Fusione societaria e rapporto di cambio

Fusione societaria e rapporto di cambio

Cass. civ, sez. I, sentenza 20 aprile 2020, n. 7920

Un problema che può sorgere nei casi di fusione di società è la determinazione del c.d. concambio: ovvero del rapporto in base al quale saranno assegnate ai soci delle società che si estinguono le azioni o quote della società incorporante o della nuova società (ad esempio, due azioni della società “A” incorporata danno diritto ad un’azione della società “B” incorporante). Nel caso di specie la problematica riguarda l’ammissibilità, o meno, di diversificare, in sede di concambio, i valori delle azioni ordinarie rispetto alle azioni di risparmio della società incorporata.

La fusione: natura

La legge non prevede una definizione generale di fusione. Si limita ad individuare le forme giuridiche con le quali questa operazione può essere realizzata, ovvero “mediante la costituzione di una nuova società o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre” (art. 2501, primo comma, c.c.).

Quindi la fusione si può realizzare “per unione”, dove le società coinvolte si estinguono e confluiscono in una società di nuova costituzione, oppure “per incorporazione”, a seguito del quale la società incorporante assorbe la società incorporata. In quest’ultimo caso la forma della fusione si dice “diretta” qualora l’incorporante sia anche socia della incorporanda, ovvero “inversa” nei casi in cui incorporante sia la società controllata dalla incorporanda.

Segue: il progetto di fusione e il rapporto di cambio

Il progetto di fusione (che assieme alla delibera di fusione e l’atto di fusione costituiscono le tre fasi essenziali del procedimento di fusione) deve – fra le altre – contenere il rapporto di cambio delle azioni o quote (c.d. concambio).

I criteri per la determinazione del rapporto di cambio sono implicitamente demandati dal legislatore alla discrezionalità tecnica degli amministratori. Tale discrezionalità, tuttavia, deve tenere conto di alcuni principi dell’ordinamento societario, quali, in particolare, quelli del diritto del socio alla continuità della partecipazione sociale e alla parità di trattamento: quest’ultima deve essere intesa sia con riferimento ai soci di ciascuna società partecipante alla fusione (c.d. parità interna), nonché tra le varie società oggetto della fusione (c.d. parità esterna).

In una fusione per incorporazione può accadere (come nel caso in esame) che il capitale sociale della incorporata sia composto da azioni appartenenti a differenti categorie (azioni di risparmio, azioni privilegiate, ecc.). In questa ipotesi poiché ogni azionista dovrà ricevere delle azioni aventi lo stesso valore di quelle annullate, si avrà che le diverse categorie di azioni saranno oggetto di un trattamento differenziato. Infatti, le azioni di risparmio seppur attribuiscono al possessore una serie di diritti patrimoniali (tra cui il diritto all’ottenimento di dividendi più elevati), dall’altro lo privano di altri diritti fondamentali (quali l’intervento in assemblea o, ancor più importante, del diritto di voto). Dovendo il valore delle azioni tenere conto di entrambe le componenti, ciò si rifletterà sulla scelta del rapporto di cambio. La complessità del calcolo è tale in quanto si dovrà tenere in considerazione sia la c.d. parità interna (vale a dire il rapporto di cambio esistente tra le azioni ordinarie e le azioni di risparmio della società incorporata), sia la c.d. parità esterna (ovvero il rapporto di cambio esistente tra le azioni della società incorporante e quelle della società incorporata).

Qui può sorgere un problema circa l’ammissibilità, o meno, di diversificare – in sede di concambio – i valori delle azioni ordinarie rispetto alle azioni di risparmio della società incorporata.

La vicenda

Tizio conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Padova l’Istituto di Credito X assumendo di aver sofferto – quale proprietario di 170.000 azioni di risparmio di Banca Y s.p.a. – una perdita patrimoniale in virtù della fusione per incorporazione della seconda società nella prima. Per quanto qui di interesse l’attore contestava il criterio assunto per il concambio, domandando l’accertamento circa l’esattezza del criterio di redistribuzione all’interno del rapporto di cambio. Il giudice di prime cure respingeva la domanda attorea, cosi come la Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame proposto. In sintesi, il giudice di secondo grado negava la necessità di regolare il rapporto assoggettando al medesimo trattamento le azioni ordinarie a quelle di risparmio, e ciò in quanto l’adozione di un criterio unitario di valutazione ostasse l’indiscutibile esistenza di diritti particolari di alcune categorie di azioni, e fra esse, delle azioni di risparmio.

La pronuncia veniva quindi impugnata da Tizio per Cassazione. Il ricorrente lamentava che il rapporto di cambio era stato definito attribuendo alle azioni di risparmio un valore diverso rispetto a quello assegnato alle azioni ordinarie, e che – pur essendo vero che ad azioni di categorie diverse corrispondono diritti diversi – non potrebbe attribuirsi alle azioni un valore differente, stante la loro ontologica essenza di quote di capitale sociale.

La decisione della Suprema Corte

La Prima Sezione della Corte di Cassazione ribadisce che il rapporto di cambio dipende dalla discrezionalità tecnica degli amministratori, essendo influenzato non solo da valutazioni di carattere economico, ma anche da altri fattori. Pertanto, non è possibile sostenere che esso sia desumibile dal “semplice” rapporto matematico intercorrente tra le unità patrimoniali facenti capo alle due società. Infatti, elementi di valutazione “indiretta” del patrimonio sociale (come ad esempio la qualità dell’organizzazione, il prestigio aziendale o il prezzo di borsa delle azioni) assumono una rilevanza fondamentale non determinabile attraverso criteri scientifici (cfr. Cass. Civ., sentenza n. 15025 del 21 luglio 2016).

Sotto diverso aspetto va osservato che, il legislatore altro non stabilisce se non che il rapporto di cambio sia “congruo”: infatti l’art. 2501 sexies c.c. (nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 6 del 2003) prevede che uno o più esperti per ciascuna società redigano “una relazione sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni o delle quote“.

Dunque non esiste un unico rapporto di cambio esatto, dovendo tale rapporto essere determinato all’interno di una ragionevole banda di oscillazione. Cosi dicendo “la nozione di congruità finisce per ammettere una pluralità di concambi, i quali, entro il menzionato accettabile arco di oscillazione, sono tutti soddisfacenti dal punto di vista del legislatore” (cfr. Cass. Civ., sentenza n. 15025 del 21 luglio 2016).

A questo punto la Corte si interroga se la discrezionalità di cui godono gli amministratori nel determinare il rapporto di cambio ricomprenda anche la possibilità di distinguere la misura della partecipazione che i soci possano vantare in ragione della diversa tipologia dei titoli rappresentativi del patrimonio della società, e più nello specifico se, ai fini del concambio, ad azioni di una determinata categoria possa essere attribuito un valore diverso rispetto a quello conferito alle azioni di un’altra categoria.

E’ pacifico che alle azioni sia possibile attribuire diritti diversi. Infatti l’art. 2348, terzo comma, c.c., nel prevedere una declinazione del principio di eguaglianza all’interno della medesima categoria di azioni, finisce per attribuire al principio stesso una valenza relativa e, ben diversa da quella che parrebbe esprimere il primo comma dello stesso articolo quando dispone che le azioni “conferiscono ai loro possessori uguali diritti“.

Come accennato prima, il valore delle azioni dipende da un apprezzamento che ricomprende tutti i diritti che in esse si conferiscono. Tali diritti non sono solo quelli di natura patrimoniale ex art. 2350 c.c. Vi rientrano infatti anche quelli inerenti l’amministrazione della società (in particolare il diritto di voto di cui all’art. 2351 c.c.). Sotto questo aspetto, la Corte giustifica una diversificazione del valore dei titoli appartenenti alle due categorie. Infatti, proprio perché l’azione può incorporare sia diritti patrimoniali che amministrativi, è possibile che il valore dei titoli non sia lo stesso quando gli uni o gli altri risultino – in base al rispettivo statuto normativo – differentemente modulati.

La Suprema Corte ha quindi ritenuto ammissibile la diversificazione – in sede di concambio – dei valori delle azioni ordinarie e delle azioni di risparmio della società incorporata. Pertanto, gli amministratori potranno stabilire il rapporto di cambio “tenendo conto della diversa consistenza dei diritti connaturati alle due categorie di azioni” (Cass. Civ., sentenza n. 7920 del 17 aprile 2020).

In definitiva la Prima Sezione della Corte di Cassazione, respingendo il ricorso, ha confermato il seguente principio: “nel caso di fusione per incorporazione, il rapporto di cambio tra azioni di risparmio della società incorporata e azioni ordinarie della società incorporante deve calcolarsi tenendo conto che il valore delle prime non è necessariamente coincidente con quello delle azioni ordinarie della stessa incorporata, giacché il valore delle azioni di risparmio, che può essere desunto dalle quotazioni di mercato dei titoli, è funzione dei diritti, non solo di natura patrimoniale, ma anche di natura amministrativa, conferiti dalle azioni in questione“.


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Dott. Filippo Foca

Laureato all'Università di Bologna nel 2017 con tesi di laurea correlata in Diritto Commerciale e Penale dal titolo "L’abuso di informazioni privilegiate tra normativa italiana ed europea" ottenendo dalla stessa il massimo punteggio disponibile. Fin subito dopo il titolo di laurea ha iniziato a svolgere la pratica forense presso lo Studio CMI Studio Legale & Associati. Ad oggi collabora con lo Studio Legale BCT. L'attività professionale svolta riguarda il campo del diritto civile, commerciale, societario, bancario, e sportivo. Partecipa inoltre ad eventi di natura giuridica come moderatore o relatore.

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