Garanzia della sicurezza dei prodotti, clausole abusive e utenza di servizi pubblici

Garanzia della sicurezza dei prodotti, clausole abusive e utenza di servizi pubblici

La tutela del consumatore e dell’utente è sempre stata oggetto di attenzione da parte del legislatore nazionale. Nel codice civile del ’42, tale tutela è stata perseguita soprattutto con le disposizioni normative di cui agli articoli 1341 e 1342 c.c. che, come si evince dalla loro chiara lettera, trovano applicazione rispetto alle fattispecie concrete in cui una delle parti si configuri come più debole rispetto all’altra. Anche la Carta Costituzionale attribuisce rilievo alla tutela delle parti deboli nei rapporti di scambio, sebbene indirettamente e con ampia formula normativa, limitando l’esercizio della attività di impresa avuto riguardo alla sicurezza, libertà e alla dignità della persona ai sensi dell’art. 41, secondo comma, Cost.

Tuttavia, è soprattutto grazie ai trattati istitutivi della Comunità Europea, ora Unione Europea, ed alle numerose direttive indirizzate a porre limitazioni all’esercizio di attività di impresa inerente alla produzione di prodotti destinati al consumo o alla gestione di servizi fruibili dalla più ampia generalità di utenti, che la categoria dei consumatori e degli utenti ha trovato piena, diretta e completa tutela. L’influenza euro-unitaria è stata determinante anche rispetto al riconoscimento ed alla garanzia di interessi e diritti dei privati in relazione al rapporto che i medesimi instaurano con gli enti pubblici, o misti pubblico-privati, ovvero con i concessionari gestori di servizi pubblici, con l’intento di assicurare standard e qualità dei detti servizi con beneficio per l’utenza.

Orbene, analizzando la normativa di settore dettata dal d.lgs. 206/2005, noto come codice del codice del consumo, si evince che le esigenze di tutela sopra citate hanno comportato la enucleazione di strumenti di tutela volti a proteggere l’interesse individuale, ma anche gli interessi collettivi ossia quegli interessi facenti capo alla generale categoria del consumatore-utente. Così, accanto alle azioni individuali tese all’accertamento delle responsabilità da inadempimento dei produttori, fornitori e gestori, ovvero tese alla declaratoria di nullità delle clausole contrattuali di carattere vessatorio, sono state previste azioni collettive tese alla protezione degli interessi della collettività e rispetto alle quali la legittimazione ad agire è riconosciuta in capo ad associazioni rappresentative a livello nazionale ed iscritte nell’apposito elenco istituito presso il Ministero dello Sviluppo economico, ex art. 137 cod.cons.

Prima di affrontare la disciplina specifica dettata in merito alle azioni individuali e collettive, occorre evidenziare che l’art. 2, comma 2, cod.cons. riconosce come fondamentali i diritti alla tutela della salute, alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi, alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali ed anche all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza.

Con particolare riferimento alla garanzia della sicurezza dei prodotti, il legislatore ha previsto, innanzitutto ed a monte, precisi obblighi informativi a carico del produttore, il quale deve rendere consapevole il consumatore affinché quest’ultimo possa valutare, prevedere e prevenire i rischi discendenti dall’uso regolare del prodotto. Allo stesso modo, il distributore deve partecipare al controllo della sicurezza del prodotto trasmettendo informazioni al produttore, affinché questo possa ritirare o richiamare i propri prodotti, e soprattutto alle autorità competenti deputate al controllo sulla sicurezza dei prodotti immessi sul mercato. Queste ultime svolgono un’attività estremamente rilevante in punto di vigilanza, controllo e repressione con riferimento alla sicurezza dei prodotti e, con questa finalità, devono costantemente monitorare la produzione e richiedere, anche in ottica collaborativa, informazione dal produttore o da colui che ha immesso nella distribuzione i prodotti stessi. Le stesse amministrazioni sono deputate a gestire i reclami presentati dai consumatori e dagli altri interessati. A ben vedere, con lo strumento del reclamo il singolo consumatore o le associazioni rappresentative possono perseguire interessi sia collettivi sia individuali per ottenere il compimento di attività inibitorie da parte delle dette amministrazioni. Questi stessi interessi possono essere perseguiti mediante gli strumenti di tutela collettiva previsti dall’art. 140 cod.cons., a cui sono legittimate, però, le sole associazioni di categoria riconosciute ed a fronte di interessi collettivi e non già individuali da proteggere. Precisamente, con tale azione, l’associazione agisce a tutela dell’interesse collettivo dei consumatori e degli utenti per ottenere una tutela inibitoria rispetto agli atti ed ai comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori-utenti e, se del caso, per ottenere la condanna alle misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate. Applicando tale strumento alla normativa specifica sulla sicurezza dei prodotti, può ipotizzarsi una sua sovrapposizione rispetto al reclamo alle autorità di controllo e vigilanza e, sembra potersi affermare, una maggiore efficacia dello strumento di cui all’art. 10 idoneo a superare l’inerzia delle dette autorità.

In aggiunta e non in alternativa a tali strumenti vi è la tutela individuale dell’azione individuale di responsabilità e conseguente risarcimento del danno disciplinata dagli artt. 114 e ss cod.cons. e rispetto alla quale la legittimazione ad agire spetta al titolare del diritto leso, ossia al singolo consumatore-utente, e non già all’associazione riconosciuta. Tale rapporto di cumulo tra azione ex art. 140 ed azione individuale è espressamente riconosciuta dal medesimo legislatore al comma 9 dello stesso art. 140 ove, fatte salve le norme procedurali sulla litispendenza, continenza, connessione e riunione dei procedimenti, l’azione ex art. 140 da parte delle associazioni riconosciute non preclude il diritto al agire individualmente da parte di ciascun utente danneggiato per ottenere, evidentemente, una condanna risarcitoria a sé favorevole.

Il richiamo alle norme del codice di rito che hanno come fine quello di attuare la concentrazione in un unico processo di domande connesse o anche solo continenti, in osservanza del principio della ragionevole durata dei processi ma anche per evitare il rischio dei giudicati contrastanti, sembra comportare la trattazione della domanda collettiva e di quella individuale, sebbene non identiche ma da considerarsi ragionevolmente almeno continenti, all’interno di un unico procedimento giurisdizionale. Tale evenienza processuale dovrebbe essere affermata sia nell’ipotesi in cui l’azione per prima esperita sia quella collettiva sia nella ipotesi opposta in cui la prima azione esperita sia quella individuale. Sempre in ossequio al principio della concentrazione fatto proprio anche dal legislatore del codice del consumo, può ritenersi ammissibile un intervento volontario ex art. 105 Cpc sia da parte del singolo consumatore nel processo promosso dall’associazione e sia da parte di quest’ultima nel giudizio promosso individualmente.

I rapporti tra tutela individuale e collettiva così enucleati devono però essere rivalutati, o meglio precisati, a seguito della relativamente recente introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’azione di classe ex art. 140bis cod.cons., palesemente mutuata dai sistemi di common law. Invero, l’azione di classe ha per oggetto l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori, come espressamente previsto dall’art. 140bis, comma 2. Le situazioni giuridiche tutelate sono expressis verbis caratterizzate da omogeneità, non più identità come previsto dalla normativa originaria, ed ineriscono ai diritti contrattuali degli utenti, compresi i diritti relativi ai contratti stipulati ex artt. 1341 e 1342 cc, ovvero ai diritti spettanti avverso il produttore di un prodotto o servizio, e, infine, ai diritti risarcitori per i danni conseguenti a pratiche commerciali scorrette o a comportamenti anticoncorrenziali.

A ben vedere, tale normativa contiene plurime interferenze sotto il profilo di legittimazione ad agire, di interesse giuridico tutelato, così come sotto il profilo oggettivo della domanda giurisdizionale, rispetto allo strumento individuale riconosciuto al singolo utente ed anche rispetto allo strumento collettivo esercitabile da parte delle associazioni riconosciute. Precisamente, con riguardo alla tutela degli interessi collettivi a cui deve ricollegarsi la legittimazione ad agire delle associazioni riconosciute, anche nel silenzio della legge, sembra potersi affermare che mentre l’art. 140 consente una tutela inibitoria e “reale”, con l’adozione di concrete misure atte a correggere o eliminare i danni, l’azione di classe di cui all’art. 140bis consente la tutela risarcitoria e restitutoria in favore delle stesse associazioni, riconoscibile nella ricorrenza di determinati presupposti. Con riguardi ai diritti individuali, invece, l’azione di classe si configura come vera e propria alternativa rispetto a quella individuale. Ciò, visto il tenore della disposizione, sia con riferimento alle azioni individuali omogenee di cui agli artt. 114 e ss cod.cons., inerenti alla garanzia della sicurezza dei prodotti, e sia con riferimento alle azioni individuali omogenee inerenti ai danni subiti e risarcibili che presuppongono, però, il preventivo accertamento della vessatorietà delle clausole contrattuali con conseguente declaratoria di nullità delle stesse ai sensi dell’art. 36 cod.cons. A quest’ultimo riguardo, se si tiene conto del preciso oggetto attribuito all’azione di classe ossia quello dell’accertamento della responsabilità e della condanna risarcitoria e restitutoria, l’interferenza sopra indicata tra la detta azione di classe e quella individuale avverso le clausole abusive del contratto può essere professata solo quando la clausola vessatoria abbia ad oggetto le limitazioni di responsabilità del professionista con conseguente limitazione del risarcimento del danno, e non anche, quindi, in relazione alle varie tipologie di clausole “squilibrate” indicate negli artt. 33 e 36 cod.cons. Inoltre, come già accennato, rimane al di fuori dalla sfera applicativa dell’azione di classe la tutela inibitoria e quella amministrativa contro le clausole vessatorie di cui, rispettivamente, agli artt. 37 e 37bis cod.cons. e rispetto alle quali sono legittimate ad agire le sole associazioni riconosciute e non anche i singoli consumatori utenti.

Nella disciplina dettata dall’art. 140bis assume particolare rilievo il comma 12 relativo alla liquidazione del danno risarcibile. Il riferimento è alla previsione secondo cui, in caso di accoglimento dell’azione di classe promossa avverso i gestori di servizi pubblici, il giudice deve tenere conto di quanto riconosciuto in favore degli utenti danneggiati nelle carte dei servizi emanate dagli stessi gestori. Invero, gli indennizzi riconosciuti in via automatica da tali carte alla ricorrenza di precise situazioni fattuali sembrano avere chiara natura risarcitoria e, perciò, non potranno sommarsi al risarcimento riconosciuto con l’accoglimento dell’azione di classe, verificandosi altrimenti un’inammissibile locupletazione del danno.

Rispetto alla efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, le associazioni titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, anche non riconosciute, possono agire in giudizio per ripristinare il corretto esercizio della funzione o la corretta erogazione di un servizio, ai sensi del d.lgs. 198/2009. Tale disciplina permette ai titolari degli interessi collettivi di ripristinare lo svolgimento o l’erogazione di servizi pubblici agendo sia contro l’amministrazione sia contro il concessionario. Dalle omissioni deve derivare una lesione diretta, concreta ed attuale degli interessi che ricevono una tutela “reale” di stampo ripristinatorio e non risarcitorio. A quest’ultimo scopo rimangono esperibili i rimedi ordinari tra i quali dovrebbe sussumersi l’azione di classe di cui all’art. 140bis cod.cons. Tuttavia, l’art. 2 del d.lgs. 198/2009 disciplina espressamente i rapporti tra la tutela collettiva pubblica dallo stesso prevista e quella privata di cui al cod.cons., statuendo espressamente la inammissibilità del ricorso alla tutela collettiva pubblica quando l’autorità amministrativa deputata al controllo e alla regolazione del settore specifico abbia instaurato e non definito un procedimento avente ad oggetto le stesse condotte omissive e violative; allo stesso modo, la tutela collettiva pubblica è inammissibile se risulta pendente un giudizio ai sensi dell’art. 140 e 140bis cod.cons. A ben vedere, però, leggendo il comma 2 dell’art. 2 del d.lgs. 198/2009, si comprende come piuttosto che di inammissibilità sia più corretto parlare di improcedibilità, solo temporanea, vista la sospensione del giudizio.

In ultimo, solo per completezza e senza approfondire l’argomento che esula dall’odierna trattazione, si evidenzia che l’art. 4, comma 4, del d.lgs. 198/2009 , prevede la comunicazione della sentenza pronunciata contro il concessionario dei servizi pubblici all’amministrazione concedente, così che quest’ultima possa valutare l’opportunità di risolvere il contratto per inadempimento del concessionario ex art. 176 del codice dei contratti pubblici.


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Enrica Lamanna

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