Giudice amministrativo e diritti fondamentali

Giudice amministrativo e diritti fondamentali

Un tema di particolare rilievo, oggetto di accesi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, riguarda il rapporto esistente tra il potere amministrativo – giurisdizione amministrativa e i diritti fondamentali. 
Con la locuzione diritti fondamentali si individuano quei diritti costituzionalmente garantiti che devono essere assicurati a ciascun individuo.

Essi non sono soggetti ad una rigida perimetrazione e devono interpretarsi in senso evolutivo (un orientamento minoritario ricomprende tra questi anche i diritti CEDU, in quanto riconosciuti dalla Carta Costituzionale per tramite dell’art. 117).
La giurisprudenza e la dottrina meno recente hanno qualificato i diritti fondamentali come diritti connotati da assoluta indegradabilità: diritti intangibili da qualsiasi forma di compressione.

Tale teoria, detta dell’indegradabilità dei diritti fondamentali, ha trovato il suo fondamento nell’art. 2 della Costituzione che letteralmente “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Quanto premesso ha importanti riflessi in punto di giurisdizione.

Il riparto di giurisdizione è un insieme di regole da utilizzare per individuare il giudice competente, in modo particolare quando si voglia intentare una causa contro la PA.
Il rilievo giuridico dei criteri di riparto cessa se è la stessa legge che attribuisce espressamente la giurisdizione al giudice ordinario o al giudice amministrativo .

Infatti, in materia di giurisdizione amministrativa possono distinguersi l’ipotesi di giurisdizione generale di legittimità e due ipotesi particolari, previste espressamente dal legislatore, di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ( 103 Costituzione , 7 c.p.a., 133 c.p.a.) e di giurisdizione estesa al merito ( 134 c.p.a.) .

La giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo sussiste tutte le volte in cui l’obiettiva ragione su cui si fonda la domanda è la lesione di un interesse legittimo; al contrario, ove la ragione obiettiva su cui si fonda la domanda è la lesione di un diritto soggettivo , la giurisdizione spetta al giudice ordinario ( teoria della causa petendi).

La teoria della causa petendi presuppone che siano adeguatamente distinti i diritti soggettivi dagli interessi legittimi.
Nel corso degli anni la dottrina ha elaborato eterogenei criteri per evidenziare il discrimen tra le due posizioni giuridiche soggettive.

Una prima tesi distingueva gli interessi legittimi dai diritti soggettivi in base al tipo di atto posto in essere dalla PA: atto di imperio: interesse legittimo = atto di gestione : diritto soggettivo. Ulteriore teoria avallata in dottrina fondava il discrimen sulle norme di azioni e sulle norme di relazione: solo quando la PA nel suo concreto operare violi una norma di azione, che disciplina l’esercizio del potere pubblico, in capo al privato sorge una posizione di interesse legittimo. Nella ipotesi opposta di violazione di una norma di relazione, volta a disciplinare un rapporto intersoggettivo paritetico fra PA e cittadino viene in rilievo un diritto azionabile davanti al GO. Altra teoria costruiva il discrimen sul tipo di attività svolta dalla PA : in caso di attività vincolata della PA sorge una posizione di diritto soggettivo , in caso di attività discrezionale della PA un interesse legittimo.

La tesi ad oggi maggiormente sostenuta è quella della “carenza in astratto del potere“.
Alla luce di questa teoria per valutare la sussistenza di un interesse legittimo ovvero di un diritto soggettivo è necessario osservare se sussiste una fonte legislativa che attribuisce alla PA un potere pubblicistico.
Ove , possa individuarsi in astratto il potere autoritativo della PA è sempre coinvolto un interesse legittimo, nonostante in concreto possa essere stato esercitato scorrettamente. Diversamente, in carenza di una norma attributiva del potere è sempre interessata una posizione di diritto soggettivo.
Tale criterio risulta confermato anche dalle disposizioni di cui all’art. 21 septies e 21 octies del c.p.a..
L’art. 21 septies, infatti, prevede la nullità di un atto amministrativo in caso di difetto assoluto di attribuzione del potere, mentre la sola carenza in concreto non è causa di nullità.
L’art. 21 octies aggiunge che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge: una cosi generica disposizione permette di concludere che una norma attributiva del potere, sebbene poi concretamente violata, sia sufficiente ad escludere un difetto assoluto di attribuzione.
Alla luce di quanto premesso è evidente che avallare la teoria dell’indegradabilità dei diritti fondamentali comporta che questi non dialoghino mai con il potere della PA, e che conseguentemente non si configuri mai una giurisdizione amministrativa.
La teoria dell’indegradabilità incide sulla giurisdizione generale di legittimità amministrativa, in quanto, escludendo qualsiasi tipo di compressione dei diritti fondamentali, si esclude che possa individuarsi alcun tipo di norma che attribuisca in astratto il potere della PA. Un eventuale provvedimento della PA risulterebbe nullo, in quanto privo dei ogni fondamento normativo attributivo del potere pubblicistico.

La teoria dell’indegradabilità incide sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto avallare l’intangibilità assoluta di tali diritti , ne fa conseguire che eventuali comportamenti della PA risultino comportamenti meri, completamente distaccati dall’esercizio del potere autoritativo della pubblica amministrazione, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.

Il legislatore può infatti, prevedere delle particolari materie in cui il giudice amministrativo si occupi dei diritti soggettivi. Tale “particolarità” è stata interpretata, dalle sentenze della corte costituzionale n. 204/2004 e 191/2006 e dall’art. 7 c.p.a., in negativo come divieto del giudice amministrativo di avere una competenza assoluta e generalizzata sui diritti soggettivi, e in positivo come necessaria interconnessione che deve sussistere tra gli interessi legittimi e tali diritti soggettivi, ossia deve individuarsi , almeno mediatamente , l’esercizio del potere pubblicistico.

Al contrario, in presenza di atti e comportamenti meri in cui non può individuarsi neanche indirettamente l’esercizio del potere pubblicistico , come nell’ipotesi dei diritti fondamentali, non è possibile riconoscere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, altrimenti oltrepassando i limiti di legittimità costituzionale.

La teoria dell’indegradabilità trova le sue ragioni nel timore che tramite la giurisdizione del giudice amministrativo non potesse assicurarsi adeguata tutela ai diritti costituzionali considerati fondamentali.
All’indomani dell’istituzione della quarta sezione del Consiglio di Stato, il processo amministrativo è stato configurato come un processo di tipo impugnatorio che ha ad oggetto un provvedimento amministrativo. Il processo amministrativo è visto come giudizio sull’atto, teso a verificarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati : l’unica azione amministrativa ammessa è dunque l’azione di annullamento; la sola misura cautelare riconosciuta è quella dalla sospensione dell’atto, e si esclude che il giudice amministrativo possa conoscere controversie relative al risarcimento del danno.

Questa incompletezza di tutela ha portato allo nascita della teoria dell’indegradabilità dei diritti fondamentali, così escludendo, a monte, il rischio di un insufficiente garanzia. Attualmente tuttavia la teoria in esame incontra insuperabili limiti.
La dottrina e la giurisprudenza pacificamente ritengono che l’oggetto del processo sia diventato il rapporto giuridico controverso. Il processo amministrativo si è trasformato da un “giudizio sull’atto” a un “giudizio sul rapporto”, volto a valutare la fondatezza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio. All’azione impugnatoria si affianca l’azione di condanna generale o specifica, l’azione avverso il silenzio inadempimento, l’azione di risarcimento del danno e si riconosce l’atipicità delle misure cautelari ( art. 50 c.p.a. e 700 c.p.c.): il timore di

una non adeguata tutela dei diritti fondamentali non risulta più fondata, riconoscendosi al giudice amministrativo pieni poteri, al pari del giudice ordinario.
Inoltre, è lo stesso legislatore che attribuisce il potere alla pubblica amministrazione di bilanciare interessi coinvolgenti distinti diritti fondamentali, creando necessariamente un vulnus per uno di questi. Quanto premesso chiarisce come sia lo stesso legislatore ha legittimare il dialogo tra il potere autoritativo della PA e i diritti fondamentali.

Il superamento della teoria della indegradabilità dei diritti fondamentali è inoltre dimostrato dall’accezione oggi attribuita all’interesse legittimo.
In passato si riteneva che l’interesse legittimo , quale posizione giuridica soggettiva attiva, nasceva come prodotto di un atto giuridico sfavorevole, e dunque solo successivamente all’emanazione del provvedimento amministrativo: il provvedimento della pubblica amministrazione degradava il diritto soggettivo in interesse legittimo.

Attualmente è pacifico ritenere che l’interesse legittimo non si ponga a valle del rapporto giuridico, essendo una situazione che l’ordinamento attribuisce al destinatario di un provvedimento per orientare la sua adozione in senso favorevole, e viene in rilievo prima ancora che esso sia emanato.

La nuova accezione dell’interesse legittimo, dunque, mal si concilia con la teoria dell’indegradabilità.
Il superamento definitivo della teoria della intangibilità dei diritti fondamentali si ha con le due note sentenze della Corte Costituzionale n. 204/2004 e 191/2006 in cui è chiarito come il giudice amministrativo sia il giudice del potere pubblico.

Il criterio di riparto non può fondarsi sulla natura inviolabile o meno della posizione giuridica dedotta, ma sull’esistenza o meno di una fonte legislativa che consente l’interposizione della PA e dunque, l’esercizio del potere pubblico.
Nella caso di specie, con riferimento alle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il filo conduttore è sempre il medesimo: non esiste un diritto indegradabile ex se. È opportuno capire se la PA eserciti, anche mediatamente , un potere autoritativo, essendo irrilevante ai fini del riparto che siano coinvolti diritti fondamentali.

Il rapporto tra la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e i diritti fondamentali è ancora oggi oggetto di pronunce giurisprudenziali.
Recentemente, un’importante pronuncia dell’Adunanza Plenaria in materia di sostegno scolastico nei confronti di alunni disabili ha confermato quanto sopra premesso. L’ampiezza della latitudine della giurisdizione esclusiva amministrativa preclude , in assenza di una espressa deroga, una esegesi restrittiva del perimetro della cognizione affidata al giudice amministrativo in materia di diritti soggettivi fondamentali. Tale capacità cognitiva non

comporta alcun sacrificio di tutela per i diritti fondamentali, oggi riconoscendosi le medesime garanzie al giudice amministrativo e al giudice ordinario.
Da ultimo, a riprova di quanto sostenuto dalla giurisprudenza lo stesso legislatore nel codice del processo amministrativo ha espressamente previsto che il giudice amministrativo nelle materia di giurisdizione esclusiva possa occuparsi dei diritti fondamentali: l’art. 133 comma 1 lettera p) attribuisce la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibile, anche mediatamente , all’esercizio di un pubblico potere, “quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati”.


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