Furto aggravato e non truffa se il reo compie attività preparatorie atte a trasferire a sé il bene

Furto aggravato e non truffa se il reo compie attività preparatorie atte a trasferire a sé il bene

La Cassazione, enunciando un nuovo principio di diritto, è intervenuta ad operare una chiara distinzione tra le due fattispecie criminose del furto aggravato e della truffa. Gli Ermellini hanno individuato sia il presupposto oggettivo che quello soggettivo di entrambe le fattispecie. La distinzione è stata cristallizzata nella Sentenza n°36864/2020 depositata in cancelleria lo scorso 21 dicembre 2020.

La vicenda processuale. I giudici del Supremo Collegio si sono trovati di fronte al ricorso portato alla loro attenzione dal difensore di fiducia di un cittadino pugliese che era stato condannato dalla Corte di Appello di Lecce alla pena di cinque anni di reclusione e 5.000 euro di multa per il reato di furto aggravato, secondo quanto previsto dagli articoli 624-bis e 625, comma 1, numeri 2 e 4, del Codice Penale. L’uomo, infatti, si era reso colpevole di aver sottratto ad un gioielliere un anello ed un bracciale da donna. Non solo ma l’imputato aveva commesso anche il reato di ricettazione tentando di utilizzare, per il pagamento dei gioielli, un assegno circolare dell’importo di 5.000 euro, che risultava invece rubato al legittimo proprietario.

Il difensore di fiducia dell’imputato ha presentato ricorso contro la decisione della Corte d’Appello di Lecce, sostenendo che il giudice di secondo grado avrebbe errato nella qualificazione del reato. Il suo cliente, infatti, avrebbe tutt’al più dovuto essere condannato per truffa e non, come ritenuto dal giudice dell’appello, per furto aggravato.  Tanto più che, secondo la difesa del ricorrente, dalla stessa motivazione della sentenza della Corte d’Appello risultava essere stato valorizzato l’intento di perpetrare una truffa da parte dell’imputato. L’intento truffaldino, secondo il legale dell’imputato, sarebbe chiaramente evidente dall’inganno posto in essere dal suo cliente tentando di consegnare  alla persona offesa l’assegno circolare ricettato e, per questa via, ottenere la consegna dei gioielli contestati come oggetto del furto. Non solo, ma il commerciante avrebbe anche creduto all’affermazione dell’imputato che si allontanava temporaneamente per prendere un documento che avrebbe dimostrato la riferibilità allo stesso imputato dell’assegno circolare ricettato. Per poi, ovviamente, darsi alla fuga.

Ma da tali circostanze, è l’argomento della difesa, è evidente che l’apprensione delle cose sarebbe avvenuta come conseguenza dell’inganno e in ragione del fittizio pagamento che ha indotto il gioielliere a consegnare i monili all’imputato e non, come sarebbe richiesto dalla fattispecie del furto e sostenuto nella motivazione della Corte d’Appello di Lecce, mediante uno spossessamento.

La decisione della Cassazione. Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso portato allo loro attenzione inammissibile. Infatti, i giudici di legittimità hanno confermato che, nel caso di specie, ci si trova di fronte ad un caso di furto aggravato e non di truffa.

La Cassazione riconosce, in primo luogo, che i rapporti tra le due fattispecie del furto aggravato e della truffa sono spesso complessi e non privi di ambiguità applicative. D’altra parte, in via generale, si può affermare che ci si trovi dinanzi ad un’ipotesi di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento quando avviene uno spossessamento contro la volontà del proprietario del bene. O come si dice, utilizzando una nota locuzione latina, “invito domino”.

Diversamente, sempre in via generale,  ci si trova di fronte ad una fattispecie di truffa nel caso in cui il trasferimento del bene si realizza con il consenso, sia pure viziato da artifici o raggiri, della vittima.

Per esemplificare e rendere ulteriormente evidente la differenza tra truffa e furto aggravato dal mezzo fraudolento , gli Ermellini fanno riferimento, in primo luogo, al caso del soggetto che acquisti un prodotto al supermercato pagando un prezzo inferiore al dovuto mediante sostituzione dell’etichetta recante il codice a barre con quella applicata ad un prodotto meno costoso. In questo caso ci troveremmo di fronte ad un ipotesi di truffa in quanto l’impossessamento non si realizza invito domino, ma con il consenso, ancorché viziato, del cassiere.

Ci si troverebbe invece, secondo la Cassazione, davanti ad una fattispecie di furto aggravato dal mezzo fraudolento quando si attua una simulazione di qualità personali per ottenere la consegna di determinati beni da parte della persona offesa: Questo perché, in tal caso, la scelta dispositiva del soggetto passivo non è sintomo della sua volontà di spossessarsi definitivamente del bene.

Nel caso di specie portato all’esame della Suprema Corte si sono frammischiati e sovrapposti ulteriori elementi che hanno reso, a giudizio dei giudici di legittimità, più complicata l’operazione ermeneutica di distinzione tra le due fattispecie criminose in esame da parte del giudice di merito.

Infatti, l’imputato ha sia messo in atto delle condotte che potrebbero essere naturalmente collocate nella categoria degli artifizi e raggiri. Ma, quando ha dovuto giustificare la propria qualità personale di possessore legittimo del titolo di credito ha attuato un’azione di spossessamento unilaterale, dandosi alla fuga e portandosi via i gioielli, realizzando, per questo verso, una vera e propria apprensione dei beni invito domino.

Detto ciò i giudici di legittimità richiamano due  pronuce della stessa Corte di Cassazione. E precisamente, in primo luogo la più recente Sentenza n° 29567 del 27/03/2019. In base a tale pronuncia, afferma l’odierno Collegio della Cassazione, si configura un’ipotesi di furto, e non di truffa, qualora il reo abbia posto in essere attività preparatorie finalizzate ad operare il trasferimento a sé del bene con ricorso a mezzi fraudolenti nei confronti della vittima, ma risulta caratterizzante che tra l’atto dispositivo di questa e il risultato dell’impossessamento si inserisce l’azione del predetto in qualità di usurpazione unilaterale.

Mentre, l’altra pronuncia richiamata dai giudici della V Sezione Penale, più datata, e cioè la n° 1109 del 21/06/1966 della II Sezione, ha espresso molto chiaramente che per qualificare il carattere dell’offesa e stabilire se essa integri gli estremi del furto o quelli della truffa, deve aversi riguardo alla fase risolutiva del processo causale. Quindi, se il risultato è l’impossessamento mediante sottrazione ci si troverà di fronte ad un’ipotesi di furto, pur se l’attività unilaterale volta ad operare il trasferimento sia preparata dall’agente col ricorso a mezzi fraudolenti. Sicché non si può avere truffa se tra il fatto della vittima ed il risultato si inserisce l’azione del reo con carattere di usurpazione unilaterale. In pratica, la volontà di spossessarsi del legittimo proprietario del bene, per aversi furto aggravato dal mezzo fraudolento, deve essere assolutamente provvisoria e non definitiva. Per aversi truffa, infatti, lo spossessamento deve realizzarsi con il consenso della vittima.

Da ciò la Corte di Cassazione fa derivare il rigetto del ricorso come inammissibile con l’enunciazione del seguente nuovo principio di diritto: “In tema di reati contro il patrimonio, per qualificare il carattere dell’offesa e stabilire se essa integri gli estremi del furto o quelli della truffa, deve aversi riguardo alla fase risolutiva del processo causale: si configura un’ipotesi di furto, e non di truffa, qualora il reo abbia compiuto attività preparatorie finalizzate ad operare il trasferimento a sé del bene col ricorso a mezzi fraudolenti nei confronti della vittima, ma tra l’atto dispositivo di questa ed il risultato dell’impossessamento si inserisca l’azione del predetto con carattere di usurpazione unilaterale.”


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