Furto di energia elettrica: la Cassazione fa chiarezza sull’aggravante della destinazione a pubblico servizio

Furto di energia elettrica: la Cassazione fa chiarezza sull’aggravante della destinazione a pubblico servizio

Massima: Se è indubbia la rilevanza pubblicistica di un bene come l’energia elettrica, è sempre decisivo, ai fini del giudizio sulla sussistenza della circostanza aggravante, l’accertamento in ordine alla concreta destinazione (piuttosto che alla natura) del bene ad un pubblico servizio.

Nella motivazione della Cassazione penale, Sez. V, sentenza 16 ottobre 2024, n. 37953, si legge che nel furto di energia elettrica, l’aggravante della destinazione del bene sottratto al pubblico servizio non ha una natura “auto-evidente” ma “valutativa” e in virtù di ciò in mancanza, nel capo di imputazione, di un esplicito riferimento alla destinazione a pubblico servizio del bene oggetto dell’azione furtiva, la contestazione in fatto della aggravante è ammissibile solo se nella rappresentazione del fatto vi sia il riferimento ad “una serie di elementi descrittivi e qualificanti” che riescano a rendere “evidente e oggettiva” la destinazione a pubblico servizio della energia elettrica sottratta, perché, soltanto in questi casi l’imputato può esercitare efficacemente il proprio diritto di difesa con riferimento alla prospettazione accusatoria in tutte le sue componenti.

A tal proposito, è necessario a monte precisare che le circostanze di natura “auto-evidente” sono quelle “le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive”. Quindi, in tali casi nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi è insita nell’indicazione dei fatti materiali, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 24906 del 18/4/2019, S., Rv. 275436).

Sono, ad esempio, aggravanti di natura auto-evidenti, il numero delle persone che hanno concorso nel reato di furto (art. 625, comma 1, n. 5, c.p.); la pluralità delle persone offese; il rapporto di parentela o di coniugio (ad esempio nei reati di lesione personale e di omicidio); la minore età della vittima.

Differentemente, nel caso delle circostanze aggravanti di natura “valutativa” “in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative” e in tali casi il risultato di questa valutazione deve essere esplicitato nella imputazione (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 24906 del 18/4/2019, S., Rv. 275436).

Un esempio di aggravante di natura valutativa è proprio la destinazione dell’energia elettrica a un pubblico servizio. Infatti, il bene-energia ha una pluralità di destinazioni e quella a servizio di un interesse della intera collettività non è una caratterizzazione ontologica del bene medesimo, non ne rappresenta un connotato intrinseco e auto-evidente, ma deve formare oggetto di specifico accertamento, talvolta complesso.

Tra l’altro, nel caso di specie, la contestazione suppletiva di tale aggravante di natura valutativa ha reso il reato procedibile di ufficio, piuttosto che a querela di parte, come previsto dalla riforma Cartabia, di cui al D.Lgs. 150/2022 e veniva fatta dal pubblico ministero dopo il decorso del termine per la proposizione della querela.

A tal proposito, si renda noto che secondo una prima tesi interpretativa la contestazione suppletiva avente ad oggetto una aggravante che renda il reato procedibile di ufficio dopo lo spirare del termine per la proposizione della querela, al pari di quella operata dopo il decorso del termine di prescrizione, sarebbe inefficace perché grava sul giudice l’obbligo di immediata declaratoria di una delle “cause di non punibilità”, ai sensi dell’art. 129, c.p.p. Ne discende che il reato sarebbe già estinto e l’azione penale non più proseguibile, per cui sarebbe precluso al pubblico ministero il potere a lui riconosciuto dall’art. 517, c.p.p. di procedere alla modifica del capo di imputazione e/o di contestare reati concorrenti o circostanze aggravanti.

Secondo l’opposto indirizzo esegetico, invece, il potere di modificare il capo di imputazione e/o contestare reati concorrenti o circostanze aggravanti è un atto imperativo, insindacabile e di esclusivo appannaggio del pubblico ministero e discende dalla obbligatorietà dell’azione penale prescritta dall’art. 112 Cost., non essendo richiesto né il consenso dell’imputato né l’autorizzazione del giudice, che, perciò, non potrebbe negarlo solo perché tardivo.

Alla luce di questa premessa il pubblico ministero, se contesta un reato in origine procedibile di ufficio divenuto poi procedibile a querela, nonostante la mancata presentazione della stessa, può procedere a rilevare suppletivamente una circostanza aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio anche dopo lo spirare del termine per la proposizione della querela.

Questo orientamento, tra l’altro, è stato sostenuto, da ultimo dalla recentissima sentenza datata 8 novembre 2024, della Corte di Cassazione penale, Sez. IV, n. 41171, secondo cui la novella legislativa prevista dalla riforma Cartabia conferma che il PM non solo può, ma deve – se richiesto dal giudice – procedere, alla prima udienza utile, alla contestazione suppletiva dell’aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio. Di conseguenza, una volta formulata la contestazione, il thema decidendum si estende alla circostanza aggravante che elimina l’ostacolo processuale al prosieguo dell’azione penale e il giudice non può pronunciare una sentenza di improcedibilità. Infatti, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia “ora per allora”, nel caso di declaratoria di improcedibilità anche i fatti sopravvenuti assumono rilievo, dipendendo la decisione dalla situazione nel momento in cui è resa.

In ogni caso, nel fatto in esame la Suprema Corte ha ritenuto adeguatamente contestata, nella originaria prospettazione accusatoria, la circostanza aggravante del bene sottratto a pubblico servizio, ritenendo, per gli effetti, irrilevante la questione relativa alla efficacia della contestazione suppletiva.


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