistere né uguaglianza né libertà seria.

L’uguaglianza proviene dalla fratellanza e la libertà è la conseguenza diretta delle altre due.

Si immagini una società formata da uomini abbastanza disinteressati, giusti ed onesti, affettuosi nella corretta misura per vivere in fratellanza: in tale contesto non vi sarebbe tra loro né privilegio né diritto eccezionale, altrimenti non vi sarebbe fratellanza. Trattare qualcuno come un fratello vuol dire trattarlo da pari a pari; è volere per lui ciò che si vorrebbe per se stessi. In un popolo di fratelli, l’uguaglianza è la conseguenza dei loro sentimenti, del loro modo di agire.

Ma anche l’uguaglianza ha il suo nemico: l’orgoglio, che vuole primeggiare e dominare ovunque, che vive di privilegi e di eccezioni; essendo pure l’orgoglio una delle piaghe della società, esso opporrà una barriera alla vera uguaglianza, finché questa non sarà totalmente distrutta.

La libertà è figlia della fratellanza e dell’uguaglianza ed è, per diritto, imprescrittibile per ogni creatura umana.

Vivendo come fratelli, con uguali diritti, animati da un sentimento di benevolenza reciproca, gli uomini praticherebbero tra loro la giustizia e non proverebbero più a farsi dei torti, non avendo niente da temere gli uni dagli altri; la libertà non creerebbe nessun pericolo perché nessuno penserebbe di poter abusarne a danno dei propri simili.

Nella costruzione dello Ius, immaginata come una piramide dell’Antico Egitto, sovviene in aiuto la cazzuola della fratellanza: anziché soffermarsi sulle debolezze e sui difetti dell’occultum lapidem, nel ricercare le altrui qualità l’utensile potrebbe essere utilizzato per amalgamare il cemento della più profonda amicizia che deve unire indissolubilmente le pietre cubiche umane che, seppure ormai sgrossate e levigate dalla saggezza filosofica e dalla ricerca del «Vero», sono ognuna di dimensione e posizione diversa.

Ma come possono l’egoismo, che tutto vuole per sé, e l’orgoglio, che vuol sempre dominare, cedere il passo alla libertà che li spodesterebbe? I nemici della libertà sono dunque al tempo stesso l’egoismo e l’orgoglio, così come lo sono dell’uguaglianza e della fratellanza.

Il bello e magnificente, per quanto tortuoso, sentiero della «via del diritto e della giustizia», percorso con l’ausilio dello studio della materia della Filosofia del diritto, insegna che i vizi dell’egoismo e dell’orgoglio possono essere distrutti, altrimenti si porrebbe un punto d’arresto al progresso dell’umanità.

Nell’intimo dell’umanità dovrà aver sede la fratellanza nella più pura accezione; ma per questo non basta che venga decisa ed iscritta su una bandiera: bisogna che sia nel cuore… e il cuore – il bios, la vita – degli uomini non si cambia con semplici ordini.

Pertanto, la libertà presuppone la reciproca fiducia, che solo la vera fratellanza può generare; la fratellanza, praticata nella sua purezza, non può aversi da sola perché senza l’uguaglianza e la libertà non esiste vera fratellanza.

Nell’esame si affianca poi il legame con la tolleranza: concetto di applicazione relativa, in quanto inserito e definibile nelle tre dimensioni R3, che può – ma non necessariamente deve – discendere dal trinomio oggetto della trattazione, questo invece esprimente valori di connotazione assoluta e pertanto attinente alla sfera del campo vettoriale dell’Rn.

Una essenziale precisazione riguarda la concezione semantica del termine: tolleranza non significa “buonismo”, ossia ipocrisia ammantata di bontà, ma è una virtù che – accoppiata alla fratellanza – trova la propria origine nel piano spirituale e si proietta nel mondo del divenire come consapevolezza di intelligenza e di armonia; essa è cioè da intendere come una manifestazione dell’Amore-Agape che spinge ad unire tutti gli esseri umani.

Uno dei difetti più radicati, il già sopra richiamato orgoglio, spinge l’uomo a vedere quelli negli altri e mai in sé; ma l’Amore insegna che prima di guardare i difetti altrui occorre accertare i propri cercando di vincerli. Dopo si potrà non più giustificare i propri difetti elencando quelli degli altri, ma aiutare costoro a vincere i propri con l’esempio della vittoria riportata su se stessi.

Pertanto, l’amore verso le altre creature e la tolleranza dei loro difetti non sono regole di cortesia ma conquiste che, se applicate consapevolmente, danno il segno di un elevato stato di saggezza.

Tuttavia, la tolleranza dei difetti altrui non significa dovere subire prevaricazioni da parte di alcuno bensì comprensione degli errori altrui che bisogna aiutare a correggere soprattutto con l’esempio e mai con l’imposizione.

Questo sentimento costituisce un aspetto di coesione e di propulsione importante dell’amore verso se stessi e dell’amore verso gli altri; non è il frutto di un livellamento o di una impossibile uguaglianza ma il comprendere l’unità nella diversità.

È arduo esprimere se il percorso compiuto dall’umanità l’abbia, in fondo, resa migliore.

Nell’epoca attuale (ma forse da sempre) regnano, fra l’altro, l’intolleranza e le disuguaglianze che portano alla violenza, alla incomprensione, alla prevaricazione, al tradimento, scaturenti dal caos interiore; è compito del filosofo del diritto far risvegliare nelle menti il valore della tolleranza e dell’armonia, offrendo agli altri l’esempio del proprio pensiero.

La Filosofia del diritto e l’applicazione dei principi del trinomio pongono questioni di pensiero che se non portano una persona a divenire migliore consentono, per lo meno, a provare a farla evolvere come tale affinché partecipi, nel proprio piccolo, alla costruzione dello «Ius giusto», unendosi a quello che già è unità.

Religioni e politiche dividono; i valori di libertà, uguaglianza e fratellanza uniscono.

Unire significa costruire, costruire secondo un disegno, un disegno che contiene una scala, una scala che contiene il tempo.

Separazione, cioè diabalon in greco che diventa poi diavolus in latino: da qui la conflittualità, il disordine, la lotta e, in una parola, il caos; e la contrapposizione non è già un dio, la divinità, l’idea della sacralità ed i paradisi vari, bensì il simbolo, cioè sunballo, riunire, mettere insieme, o anche sùmbolon, segno di riconoscimento formato dalle due metà di un oggetto spezzato in modo tale che riaccostando le due parti si ricompone l’oggetto medesimo.

Ponendo il simbolo in Opera si addiviene al Rito dello Ius che l’umanità interiorizza – passo dopo passo – con la perseverante evoluzione dello studio.

Il progresso del vivere umano congeniato nelle regole del diritto può compiersi solo con la partecipazione, nel senso della sua più ampia concezione.

L’applicazione della lex avviene secondo le modalità disciplinate dai codici di procedura di rito e con un lavoro a carattere liturgico, fatto dalla ripetizione di parole, gesti, forma degli atti, comportamenti in aula, etc…; questo lavoro, scandito appunto dai codici rituali del Diritto civile e del Diritto penale, contiene un fulcro teurgico che lo riconduce in contatto con il divino, ossia con la ricerca dello «Ius Vero e Giusto».

Ed una volta che anche il simbolo scompare dall’esistenza si addiviene al suo significato più profondo: la presa di coscienza del nũn e del «Vero» e quindi del «Giusto» nella sua essenza metafisica primordiale.

Ogni giorno si vive ed ogni giorno andrebbe vissuto come fosse l’ultimo, perché l’ultimo potrebbe essere.

Solo comprendendo la morte si può comprendere il bios espresso dal principio della fratellanza e, con l’intuizione che trascende il razocinio, percepire che la morte è l’origine stessa dell’essere umano: la morte e la vita sono la stessa cosa.

L’Uroboros si agguanta la coda tra le fauci, senza divorarla.

La pietra dell’Uomo è squadrata, ma trasuda acqua e sangue.

Con l’iniziazione all’Opera al nero si progredisce in direzione dell’annullamento del dualismo ed alla successiva “spaccatura” di uno dei lati del triangolo (libertà, uguaglianza, fratellanza) per riunirsi al Vero attraverso il quarto lato, quello del diritto; simbolicamente, il triangolo si trasforma in quadrato che non è più solo perfetto ma diviene anche giusto.

Nel progredire nei livelli di coscienza, il Fuoco della ricerca della parola perduta non smetterà mai di ardere perché eterno è il viaggio nel mare delle stelle.

Tornare all’Uomo, all’Eterno Ulisse, per continuare – fra lo studio, gli impegni di lavoro, la famiglia e l’Amore nel cammino verso lo Ius – quella che è diventata una scelta esistenziale, simbiosi tra vecchio e nuovo, a dimostrazione che i periodi della nostra vita non vanno dimenticati ma fanno parte di un bagaglio prezioso di memorie e dell’unità del nostro esistere in ogni momento, affinché si realizzi – attraverso la concreta applicazione dei principi di fraternité, égalité e liberté – la civitas maxima.


[ 1 ] Lo scrivente tratta specificamente la disamina in altro apposito contributo.
[ 2 ] Ibidem.

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Alessandro Verrino

Dottore commercialista - Revisore legale dei conti - Consulente tecnico del Giudice - Perito penale del Tribunale - Amministratore giudiziario e Curatore fallimentare; seconda laurea magistrale in Giurisprudenza. * Svolge l’attività professionale, con studio in Torino, principalmente in ambito di procedure concorsuali (fallimenti, concordati, liquidazioni), redazioni di perizie e valutazioni d'azienda, analisi di bilancio, relazioni su reati societari ed azioni di responsabilità, attestazioni di piani di ristrutturazione aziendale; è particolarmente specializzato nell'ambito delle revisioni contabili e delle certificazioni di bilancio (sia nel settore societario che in quello degli enti locali).

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