Francesco Castaldi, il paladino dei poveri

Francesco Castaldi, il paladino dei poveri

Sommario: Prefazione – 1. Francesco Castaldi – 1.1. Il Castaldi e le tele del Mozzillo in Sicilia – 2. Breve conclusione

 

Prefazione

La maggior parte degli uomini pensa, non senza ragione, che debba essere considerato “illustre” chi seppe elevarsi per altezza di ingegno o per la grandezza delle sue opere.

Non pochi, poi, vanno alla ricerca spasmodica delle occasioni che ad essi sembrano più propizie, pronti ad osannare il “benefattore” di turno con una tale vastità di aggettivi da intimidire anche il più bellicoso esercito schierato sul campo di battaglia: costoro sarebbero capaci di definire “illustre” anche una mosca che, per avventura o per disgrazia, posasse sul loro naso.

Sarò, forse, una persona che, per indole, ama stare lontano dallo schiamazzo e da servili cori osannanti, ma credo fermamente che deve essere considerato “illustre” colui che sa dominare il più terribile nemico del genere umano, l’egoismo, e che sa condurre una vita onesta, laboriosa e dedita al bene comune: da sempre, infatti, l’ozio e l’egoismo hanno procurato infiniti mali anche agli ingegni più perspicaci.

A ben riflettere, ci vuole più coraggio a vivere la fatica della vita giorno dopo giorno piuttosto che tentare di saltare le tappe del dolore e delle inevitabili cadute cercando una corona intrecciata con le ceneri dei morti.

Per questo motivo dopo aver scritto alcune biografie degli uomini che hanno dato al mio paese e alla cultura italiana lustro ed onori, erigendo a se stessi un monumento più duraturo del bronzo, mi accingo, ora, a tracciare il profilo biografico di Francesco Castaldi, uomo buono e mite, ma determinato e risoluto nel ricercare la giustizia e che, con l’esempio della propria vita, giovò a molti, soprattutto a quelli che da sempre sono i dimenticati della storia, i poveri e gli emarginati.

1. Francesco Castaldi

Nacque Francesco ad Afragola il 21 settembre 1765 da Nicola Castaldi, padre di Giuseppe, l’indimenticato autore delle “Memorie storiche del Comune di Afragola”.

Ancora oggi si ignora il nome della madre: il celebre autore delle “Memorie…”, infatti, benché accurato e preciso nel dare informazioni sulla evoluzione politica, sociale e culturale su Afragola e sulle famiglie che nel passato diedero ad essa fama e lustro, appare, invece, avaro e restio nel parlare di se stesso e della sua famiglia.

Per noi è difficile immaginare le motivazioni di tanta ritrosia in colui che fu anche appezzato giudice della gran Corte civile di Napoli e lasciamo al lettore piena libertà di ipotesi a tale riguardo.

Dalla lettura di un breve articolo di Padre Isidoro Candela, rinvenuto quasi per caso  in una delle tante “Miscellanee” che è possibile reperire presso la biblioteca dei frati minori di Afragola, veniamo a sapere che Francesco era fratello del succitato Giuseppe e sappiamo anche che il padre gli  impose il nome di Francesco in ossequio a Francesco Antonio, sacerdote al quale Nicola era particolarmente legato, benché avesse altri tre fratelli che avevano scelto lo stato clericale in diversi Ordini.

Non siamo riusciti a rinvenire altre notizie sul nucleo familiare di Francesco Castaldi.

Il padre, uomo severo ed introverso, fu irregolare negli studi e, a differenza dei suoi ascendenti, non ebbe mai un incarico pubblico di rilievo, malgrado l’indiscusso prestigio che la gens Castaldi ebbe in Afragola, dal 1500 fino alla prima metà del 1800.

Ancora oggi, come già detto si ignora il nome della madre e ciò potrebbe dare luogo a diverse ipotesi, con l’evidente rischio di cadere nella ragnatela della fantasia e delle “inania verba”.

Possiamo arguire che nell’ambiente familiare, malgrado una sicura e stabile agiatezza economica, non si respirava, per così dire, un’aria serena: troppo diversi i caratteri le esperienze di vita e l’età dei singoli componenti.

Probabilmente quelli dell’adolescenza furono per Francesco anni carichi di profonda solitudine. Questa triste esperienza, tuttavia, non lo avvilì, ma corroborò il suo carattere e lo indusse ad acquisire un ambito mentale riflessivo e critico, capace di scandagliare nel profondo del cuore dell’uomo. All’età di venti anni, dopo una lunga e serena introspezione entrò nel noviziato di Scifitelli, un borgo in provincia di Frosinone, e l’8 maggio del 1785 fece la sua professione religiosa nell’Ordine dei Padri Liguorini fondato da S. Alfonso, che, dopo aver conosciuto la gloria del Foro, si era decisamente avviato ad affrontare un Foro ben più arduo e significativo, quello che porta alla santità.

Era Scifitelli una striscia di terra arida e deserta, abitata da uomini poveri che a malapena riuscivano a mangiare un tozzo di pane al giorno; l’acqua, poi, era un bene prezioso, un lusso, una rarità che doveva essere usata per la sola sopravvivenza.

Manovali, ladri, qualche barbiere, sfaccendati e donne di malaffare: fu questa la dolente umanità con la quale il giovane Francesco si confrontò nel minuscolo paesino che più tardi lo spingerà ad essere riformatore e formatore delle coscienze.

Il 3 agosto del 1788 ricevette l’ordinazione sacerdotale e alcuni anni dopo fu inviato a Girgenti, in Sicilia, dove rimase quasi senza interruzione per il resto della sua vita.

Dal 1788 al 1781, particolare che si rivelerà molto importante per altri motivi, il suo impegno pastorale si svolse a Pagani.

Padre Francesco amava lavorare in silenzio e si accostava all’umanità sofferente in punta di piedi; pur dotato di ottima cultura non solo teologica, ma anche scientifica, preferiva avvicinarsi alle anime con la pratica delle opere piuttosto che con la persuasione di un sapere dotto e speculativo.

Quanto più le persone erano di infima condizione sociale e morale tanto più esse venivano avvicinate, cercate e confortate da quel sacerdote giunto in Sicilia da lontano, dopo aver abbandonato ricchezze ed ampia possibilità di onori al suo paese.

Nel 1794, a seguito della visita canonica fatta dal cardinale Blasucci, fu il Castaldi eletto prefetto degli studenti e consultore del reggente della Casa di Girgenti, sia per la vasta sua cultura che per la pacata saggezza del suo animo profondamente evangelico.

Nella sua lunga dimora in Sicilia si mostrò un <<vero operaio evangelico e rifulse nella direzione delle anime>>, come si legge a fondo di una tela dove il Castaldi è ritratto vicino ad una scarna sedia a braccioli, con in mano la Regola dell’Ordine, sulla quale, in asse, si vede un Crocifisso alla parete, che appare identico a quello che Fra Umile scolpì nella Chiesa di S. Antonio in Afragola.

Stimato moltissimo dai suoi Superiori, fu ripetutamente eletto rettore delle tre Case che i Liguorini avevano in Sicilia.

All’età di 64 anni morì nella cittadina di Uditore. Era il 15 novembre 1829.

Pur avendo alte qualità intellettive e una vastità di orizzonti culturali, che spaziavano con disinvoltura dalla teologia alla filosofia, dalla matematica alla medicina, dalla botanica all’astrologia, Francesco Castaldi fu il paladino degli umili e, povero tra i poveri, dedicò l’intera sua esistenza all’attività missionaria, distinguendosi per obbedienza, spirito di sacrificio e povertà.

Aveva tratti somatici marcati e leggermente irregolari, ma il suo animo era dolce ed arrendevole di fronte al dolore e alla miseria, forte ed energico, invece, quando angherie ed ingiustizie volgevano le loro miserevoli armi contro i poveri e gli emarginati.

1.1. Il Castaldi e le tele del Mozzillo in Sicilia

La vicenda biografica di Francesco Castaldi si intreccia, per un breve periodo, con quella di Angelo Mozzillo, illustre pittore afragolese ben noto a chi, per caso o per scelta, ha seguito il variegato percorso delle nostre ricerche.

Il precoce e geniale allievo del Bonito, durante l’intera sua esistenza, non varcò mai i confini della Campania, ma tuttavia, tre tele a lui attribuite si trovano nella bellissima Trinacria, dove il cielo azzurro e limpido sorride ai tre promontori che la incorniciano.

Nell’antica terra che i Romani latinizzarono con il nome di Agrigentum, nota a tutti come la città dei templi, nella Casa dei Padri Liguorini, tra il vasto repertorio di arredi sacri e di collezioni, è possibile ammirare una piccola tela a carattere devozionale attribuita ad Angelo Mozzillo da Gabriella Costantino e da Giuseppe Cipolla.

Eseguita dal maestro afragolese nel 1788, pochi mesi prima dell’ordinazione sacerdotale del Castaldi, la piccola tela (58×58) rappresenta la Mater dolorosa

Essa non presenta la tradizionale iconografia, ma rientra a pieno titolo nell’ambito delle Marie del pianto.

Il volto ovale, inclinato e rivolto al Cielo, rispecchia bene i caratteri estetici della devozione di S. Alfonso verso la Mater perdolens.

Sappiamo già che Francesco Castaldi, tra il 1788 e il 1781, svolse la sua attività sacerdotale a Pagani, la città che sorge lungo il pendio settentrionale dei monti Lattari.

Nei medesimi anni, come attestato anche da diverse tele del Mozzillo, firmate e tuttora godibili presso il museo del santuario di S. Alfonso, il pittore afragolese dovette sostare diverse volte nella città fondata dai Taurani nel primo millennio a.C.

Diverse volte dovette incontrare il suo compaesano, del quale non tardò a comprendere il carattere, l’elevatezza d’animo, gli slanci del cuore e le evangeliche aspirazioni.

Quasi sicuramente, come ipotizza il già più volte citato Padre Isidoro Candela, forse su commissione di un congiunto del giovane sacerdote, il Mozzillo, che già aveva regalato a Francesco la tela dell’Addolorata, eseguì, all’insaputa dell’interessato, un olio su tela (115×81), che ritraeva il Castaldi.

Nel dipinto, che si impone all’attenzione anche per la voluta sobrietà di elementi decorativi, quasi a dare la misura dell’uomo, la durezza del tratto somatico contrasta fortemente con la maschia dolcezza degli occhi e l’essenzialità della pennellata ben riflette l’animo di un uomo semplice e determinato nelle sue azioni.

La scritta in basso, infine, è sicuramente postuma e fu aggiunta alla morte del sacerdote, quando la tela fu regalata alla casa di Girgenti, dove ancora si trova.

Se è facile comprendere e conoscere i canali attraverso i quali due tele del Mozzillo si trovano ad Agrigento, più complessa ed ardua appare la comprensione e la ricostruzione dell’iter che ha condotto “Le tre Marie” a Palermo, nella galleria regionale della Sicilia presso Palazzo Abatellis, ritenuto uno dei più prestigiosi musei italiani.

Attribuita al Mozzillo da illustri critici d’arte, il bozzetto, si licet parva componere magnis, presenta tonalità cromatiche molto distanti dalle dissolvenze dell’artista afragolese e mi induce a nutrire non poche perplessità sulla effettiva paternità dell’autore.

Lo stesso soggetto, inoltre, è distante non poco dal dettato agiografico del Mozzillo, il cui limite, forse, è proprio quello della ripetitività modulare, anche se vanno tenute in debito conto le varianti simboliche, che ben rivelano il cammino di un artista dinamico, impegnato e mai banale.

Non abbiamo alcun elemento per collegare questo bozzetto al Castaldi e, lo ripetiamo, non ci convince la sua attribuzione al Mozzillo.

Non amiamo, inoltre, impelagarci nel mare delle ipotesi o, peggio, nelle invenzioni bizzarre ed inconcludenti, cosa che taluni da tempo fanno per il gusto di apparire.

Pertanto, ci limitiamo nel caso delle Tre Marie al Sepolcro, a riportare quanto esposto e a ribadire i nostri dubbi sulla sua attribuzione al Mozzillo

2. Breve conclusione

Se la virtù deve essere considerata per se stessa e non per gli interessi di parte, se il bene, la rettitudine, l’onestà e la giustizia sono valori da perseguire sempre e in ogni circostanza, se la grandezza d’animo di un uomo si misura principalmente dalla <<eredità di affetti>> che ha saputo seminare lungo il suo cammino, allora non c’è dubbio alcuno che Francesco Castaldi deve essere considerato a pieno titolo “illustre” e degno di essere imitato.

Aveva nobili natali, ma rinunciò ad essi per diventare il paladino dei poveri; veramente grande e poliedrica era la sua cultura, ma al vasto suo sapere antepose le opere nate dai dettami di una cultura evangelica; non rifulse agli occhi degli uomini, ma cercò costantemente di piacere a Dio; non cercò mai la gloria del mondo, ma le sue azioni saranno sempre onorate dagli uomini buoni e giusti.

Molti, forse, penseranno che l’aggettivo “illustre” da me usato sia inadatto al Castaldi, ma, poverini, la loro mente è carica di pregiudizi, quelli che il Bacone chiamava “idola”.

Moltissimi, sono sicuro, giudicheranno il solo aggettivo “illustre” riduttivo dell’operato di un uomo che fece del Vangelo la sua arma a difesa di chi aveva persa la speranza e la forza per proseguire il cammino della vita con la dignità, che è irrinunciabile in ogni essere umano.


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Andrea Romano

Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.

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