Gli accordi pubblici: dove la discrezionalità amministrativa incontra il consenso del privato

Gli accordi pubblici: dove la discrezionalità amministrativa incontra il consenso del privato

Gli accordi pubblici rappresentano un regolamento contrattuale in cui la collaborazione tra P.A.  e privati sostituisce il tradizionale esercizio della potestà di imperio facente capo alla stessa pubblica amministrazione. Essi figurano come validi strumenti di esercizio condiviso del potere amministrativo e, in quanto tali, svolgono una funzione di prevenzione del contenzioso, poiché il privato partecipa attivamente alla predisposizione ed alla determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo. Invero, la pubblica amministrazione omette di esercitare quel potere autoritativo capace di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del destinatario del provvedimento, modificandone in senso restrittivo ovvero ampliativo la portata, consentendo così l’instaurazione di un rapporto paritetico con il privato medesimo.

Più precisamente, il contenuto dell’accordo varia a seconda del modello prescelto dalle parti: distinguiamo tra accordi integrativi e accordi costitutivi.

Il primo tra i due moduli è definito endoprocedimentale, in quanto viene concluso durante la fase del procedimento amministrativo che riceve l’apporto partecipativo del privato, in virtù del quale il contenuto discrezionale del provvedimento si alimenta del consenso del privato. Mentre, in base al secondo modulo, la pubblica amministrazione conclude di intesa con il privato un accordo destinato a sostituire interamente il provvedimento amministrativo unilaterale della P.A..

Preliminarmente alla disamina degli istituti in oggetto, si ritiene opportuno precisare che entrambi i moduli di accordi tra pubblica amministrazione e privato presuppongono che un procedimento amministrativo sia già stato avviato d’ufficio  o su istanza di parte, ma soprattutto incidono ambedue sull’esercizio del potere discrezionale di cui è titolare la P.A., non essendovi spazi di autonomia provvedimentale in presenza di un’attività amministrativa integralmente vincolata.

Inoltre, è opportuno rammentare che l’esercizio della facoltà di concludere accordi con il privato destinatario del provvedimento amministrativo non coincide tout court con la situazione che vede la pubblica amministrazione agire jure privatorum come parte di contratti di diritto comune, poiché notevoli sono le difformità che emergono da un’attenta analisi comparatistica tra i due istituti.

A proposito della natura giuridica degli accordi, in dottrina si sono registrate due tesi antitetiche: secondo la prima gli accordi sarebbero veri e propri contratti di diritto comune, a oggetto pubblico, mentre secondo altri autori sarebbero riconducibili alla figura del contratto di diritto pubblico. Sostenere l’una o l’altra delle tesi appena esposte implica una scelta tra rimedi esperibili, oltre a quella afferente alla veste da attribuire alla P.A. – di soggetto pubblico o privato –  in sede di stipulazione degli accordi. Invero, ritenendo che gli accordi pubblici siano contratti di diritto comune, a oggetto pubblico, sul piano applicativo, si ammetterebbero il recesso di cui all’art. 11 L. 241/1990, le regole civilistiche in tema di nullità, annullabilità e rescissione del contratto, di modo che la violazione degli obblighi nascenti dall’accordo darebbe spazio alle azioni di esatto adempimento e di risoluzione per inadempimento. Non solo, sarebbe esperibile anche il rimedio di cui all’art. 2932 c.c.. Vi è da precisare, inoltre, che un accordo avente l’indicata natura giuridica non potrebbe essere lesivo della sfera di terzi, stante il principio di relatività dei contratti ex art. 1372 c.c.. Se si optasse, invece, per la tesi secondo cui l’accordo sarebbe riconducibile all’istituto del contratto di diritto pubblico allora, oltre al recesso di cui all’art. 11, verrebbe in rilievo anche l’autotutela in annullamento esperibile dalla P.A. a fronte di accordi illegittimi. Si rammenta che la natura pubblicista dell’accordo postula altresì l’applicazione del regime patologico ai sensi degli artt. 21 septies e 21 octies L. 241/1990. Così, al posto del rimedio in forma specifica, in caso di mancata adozione del provvedimento previsto dall’accordo, si legittimerebbe l’esperibilità dell’azione avverso il silenzio-rifiuto.

Oltre alle distinzioni rimediali nella fase patologica del rapporto instauratosi tra la pubblica amministrazione e il privato viene in rilievo, di certo, anche la diversa ripartizione delle competenze giurisdizionali, allorché sostenere la tesi privatistica equivale a portare la controversia innanzi al giudice ordinario, escludendo la possibilità per la P.A.  di esercitare poteri discrezionali piuttosto che uniformarsi agli impegni convenzionalmente sanciti nell’accordo; di converso la tesi pubblicistica esporrebbe il privato al ristretto sindacato del giudice amministrativo sulle scelte discrezionali della pubblica amministrazione, secondo i canoni della giurisdizione di legittimità. In ogni caso, sia nell’uno che nell’altro caso, è fuor dubbio che al privato spetti la tutela risarcitoria per i danni subiti in conseguenza delle violazioni degli accordi da parte della P.A., nonché la tutela afferente alla responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., per ingiustificata rottura delle trattative. Il nodo sulla natura giuridica degli accordi sembra essere sciolto dal legislatore, così come verrà di seguito specificato.

Come è noto, gli accordi sono disciplinati dall’ art. 11 L. 241/1990 dal quale letteralmente si evince la natura consensuale dell’accordo: il responsabile del procedimento e il privato, seguendo un calendario di incontri, avviano una trattativa, alla quale segue la deliberazione dell’organo che sarebbe competente ad adottare il provvedimento e, infine, l’accordo in forma scritta a pena di nullità.

È bene precisare che, quanto al riparto di giurisdizione, l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 2 c.p.a., attribuisce al giudice amministrativo la cognizione esclusiva sulle relative <<le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi>>. Il legislatore sembra quindi accordare agli stessi natura pubblicistica. Secondo la Consulta, pronunciatasi sul tema con sentenza n. 179/2016, il fondamento di tali ipotesi di giurisdizione esclusiva viene legittimamente individuato nell’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, del potere pubblico che si sostanzia nel modulo confezionato dalla P.A. insieme al privato.

Per una completa disamina dell’istituto in oggetto, si rileva altresì che il comma 4 dell’art. 11 attribuisce alla pubblica amministrazione il potere di recedere unilateralmente dall’accordo, in presenza di sopravvenuti motivi di interesse pubblico, fermo restando il diritto del privato ad ottenere un indennizzo rapportato agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato. Il recesso unilaterale testé richiamato, se ritenuto ingiustificato, farebbe sorgere la responsabilità precontrattuale in capo alla P.A. mentre, se reputato illegittimo, attribuirebbe al privato il diritto di ottenere il risarcimento del danno. Sul punto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato sembra propendere per la tesi secondo cui il recesso in parola avrebbe natura pubblicistica, con conseguente assimilazione all’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21-quinques della L.241/1990.

Si rammenta, inoltre, che gli artt. 15, L.241/1990 e 34, D.lgs. n. 267/2000, disciplinano gli accordi di programma tra pubbliche amministrazioni, con i quali le stesse si autovincolano in merito al futuro esercizio dell’attività amministrativa provvedimentale o consensuale. Anche siffatta tipologia di accordi è vincolata quanto alla forma scritta a pena di nullità, nonchè al regime dei controlli a cui sono sottoposti i provvedimenti amministrativi che vanno a sostituire. Anche con riferimento agli accordi tra P.A., la giurisprudenza di legittimità sembra preferire la tesi della natura pubblicistica definendoli contratti a oggetto pubblico, con la peculiarità che in essi le parti dell’accordo si trovano in una posizione di equiordinazione, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di comune interesse. Gli accordi in parola sono anch’essi materia di competenza esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lett. a), n.2..


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