Gli atti di gestione dell’emergenza sanitaria tra cura dell’interesse pubblico e compressione dei diritti fondamentali: riflessioni in tema di riparto di giurisdizione

Gli atti di gestione dell’emergenza sanitaria tra cura dell’interesse pubblico e compressione dei diritti fondamentali: riflessioni in tema di riparto di giurisdizione

Nell’ottica di un diritto amministrativo paritetico [1], quale quello attuale, il tema della tutela del cittadino contro gli atti della pubblica amministrazione acquisisce sempre maggiore centralità nel dibattito giurisprudenziale. A rinnovare l’interesse dell’interprete in materia contribuisce altresì il fenomeno della proliferazione degli atti amministrativi generali; e con esso, la tendenza propria degli ultimi tempi al decentramento della funzione amministrativa in capo a Regioni ed Enti locali. L’atto amministrativo diventa così la sede privilegiata del bilanciamento tra opposti interessi, con conseguente coinvolgimento anche dei diritti fondamentali della persona [2].

Caso emblematico ed attuale è quello del programma di gestione dell’emergenza sanitaria da Covid-19: il legislatore d’emergenza ha ritenuto infatti di affidare la concreta predisposizione di misure di contenimento al potere amministrativo, limitandosi soltanto a dettare delle norme generali sui limiti di tale intervento e sugli obiettivi da raggiungere. In particolare il Governo, al fine di fronteggiare la diffusione dell’epidemia virale, ha varato due successivi decreti legge. Il primo decreto-legge (d.l. 23 febbraio 2020, n. 6; convertito con modificazioni dalla l. 5 marzo 2020, n. 13) autorizza il Presidente del Consiglio dei Ministri ad emanare DDPPCCMM dal contenuto per lo più atipico, delegando dunque quasi totalmente a fonti secondarie la individuazione degli strumenti più idonei al controllo del virus [3]; il successivo decreto legge (d.l. 25 marzo 2020, n. 19; convertito con modificazioni dalla l. 22 maggio 2020, n. 35), a superamento del primo, ha optato invece per un sistema di predeterminazione delle misure di contenimento e quindi del contenuto dei DPCM, in un’ottica di maggiore rispetto della legalità sostanziale [4]. Il d.l. 19, inoltre, ha regolato il riparto di competenze tra Governo e Presidenti delle Regioni, attribuendo a questi ultimi rilevanti poteri di ordinanza, in una logica di collaborazione tra diversi livelli di governo [5].

L’obiettivo di gestione dell’emergenza sanitaria ha imposto sovente la limitazione di libertà fondamentali della persona, per l’appunto in nome della tutela della salute pubblica; e ciò ha condotto ad interrogarsi sui meccanismi di tutela giurisdizionale esperibili avverso tali restrizioni, tanto più in considerazione dell’elevato contenzioso sviluppatosi in materia. In particolare, il problema che viene qui in rilievo è quello dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, e dunque del giudice autorizzato a conoscere della legittimità dell’azione amministrativa emergenziale.

Secondo una prima ricostruzione, la giurisdizione in materia spetterebbe al giudice ordinario. Gli atti amministrativi di gestione dell’epidemia, infatti, proprio in quanto incidenti su diritti fondamentali di rilievo costituzionale, impedirebbero il configurarsi di interessi legittimi in capo ai privati: così verrebbe meno il fondamento teorico che giustifica la giurisdizione del giudice amministrativo. La tesi prospettata è figlia della teoria della degradazione dei diritti soggettivi, affermatasi in passato ma non ancora del tutto superata [6]. Secondo il modello della degradazione, l’interesse legittimo oppositivo altro non è che un diritto soggettivo affievolito: di regola cioè, quando l’amministrazione esercita un potere in modo da incidere sfavorevolmente sulla sfera del privato e su di un suo diritto soggettivo, si verifica un fenomeno di degradazione del diritto soggettivo inciso a mero interesse legittimo; con la possibilità da parte del privato di ottenere, laddove l’amministrazione abbia agito contra legem, l’annullamento dell’atto amministrativo sfavorevole, con conseguente riespansione del diritto soggettivo in precedenza compresso; e con conseguente possibilità di ottenere il risarcimento del danno per violazione del suddetto diritto soggettivo.

Tuttavia, non tutti i diritti soggettivi sarebbero suscettibili di restrizione da parte della pubblica amministrazione: i teorici della degradazione individuano una serie di posizioni soggettive che, proprio in quanto tutelate dalla Carta costituzionale come diritti fondamentali della persona, presentano un carattere di rigidità, tale da impedire una loro compressione per mezzo del potere amministrativo. In presenza quindi di un esercizio del potere amministrativo in grado di influenzare negativamente il godimento di tali prerogative costituzionali, non si configurerebbe un fenomeno di affievolimento. Ogni intervento amministrativo in tal senso si fonderebbe su un potere inesistente, e sarebbe dunque da considerare come radicalmente illegittimo: l’atto amministrativo cadrebbe al di fuori dei confini che definiscono l’ambito di autorità della pubblica amministrazione, e ciò spiegherebbe il radicarsi della tutela giurisdizionale di fronte al giudice dei diritti, ovverossia il giudice ordinario.

Tra le posizioni a nucleo duro di volta in volta individuate dalle pronunce della giurisprudenza di Cassazione si rinvengono, oltre che posizioni come il diritto alla salute, anche il diritto alla libera circolazione e il diritto alla libera associazione: diritti fortemente limitati proprio dai provvedimenti di gestione dell’emergenza sanitaria, circostanza che giustificherebbe quindi la loro devoluzione alla cognizione del giudice ordinario [7].

Invero, la teoria della degradazione non può essere condivisa, tanto più in un sistema, quale quello attuale, che ammette ormai la piena risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo; e che, più in generale, riconosce autonoma dignità all’interesse legittimo, concepito non più come posizione meramente ancillare e servente rispetto al diritto soggettivo, bensì come situazione giuridica soggettiva propria e diversa dal diritto soggettivo [8].

La tesi dell’affievolimento, per di più, si fonda su una forzatura di sistema difficilmente superabile: essa presuppone che l’interesse legittimo sia una posizione soggettiva che non venga ad esistenza fintantoché non intervenga un atto amministrativo in grado di incidere sfavorevolmente sulla sfera dei diritti del privato. Orbene, un tale assunto entra in contraddizione con una delle qualità dell’interesse legittimo, ovverossia la sua derivazione ex lege: l’interesse legittimo è una posizione soggettiva che si fonda sulla norma di diritto amministrativo, la quale, nell’attribuire alla pubblica amministrazione il potere autoritativo, ne fissa altresì i limiti; riconoscendo così lo spazio entro cui l’interesse del singolo debba ricevere tutela, in quanto allineato con l’interesse pubblico. È Dunque la norma amministrativa stessa, e non invece il successivo ed eventuale provvedimento ablatorio dell’amministrazione, a far sorgere l’interesse legittimo in capo al privato [9].

Le criticità della teoria della degradazione emergono altresì dal suo ridotto campo di applicazione: essa infatti non è in grado di dar conto dell’esistenza e della risarcibilità dell’interesse legittimo pretensivo, data la sua diversa connotazione sostanziale. Poiché l’interesse pretensivo è l’interesse del privato ad ottenere un provvedimento favorevole dalla pubblica amministrazione, all’annullamento del provvedimento di rigetto non potrebbe infatti seguire un’automatica riespansione del diritto soggettivo sottostante: affinché il privato ottenga tutela è necessario così che la pubblica amministrazione, attraverso un nuovo esercizio del potere, emetta il provvedimento favorevole richiesto dal privato e in precedenza rigettato. Ma una tale prestazione di facere specifico non risulta sempre coercibile attraverso l’azione di condanna pubblicistica, la quale infatti è esperibile solo laddove il potere amministrativo in questione non sia fondato sulla discrezionalità e comunque sia stato, seppure illegittimamente, già esercitato.

Questi rilievi dimostrano che la tesi dell’affievolimento dei diritti soggettivi a interessi legittimi risulta fondata su presupposti di teoria generale che non sono coerenti con il modo in cui è disciplinata l’esistenza e la tutela dell’interesse legittimo sul piano del diritto positivo.

Ma pure a voler condividere la teoria della degradazione, rimarrebbe comunque problematico ammettere una distinzione tra diritti soggettivi al fine di escludere la degradabilità di alcuni di essi. A questo proposito, è sì vero che l’ordinamento costituzionale riconosce la superiorità assiologica di alcune posizioni soggettive a nucleo rigido, che perciò si sostanziano nei cosiddetti diritti fondamentali della persona; ma è anche vero che la qualificazione di un diritto come a nucleo rigido non impedisce che questo possa subire restrizioni, sia pure nel rispetto del principio di ragionevolezza. Dottrina e giurisprudenza sono invero concordi nel sostenere che anche la posizione a nucleo rigido, per l’appunto il diritto fondamentale della persona, possa essere compresso: e ciò alla duplice condizione che il suo sacrificio sia giustificato dall’esigenza di tutelare interessi costituzionali di pari rango e meritevoli di eguale tutela; e che tale sacrificio non si sostanzi in una totale negazione del diritto fondamentale in questione. Inoltre, a rendersi interprete di tale operazione di bilanciamento deve essere necessariamente il legislatore. L’organo legislativo infatti, in quanto unico attore istituzionale dotato di piena legittimazione democratica, è il solo autorizzato dalla Costituzione ad adottare scelte capaci di comprimere le libertà individuali [10].

Ora, gli interventi di gestione dell’emergenza sanitaria sono l’espressione di un’operazione di contemperamento tra posizioni a nucleo rigido: è vero infatti che hanno comportato la compressione di diritti fondamentali come quello alla libera circolazione o alla libera associazione; ma è anche vero che il sacrificio di tali diritti è avvenuto il nome della tutela del diritto alla salute, anch’essa posizione a nucleo rigido e inviolabile. E a scalfire la legittimità di tali interventi di bilanciamento non vale la circostanza che essi hanno natura amministrativa: ciò in quanto le misure di contenimento dell’epidemia varate con DDPPCCMM e con altre fonti secondarie del diritto trovano comunque espresso fondamento nella legge d’emergenza: e ciò vale tanto più in considerazione dell’emanazione del d.l. 19/20, il quale, modificando il d.l. 6/20, ha descritto in modo tipico le misure di contenimento. Ciò dimostra che gli atti amministrativi generali di gestione dell’emergenza sanitaria non costituiscono un caso di radicale carenza di potere o, come è stato sostenuto da alcuni, un caso di attività materiale illecita da parte dell’amministrazione. Quindi non c’è nessuna base normativa o teorica per poter configurare la posizione eventualmente lesa come diritto soggettivo e, per poter così riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario. Piuttosto si è qui in presenza di una posizione soggettiva che dialoga con un potere amministrativo, quello di disposizione delle misure di contenimento, che si fonda sulla legge: dunque si è in presenza di un interesse legittimo [11].

In più, si impone una considerazione: se si devolvesse alla giurisdizione ordinaria la tutela delle posizioni soggettive fondamentali lese da provvedimenti amministrativi si produrrebbe un effetto di svuotamento della giurisdizione del giudice ordinario, e con essa del principio di autonomia delle giurisdizioni. Ciò in quanto, a ben vedere, l’esercizio di poteri amministrativi autoritativi è quasi sempre causa di compressione di diritti fondamentali: l’azione amministrativa, infatti, rappresenta il momento di sintesi tra opposti interessi individuali; e la composizione di conflitti inter-individuali implica spesso significativi sacrifici personali da parte di ogni consociato, con la conseguenza che ogni decisione amministrativa potrebbe potenzialmente integrare carenza di potere.

Ecco che, alla luce di quanto detto, c’è motivo di ritenere che anche in presenza di atti amministrativi che incidono sui diritti fondamentali, come quelli di gestione dell’attuale emergenza sanitaria, la posizione giuridica soggettiva che viene in rilievo sia quella dell’interesse legittimo: tutt’al più, in questi casi si è in presenza di interessi legittimi “fondamentali” [12], circostanza che però non è in grado di sradicare la giurisdizione del giudice amministrativo.

 

 


Note:
[1] Vd. F. Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in “Rivista giuridica del Mezzogiorno”, 2018, 4, pp. 1301-1326.
[2] Cfr. G. Morbidelli, Delle ordinanze libere a natura normativa, in “Diritto amministrativo”, 2016, 1-2, pp. 33 ss.
[3] Artt. 1 e 2, d.l. 6/20.
[4] Art. 1, d.l. 19/20.
[5] Art. 3, d.l. 19/20.
[6] Cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, Giappichelli, 2017, pp. 328 ss. In particolare, la teoria dei diritti indegradabili è stata per la prima volta formulata dalla Corte di Cassazione (Cass. sez. un., sent. 9 marzo 1979, n. 1436).
[7] Vd. L. Coraggio, La teoria dei diritti indegradabili: origini ed attuali tendenze, in “Diritto processuale amministrativo“, 2010, 2, pp. 483-509.
[8] Vd. F.G. Scoca, op. cit., pp. 399 ss.
[9] Cfr. M.S. Giannini, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in “Rivista di diritto processuale”, 1964, pp. 522 ss.
[10] Cfr. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, Padova, Cedam, 2003, pp. 322 ss.
[11] Sul bilanciamento dei diritti da parte del potere pubblico, vd. V. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Padova, Utet, 2003, p. 157; F.G. Scoca, Riflessione sui criteri di riparto della giurisdizione, in “Diritto processuale amministrativo”, 1989, pp. 549 ss.; M. Fratini, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Roma, Accademia del diritto, 2020, pp. 124-128.
[12] Così, L. Maruotti, Questioni di giurisdizione ed esigenze di collaborazione tra le giurisdizioni superiori, in “www.giustizia-amministrativa.it“, 2012.

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