Garanzie atipiche, divieto di patto commissorio e vendite condizionate all’adempimento

Garanzie atipiche, divieto di patto commissorio e vendite condizionate all’adempimento

Sommario: 1. Introduzione – 2. Le garanzie atipiche nella dimensione codicistica alla luce della causa come funzione economico individuale – 3. Vendita a scopo di garanzia e divieto di patto commissorio ex art.2744 c.c. – 4. L’ipotesi specifica: la nullità del contratto di mutuo che cela un patto commissorio

 

1. Introduzione

Alla base del diritto di credito vi è la possibilità per il creditore di poter confidare, “credere”, nel soddisfacimento del proprio interesse attraverso un adempimento esatto da parte del debitore.

Eppure, la realizzazione del credito è sempre condizionata da “un’alea” circa il comportamento del debitore e la puntuale realizzazione dell’interesse.

Per porre un argine a questo rischio fisiologico, insito in ogni rapporto obbligatorio, il codice sancisce una regola generale, secondo cui il debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutto il suo patrimonio presente e futuro, in tal modo consentendo al creditore di avere un patrimonio più o meno vasto su cui potersi soddisfare in caso di inadempimento.

Tale regola, incardinata nell’art.2740 c.c., rappresenta una “garanzia generica”, grazie alla quale tutti i creditori che concorrono verso un medesimo soggetto possono soddisfarsi in maniera eguale e proporzionale sul patrimonio del debitore.

Un corollario della garanzia patrimoniale generica è dunque il principio della c.d. “par conditio creditorum”, la cui cogenza rappresenterà una costante nel sistema delle garanzie, ponendosi come limite alle deroghe convenzionali realizzate dai privati al sistema tipico delle garanzie creditorie.

L’esigenza di garantire un meccanismo di soddisfazione egualitaria per i creditori è alla base della “tipicità” che caratterizza la disciplina delle garanzie reali, le quali rappresentano tutte un titolo di prelazione che consente al creditore di diversificarsi dalla massa dei creditori chirografari e prevalere sugli stessi.

Ne consegue che, ponendosi come deroga alla regola della parità di trattamento, le garanzie reali devono necessariamente soggiacere alla tipizzazione normativa, onde evitare meccanismi convenzionali pregiudizievoli per la massa dei creditori.

Ad un primo acchito interpretativo, il legislatore pare non consentire all’autonomia privata di creare nuove forme di garanzie “atipiche” che, se da un lato hanno come pregio quella di rafforzare il soddisfacimento della pretesa creditoria, dall’altro scontano il costo di sovvertire il principio della par condicio creditorum e, ancor peggio, rischiano di ingenerare sul debitore uno stato di minorata difesa e coazione psicologica.

Ciò, in particolare, nelle ipotesi in cui tali garanzie atipiche siano funzionalmente collegate all’alienazione di un bene immobile in favore del creditore, la cui restituzione sia condizionata all’adempimento dell’obbligazione principale da parte del debitore-alienante.

La quaestio iuris è in realtà molto più complessa e affatto scontata, richiedendosi che l’interprete ponga lo sguardo oltre il dato letterale, al fine di ammettere la cittadinanza delle “garanzie atipiche” nel nostro ordinamento.

Ci si riferisce, in particolare, a quei casi in cui tali garanzie siano mascherate da vendite sospensivamente o risolutivamente condizionate di un bene, ovvero da un patto di retrovendita, la cui restituzione è subordinata all’adempimento.

Allo scopo è imprescindibile tener conto del coordinamento delle fattispecie de qua con la regola imperativa del divieto di patto commissorio ex art.2744 c.c., secondo cui è nullo qualunque patto con cui si conviene che la proprietà di un bene ipotecato o dato in pegno passi in proprietà del creditore, in caso di inadempimento del credito entro il termine fissato.

2. Le garanzie atipiche nella dimensione codicistica alla luce della causa come funzione economico individuale

La disamina delle questioni illustrate impone di delineare genericamente il concetto di “garanzie atipiche” e le ragioni della loro diffusione nella prassi commerciale.

Come poc’anzi accennato, al fine di rafforzare il soddisfacimento della pretesa creditoria, il sistema civile prevede non solo la “garanzia patrimoniale generica” ma anche forme di garanzie ulteriori, sia reali che personali.

Sono garanzie reali tipiche il privilegio, il pegno e l’ipoteca.

Le stesse, in quanto reali, possiedono le medesime caratteristiche ontologiche del diritto di proprietà ovvero l’inerenza al bene, mobile o immobile, su cui insistono, l’assolutezza e l’immediatezza.

In particolare, il requisito dell’inerenza fa sì che le garanzie reali circolano insieme al bene e non vengono meno per effetto del trasferimento dello stesso in capo a terzi, avverso i quali possono essere opposte.

Tale prerogativa prende il nome di “diritto di sequela”.

Le garanzie reali, per tali caratteristiche, attribuiscono al beneficiario-creditore una priorità nell’aggressione del “bene vincolato” rispetto agli altri creditori del medesimo dante causa e, in generale, consentono di opporre il titolo di prelazione nei confronti dei terzi acquirenti.

A tal fine, il codice impone dei meccanismi di costituzione alquanto rigidi e formali, come ad esempio nell’ipotesi del pegno, ove l’art.2786 c.c. vuole lo “spossessamento” del bene da parte del debitore, oppure nel caso dell’ipoteca sull’immobile, per la quale è richiesta l’iscrizione nei registri immobiliari a fini pubblicitari.

Orbene, se questo è lo stato dell’arte tutt’ora vigente, non si può ignorare che l’evoluzione dei traffici commerciali e il mutamento dei rapporti economici legato alla crescita del settore industriale e finanziario ha reso il modello tipico sempre più stringente e, talvolta, inadeguato rispetto alle operazioni negoziali poste in essere dalle parti.

La necessità di adattamento si è sviluppata a partire dall’esigenza, sorta nella prassi dei finanziamenti, di costituire una garanzia su categorie di beni per i quali non sarebbe possibile il “rito” dello spossessamento, come ad esempio la costituzione di pegno sui beni del ciclo produttivo che, pur gravati dal vincolo, necessitano di rimanere nella disponibilità del debitore pignorato sino all’adempimento del rapporto obbligatorio.

Ciò ha determinato un utilizzo di modelli tipici sempre più eccentrico rispetto agli schemi legali, ma maggiormente adeguato all’interesse concretamente perseguito. Il fenomeno in questione ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a parlare di “garanzie atipiche”.

Le garanzie atipiche, invero, sono fattispecie elaborate nell’ambito dell’autonomia negoziale, apparentemente legittimate dal principio di cui all’art.1322 c.c., che si caratterizzano per l’apporto di modifiche agli elementi essenziali del modello di riferimento, ovvero per l’utilizzo di modelli tipici combinati tra loro attraverso un collegamento funzionale.

Il referente costituzionale di questa nuova forma di autonomia negoziale si rinviene nell’art.41 Cost. che, nel sancire la tutela dell’iniziativa economica privata, legittimerebbe anche l’adeguamento delle garanzie secondo il miglior soddisfacimento degli interessi delle parti.

Tendendo sempre in debita considerazione i rischi connessi all’atipicità delle garanzie reali, si può osservare come, ai fini della loro diffusione, abbia assunto un ruolo determinante la nuova concezione di causa quale funzione economico-individuale del negozio.

La causa di garanzia che giustifica il vincolo sul bene deve essere individuata alla luce dell’interesse concretamente perseguito dalle parti; interesse che, nei limiti in cui sia ritenuto lecito e meritevole di tutela dall’ordinamento, va al di là della struttura tipicamente prevista nel codice.

Ed invero, tra le garanzie atipiche che più si sono affermate nella prassi si può richiamare il pegno privo di spossessamento, noto come “pegno rotativo” o pegno mobiliare non possessorio. In questo caso si ha una garanzia reale priva del requisito essenziale richiesto dalla legge, consistente della consegna del bene o del documento dal debitore al creditore, caratterizzata dal fatto che il solvens può mantenere il bene vincolato presso di sé per tutta la durata del ciclo produttivo. In realtà, per la fattispecie de qua può addirittura ritenersi superato il problema dell’atipicità, avendo il legislatore positivizzato la stessa mediante il d.lgs.170/2004.

3. Vendita a scopo di garanzia e divieto di patto commissorio ex art.2744 c.c.

La garanzia reale atipica che desta invece maggiori perplessità è quella che viene definita “vendita a scopo di garanzia”, poiché essa si intreccia irrimediabilmente con la regola imperativa di cui all’art.2744 c.c., inerente al divieto di patto commissorio, ovvero quel patto con cui si conviene che la proprietà di un bene ipotecato o dato in pegno passi in proprietà del creditore, in caso di inadempimento del credito entro il termine fissato.

La vendita a scopo di garanzia si realizza nell’ipotesi in cui il debitore aliena un bene al creditore, subordinando il riacquisto del bene all’adempimento di un’obbligazione principale.

L’ipotesi descritta dà vita a una complessa operazione economica con cui le parti ricorrono allo schema tipico della compravendita, i cui effetti sono in realtà collegati all’esito di un’obbligazione principale insorta tra le parti.

In termini descrittivi questa operazione può atteggiarsi secondo tre differenti modalità.

Si può avere il caso in cui le parti convengono che gli effetti della vendita saranno differiti al momento in cui il debitore si riveli essere inadempiente, ovvero non esegua l’obbligazione principale: in tal caso si parla di “vendita sospensivamente condizionata”.

Un’altra ipotesi è quella ove le parti convengono che l’effetto traslativo della vendita si produrrà immediatamente, ma verrà meno nel momento in cui il debitore adempie l’obbligazione principale, potendo a quel punto riacquistare la proprietà del bene alienato. In tal caso si parla di “vendita risolutivamente condizionata”.

In passato la giurisprudenza tendeva ad ammettere solo la seconda ipotesi, ritenendo la prima nulla per violazione del divieto di patto commissorio, in virtù del fatto che gli effetti del contratto erano subordinati all’adempimento dell’obbligazione principale.

Nel primo caso invece il problema del carattere commissorio non si poneva, in quanto l’effetto traslativo tende a realizzarsi immediatamente, salvo poi vederne caducati gli effetti al verificarsi della condizione di inadempimento.

Solo in seguito si è affermata una differente lettura interpretativa, non più incentrata sulla circostanza che l’effetto traslativo della vendita sia risolutivamente o sospensivamente condizionato, ma che dà piuttosto rilievo al collegamento funzionale tra il trasferimento della proprietà e il mancato adempimento dell’obbligazione.

Più esattamente la Cassazione afferma che è necessario guardare al “collegamento causale” tra il negozio di vendita e il preesistente rapporto obbligatorio, dovendosi optare per la nullità a prescindere dal fatto che la condizione sia sospensiva o risolutiva, allorquando si accerti che il meccanismo atipico sia sorretto da una causa concreta sia a scopo di garanzia, poiché in tal caso si avrà a tutti gli effetti una violazione del divieto ex art.2744 c.c.

La terza ipotesi si configura in presenza del c.d. “patto di riscatto o di retrovendita”, in virtù del quale le parti convengono che il bene tornerà nella disponibilità del debitore alienante solo nel caso di adempimento dell’obbligazione, rimanendo altrimenti in proprietà del creditore acquirente.

Una variante della fattispecie de qua è quella comunemente definita “sale and lease back” o vendita con patto di locazione socialmente tipico, ove un soggetto, debitore, vende un bene a una società di leasing, creditore, ma continua a mantenere il bene presso di sé, pagando alla società acquirente un canone periodico di locazione, fino all’estinzione del debito.

È possibile osservare come la vendita con patto di riscatto rappresenta un’operazione in cui le parti ricorrono allo schema della vendita, il cui prezzo costituisce un finanziamento in favore del venditore che procede alla restituzione dello stesso. Si tratterebbe dunque di un vero e proprio contratto di mutuo dissimulato.

Orbene, come tutte le ipotesi di garanzie reali atipiche, le tre fattispecie ora illustrate pongono in definitiva due grandi problemi: da un lato il sovvertimento del principio di par conditio creditorum sotteso alla regola della garanzia patrimoniale generica, dall’altro il potenziale pregiudizio subito dal debitore nel caso in cui la vendita a scopo di garanzia integri in realtà un patto commissorio.

Quanto al primo aspetto la vendita del bene si atteggia a tutti gli effetti come una forma di sottrazione dello stesso dalla garanzia patrimoniale generica, integrando una sorta si segregazione patrimoniale potenzialmente pregiudizievole per gli altri creditori chirografari, i quali vedrebbero diminuite le loro possibilità di soddisfo, essendo stato alienato uno dei beni presenti nel patrimonio del debitore.

Questa “sottrazione” è tra l’altro del tutto atipica e, a differenza del pegno o dell’ipoteca, non è sorretta da alcun fondamento legislativo se non dal principio di autonomia privata ex art.1322 c.c.

Riguardo al secondo problema è ormai evidente che i tre meccanismi sopra illustrati possono essere evocativi del patto commissorio.

A differenza del pegno, ove la legge impone al creditore di vendere il bene e rivalersi sulla parte di valore rispondente al credito, le vendite a scopo di garanzia celano infatti il rischio che il creditore trattenendo il bene a seguito dell’inadempimento acquisti un valore maggiore rispetto al credito garantito.

Per vero, anche in forza dell’avallo offerto dalla giurisprudenza di legittimità, la verifica circa l’illiceità di queste forme di vendita non può essere risolta aprioristicamente in senso affermativo, limitandosi a constatare la presenza di una struttura commissoria, ma va scandagliata a partire dalla causa concreta che lega il collegamento funzionale tra la vendita e l’obbligazione debitoria.

Tale causa, per l’appunto di garanzia, sarà illecita non solo quando sic et simpliciter assume la forma di un patto commissorio, ma anche e soprattutto nelle ipotesi ben più ambigue del contratto in frode alla legge ex art.1344 c.c.

In questo caso infatti il divieto posto dalla legge viene aggirato mediante il ricorso ad uno schema tipico e lecito che però cela un interesse concreto illecito, in quanto lesivo della norma imperativa.

È quanto si verificherebbe se le parti, ricorrendo ad un contratto considerato perfettamente lecito come la compravendita, intendano concretamente realizzare un patto commissorio, aggirando così la norma imperativa attraverso un meccanismo simulato, la cui illiceità è desumibile solo investigando la causa dissimulata.

In definitiva, essendo opportuno che il giudice scandagli la concreta volontà delle parti, come del resto è imposto dall’art.1322 c.c., la causa dovrà essere ricostruita anche a partire da determinati elementi sintomatici che palesano sia la condizione di debolezza economica del debitore, individuale o azienda, che subisce un approfittamento da parte del creditore, sia quei meccanismi negoziali il cui unico scopo è quello di sottrarre un bene alla disponibilità patrimoniale generica, in pregiudizio della massa dei creditori.

La “commissorietà” del negozio posto in pregiudizio del solvens è ravvisabile soprattutto ogni qual volta la causa concreta è improntata alla sproporzione tra bene trasferito e obbligo garantito, che si risolve in un eccesso di garanzia per il creditore e un difetto di tutela per il debitore. Tanto ciò è vero che detta sproporzione è concepita dalla giurisprudenza di legittimità come l’indizio di maggior peso.

Si guardi ad esempio alla stipulazione di un “mandato ad alienare senza obbligo di rendiconto”, a mezzo del quale il debitore consente al creditore di alienare il bene potendosi soddisfare sull’intero ricavato, senza dover rendicontare l’esito delle operazioni di vendita.

Alla luce di quanto sin qui analizzato può dunque ritenersi che l’alienazione a scopo di garanzia atipica non può essere bandita dall’ordinamento, tanto più in ragione del fatto che le riforme successive agli anni 2000, in attuazione della direttiva comunitaria 2002/47 CE, hanno espressamente conferito cittadinanza ai c.d. “contratti di garanzia finanziaria”, di cui al d.lgs.170/2004.

Per detti contratti, il legislatore, ammettendo l’alienazione a scopo di garanzia, ha ancorato la tipizzazione alla corrispondenza tra il valore della garanzia e l’obbligazione finanziaria garantita, attribuendo al trasferimento la mera funzione di consentire al creditore un controllo diretto delle conseguenze dell’inadempimento. Tutto ciò trova coerenza in quella volontà del legislatore di assoggettare le nuove forme di garanzia atipica alla medesima ratio che sorregge le garanzie tradizionali, ovvero la proporzionalità di valore tra le situazioni opposte.

Ciò induce a qualificare la fattispecie, che presenta queste caratteristiche, come un’ipotesi di “patto marciano”, tutte le volte in cui il trasferimento di proprietà del bene non avviene in maniera automatica, ma richiede la previa estimazione dello stesso ad opera di un perito, con restituzione al debitore dell’eventuale eccedenza sul soddisfo del credito garantito.

Il patto marciano, pur in mancanza di una previsione espressa, è infatti ritenuto tendenzialmente ammissibile dalla giurisprudenza, proprio in virtù dell’attitudine dello stesso a realizzare una condizione di equilibrio e proporzione a tutela del contraente debole, che si realizza grazie alla stima del valore del bene, accordata solo successivamente all’adempimento.

Come è possibile dedurre dalle sopra esposte argomentazioni, i meccanismi negoziali analizzati, nella maggior parte dei casi, hanno ad oggetto un contratto di mutuo, con cui l’istituto di credito eroga un finanziamento in favore di un soggetto, generalmente un’azienda, che a sua volta ha alienato un bene a scopo di garanzia.

4. L’ipotesi specifica: la nullità del contratto di mutuo che cela un patto commissorio

In questo caso specifico abbiamo, da un lato un contratto di finanziamento tra debitore e creditore e dall’altro una pattuizione che sopponiamo essere causalmente commissoria e dunque affetta da nullità.

Trattandosi di un patto commissorio, si devono distinguere essenzialmente due ipotesi: il caso in cui il patto è antecedente o contestuale al contratto di mutuo e il caso in cui il patto venga stipulato solo successivamente al finanziamento.

Nella prima ipotesi, la circostanza che la stipula del mutuo sia successiva o contestuale al patto può essere un elemento sintomatico del fatto che l’accettazione della condizione commissoria possa aver rappresentato il requisito essenziale cui era subordinato il finanziamento, potendosi desumere tra l’altro che il debitore abbia accettato il patto solo perché gravato da uno stato di bisogno.

Se ricorrono queste condizioni può trovare agevole applicazione l’art.1419 c.c., laddove esclude che vi sia nullità parziale del contratto, rectius nullità del solo patto commissorio, qualora si dimostri che la clausola affetta da nullità rappresentava una condizione essenziale dell’accordo. Invero, costituendo il patto una clausola essenziale, la nullità dello stesso travolgerà l’intero contratto di mutuo.

Diversamente se il patto era successivo alla stipula del mutuo diviene più complesso per il debitore dimostrare che il finanziamento era preordinato all’accettazione delle condizioni illecite, poiché si presume che non vi sia un collegamento negoziale tra mutuo e patto commissorio, avvinto da un’unica causa, che determina l’estensione della nullità all’intero rapporto.

In questo secondo caso può trovare invece applicazione la nullità parziale ex art.1419 comma 1 c.c., secondo cui, se la clausola nulla non era la condizione essenziale dell’accordo, il vizio non si estenderà all’intero rapporto negoziale, che rimarrà in piedi depurato dalla clausola commissoria.

Alla luce di queste distinzioni si può osservare che in un contesto normativo improntato alla tendenziale conservazione dei rapporti contrattuali è preferibile per il mutuante optare per la seconda soluzione, in considerazione del fatto che se si pervenisse alla nullità totale del rapporto egli potrebbe ottenere solo la ripetizione dell’indebito oggettivo secondo quanto consentito dall’art.2033 c.c.

Diversamente, in caso di nullità della sola clausola commissoria, egli potrà esigere l’intera restituzione del finanziamento, corredata degli interessi, oltre che l’eventuale risarcimento del danno da inadempimento dell’obbligazione.


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