Gli interessi nella contrattazione bancaria. Il passaggio dal diritto delle banche al diritto bancario

Gli interessi nella contrattazione bancaria. Il passaggio dal diritto delle banche al diritto bancario

Scopo principale di tale breve trattazione è analizzare la disciplina degli interessi oggetto della negoziazione bancaria la fine di rendere note le possibili turbative che possono inficiare tanto il contenuto quanto la produzione degli effetti del contratto, quali il fenomeno dell’anatocismo bancario e dell’usura civile, ma soprattutto analizzare il travagliato raggiungimento della definizione e disciplina del diritto bancario.

I contratti bancari sono idonei ad instaurare un rapporto obbligatorio tra banca e cliente. In base a quanto previsto dalla disciplina codicistica, di cui agli artt. 1834 e ss c.c., e dalle caratteristiche formali dei contratti bancari, essi hanno ad oggetto l’erogazione del credito, di finanziamenti e, più nello specifico, la produttività di denaro e, quindi, ad oggetto somme di denaro; per questa ragione i contratti bancari sono atti a statuire obbligazioni di tipo pecuniario.

Le obbligazioni pecuniarie generano oltre all’obbligazione c.d. principale – quale la restituzione del capitale concesso, c.d. funzione remuneratoria – un’obbligazione c.d. accessoria volta al calcolo in misura percentuale degli interessi (c.d. tasso di interesse), la quale si realizza nella produzione e nel conseguente pagamento di interessi a carico del soggetto, il quale ha usufruito e goduto di una somma di denaro messa a disposizione, o a mutuo, della banca.

Risulta necessaria, dunque, una schematica esposizione e classificazione delle varie tipologie di interessi, per andare poi ad esaminarli nello specifico in riferimento alla negoziazione bancaria.

Riguardo la fonte degli interessi, essa permette di compiere una macro distinzione degli stessi, classificandoli in:

  • legali: sono tutti quegli interessi che sono obbligatoriamente prescritti dalla legge, un esempio indicativo in questo caso è il contratto di mutuo (art. 1815 c.c.). Secondo la disciplina dettata dall’art. 1282 del codice civile, tutti i crediti sono atti a produrre interessi di pieno diritto, a condizione che essi sia certi, liquidi ed esigibili. Sul punto sia la dottrina sia la giurisprudenza si sono mostrate titubanti circa i requisiti previsti per il credito, sostenendo che la presenza degli “elementi necessari” del credito (certo, liquido ed esigibile) non fosse necessaria per la produzione degli interessi legali. Sulla questione si è pronunciata la Suprema Corte, affermando l’assoluta esigenza della presenza di detti requisiti ai fini di una corretta applicabilità dell’art. 1282[1];

  • convenzionali: sono interessi pattuiti in sede di contrattazione tra le parti, i quali prescindono se vengano concordati in un momento antecedente o in itinere al sorgere del credito; rispondono a pieno ai principi delineati in sede di autonomia contrattuale, di cui all’art. 1322 c.c., secondo il quale le parti hanno la possibilità di poter liberamente determinare, nei limiti imposti dalla legge, il contenuto contrattuale[2].

Rispetto, invece, alla funzione che possono ricoprire gli interessi, si possono distinguere in: 1. corrispettivi: dovuti in occasione di capitali concessi a titolo di mutuo o con la possibilità di essere sfruttati da terzi. Questa tipologia di interessi sono dovuti dal debitore (cliente) in relazione al godimento di una somma di denaro messo a disposizione dal creditore (banca); 2. compensativi: maturano su somme di denaro non ancora esigibili imposte a titolo di prezzo, a condizione che la cosa oggetto di vendita abbia prodotto frutti o proventi di altra natura. Attengono alla funzione di compensare il venditore per non aver potuto godere della cosa e del suo relativo costo; 3. moratori: sono corrisposti nella misura legale dal debitore inadempiente, a decorrere nel momento esatto della sua costituzione in mora. Se già l’obbligazione prevedeva la presenza di interessi convenzionali, gli eventuali interessi moratori dovranno essere corrisposti nella misura, almeno eguale, a quella prestabilita dall’accordo iniziale tra le parti.

L’ammontare degli interessi è effettuato mediante un calcolo in misura percentuale stabilendo così il c.d. tasso di interesse sul capitale prestato, tenuto conto dell’arco di tempo nel quale sono dovuti. Detto tasso, propedeutico al calcolo e all’esatta definizione degli interessi, varia a seconda che esso sia: a) legale: rappresenta la soglia di interesse stabilita, a cadenza annuale, con decreto dal Ministero dell’Economia e della Finanza. In ragion di ciò, l’art. 1284 c.c. prevede che il tasso di interesse legale al mese di gennaio 2020 sia determinato «in misura pari allo 0,05 in ragione dell’anno»[3]. Il tasso legale dilata il suo ambito di applicazione a tutte le tipologie appena elencati (convenzionali, corrispettivi e moratori) e solo nel caso in cui non siano stati oggetto di discussione o pattuizione da parte dei contraenti; b) convenzionale: è il tasso fissato su accordo delle le parti, per quest’ultimo è previsto – ai fini della validità e della corretta produzione di effetti giuridici – che derivi da atto scritto, richiesto ad substantiam, per cui in violazione dell’obbligo sopra menzionato gli interessi saranno dovuti nella misura legale. In relazione alle esigenze delle parti e alla natura del tasso di interesse convenzionale, è facile intuire che il rinvio a questo tipo di calcolo del tasso di interesse sia rinvenibile in tutti quei casi in cui le parti vogliano stabilire un tasso di interesse superiore a quello legale.

Particolare attenzione bisogna prestare a quest’ultimo tasso d’interesse, in quanto suo presupposto e ragione d’esistenza risiede nel principio di autonomia contrattuale di cui all’art 1322 c.c., per il quale si lascia libera iniziativa nel determinarne l’ammontare in misura superiore a quella legale, rispettando allo stesso modo gli espliciti limiti imposti dalla legge. A ragion di ciò, la stessa legge 24/2001 (legge di interpretazione autentica della legge anti usura del 1996) prevede il divieto di fissare un tasso di interesse superiore a quattro punti percentuali, in relazione al TAEG (Tasso effettivo globale medio) sugli interessi – mediamente applicati da banche, istituti finanziari e di credito – trimestralmente valutato con decreto del Ministero dell’Economia e della Finanza aumentato del venticinque per cento[4]. Inoltre, la legge 108/1996 ha indicato, all’articolo 2, il limite entro il quale il tasso di interesse non può essere stabilito, delimitando il confine agli otto punti percentuali rispetto al TAEG. Nel caso in cui detto limite o tasso-soglia non venisse rispettato si causerebbe la produzione dei c.d. interessi usurari[5].

Passando adesso allo studio della disciplina degli interessi pecuniari all’interno della negoziazione bancaria, bisogna puntualizzare come il legame che viene ad instaurarsi tra la banca ed il cliente verte su un rapporto di corrispettività, definito nell’operazione di erogazione del credito e il pagamento di una somma di denaro a titolo di interessi.

L’attività bancaria si focalizza principalmente nella raccolta del risparmio presso il pubblico e nell’erogazione del credito, attività queste che permettono di ottenere un pagamento corrispettivo tramite l’inserimenti di interessi a titolo remunerativo[6].

La negoziazione di interessi nel settore bancario è un argomento rovente, pieno di contraddizioni, che ha coinvolto sia la dottrina, che la giurisprudenza di merito e di legittimità. La situazione antecedente all’emanazione della L. 154/1992 (legge sulla trasparenza bancaria) – regolata quindi dai principi emergenti dalla legge bancaria del 1936 – rendeva il nostro ordinamento sprovvisto di una disciplina uniforme ed articolata in subiecta materia, quest’ultima quasi integralmente affidata alle norme sul principio dell’autonomia privata[7] (articolo 1322 c.c.). Tale stato normativo ha causato un aumento del potere contrattuale delle banche, capaci perfettamente di imporre condizioni contrattuali – molto spesso inique e sfavorevoli – al cliente. La mancanza di unitarietà portò al progredire di regolazione autonoma da parte delle banche, da menzionare sono le N.B.U. (Norme Bancarie Uniformi). Queste incoraggiavano prassi caratterizzate dall’apposizione di condizioni generali di contratto, per un certo verso “unitarie”, che determinarono, testualmente, un «doppio livello di standardizzazione»[8] (un livello era quello previsto dalle NBU, l’altro era quello effettivamente attuato dalla banca), riducendo, o rendendo inesistente, la possibilità di far fronte a realtà bancarie diversificate più favorevoli al cliente.

Il modus operandi degli istituti bancari è stato accompagnato e rafforzato da varie pronunce dell’autorità giudiziaria, formando un indirizzo giurisprudenziale bendisposto a considerare quale fonte della contrattazione bancaria il c.d. rinvio agli usi[9]. Si concedeva così un’opportunità alle banche di applicare la determinazione dei tassi di interessi o la capitalizzazione di interessi su altri interessi (anatocismo) tramite “personali” clausole contrattuali – alle quali si accordava massima validità ed applicabilità – in forza del consuetudinario rinvio alla prassi bancaria[10].

Un primo segnale di cambiamento, si ebbe con la legge dell’1 marzo 1986, n. 64 (successivamente abrogata), il cui articolo 8 prevedeva la parità di trattamento e l’imposizione dell’obbligo di non discriminazione derivante da fattori locali o territoriali[11].

La sufficienza del legislatore – nel definire sostanzialmente principi senza attribuirne indicazioni più prettamente tecniche – portò gli operatori del diritto ad affidarsi, per l’indicizzazione dei tassi di interesse, quasi esclusivamente a disposizioni di matrice codicistica.

Parallelamente a quanto detto, vedremo come il solo affidamento ad una isolata disciplina codicistica risulti pleonastico al fine di tracciare un’adeguata disciplina del settore in esame. L’ art. 1284 c.c., al quarto comma, statuisce che nel caso in cui siano convenuti interessi superiori a quelli legali questi devono essere definiti per iscritto. La generale valenza della norma, la quale fa accenno al solo requisito formale, fu ribadito più volte da parte di un’autorevole dottrina[12], nonché da pronunce della giurisprudenza di legittimità[13]. L’avvento delle norme sulla trasparenza bancaria farebbero affermare che la clausola contenente la pattuizione di interessi ultralegali necessita della forma ad substantiam, rendendo nulle dette pattuizioni o modificazione delle stesse in caso di inosservanza del disposto, operando così un passaggio dal regime convenzionale a quello legale della determinazione degli interessi. Parte della dottrina si è mossa in direzione opposta, a quella precedentemente esposta, criticando fortemente la natura della forma scritta ad substantiam. Sembra comunque coerente concordare circa la necessità di adottare la forma sopra menzionata; la dottrina protagonista di tale orientamento considerava come punto centrale il fatto che non fossimo di fronte ad una vera e propria forma ad substantiam actus, bensì ad una forma scritta deputata solo alla determinazione di un elemento dell’atto o degli effetti che questo produce, ossia la determinazione superiore al limite legale degli interessi[14]. Si giustificava così l’inevitabile mutamento della determinazione del tasso di interesse da convenzionale a legale nel caso di inosservanza del requisito formale, il quale è rivolto principalmente nei confronti della clausola d’interesse che sul contratto in toto.

La mancanza di omogeneità e di “complessità” del settore bancario e il solo affidamento alle “primordiali” NBU hanno condotto ad un uso spropositato – all’interno delle condizioni generali di contratto – delle clausole di rinvio agli usi.

Lo stesso NBU prevedeva, all’articolo 7, comma 3, che il tasso di interesse dovesse essere calcolato tenendo conto delle condizioni praticate dalle varie agenzie di credito sulla piazza. Coerenti furono anche le decisioni dell’autorità giudiziaria, le quali affermavano fermamente la validità dell’apposizione di siffatte clausole.

Venne ulteriormente precisato che, ai fini della validità delle clausole, non fosse necessaria l’indicazione scritta del tasso di interesse ultra legale praticato al correntista, dato che, sulla scorta delle generali disposizioni sull’oggetto del contratto esso deve essere determinato o quantomeno determinabile (articolo 1346 c.c.), operazione questa facilmente realizzabile mediante il rinvio alla prassi bancaria[15]. Quest’ultima, data la sua standardizzazione, rendeva facilmente identificabile il tasso di interesse da applicare in relazione alla tipologia di operazione.

Un primo cenno al cambiamento si ebbe grazie ad una serie di orientamenti dottrinali, avversi a quelli pocanzi descritti, condivisi sia dalla giurisprudenza di merito che di legittimità[16] dei primi anni novanta, i quali coinvolsero contestualmente il legislatore nazionale. Il mutamento di indirizzo prevedeva l’assoluta declaratoria di invalidità delle clausole inerenti il calcolo del tasso di interesse mediate il rinvio alla piazza, nonché di qualsiasi altra tipologia di clausola similare. La dottrina si focalizzò soprattutto sulla mancanza di univocità delle clausole che, a causa delle pratiche consuetudinarie adottate dalle banche, cagionarono un arbitrario mutamento delle condizioni contrattuali praticate nei confronti dei correntisti, incrementando la notoria sproporzione del potere negoziale tra le parti. Le motivazioni appena delineate sono state definite particolarmente esaustive ad escludere la validità e l’applicabilità delle clausole uso piazza[17].

Il mutamento, dottrinale e giurisprudenziale, coinvolse come detto anche il legislatore nazionale, il quale – alla stregua degli autoritari orientamenti – sentì l’esigenza di regolamentare la disciplina, cercando di concederle un certo grado di uniformità. Si giunge alla data di approvazione della legge 17 febbraio 1992, n. 154 (legge sulla trasparenza bancaria), il cui articolo 4, terzo comma, dichiarava nulle tutte le clausole di determinazione del tasso di interesse mediante il rinvio agli usi[18].

 Lo speranzoso rinvio all’articolo 4 della legge sulla trasparenza bancaria e il drastico cambiamento degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali, ha posto ulteriori basi per una nuova riformulazione delle norme bancarie e le relative tutele a favore del cliente, emanando il, già citato, Testo Unico Bancario (vedi pagina 4), all’interno del quale ha confluito la precedente disciplina sulla trasparenza bancaria.

 Il TUB, all’ articolo 117, prevede una serie di contenuti minimi di cui doveva essere dotato il contratto, ossia l’esplicita determinazione del tasso di interesse, dei prezzi e di qualsiasi altra condizione per iscritto. Lo stesso poi continua disponendo che le clausole, sia esse contenenti il rinvio agli usi sia condizioni più sfavorevoli al cliente, vanno colpite da nullità e considerate non apposte.[19]

Senza parlare nuovamente dei caratteri della nullità prevista dall’art. 117 – già trattata al paragrafo 1.1 di questo capitolo – basta solo ricordare come questa rientra nell’annovero delle nullità di protezione, il cui obiettivo è voltò ad evitare che l’invalidità possa colpire il contratto in toto e, di guisa, tutti gli effetti del contratto. La ratio della necessità del principio di autoconservazione del contratto mira a proteggere il cliente dalla totale caducazione degli effetti che, essendo già parte debole, finirebbe per essere ulteriormente svantaggiato e disinteressato a richiedere le tutele previste dalla legge 154/1992, prima, e del Testo Unico Bancario, poi. Siffatta possibilità andrebbe a vanificare il lavoro del legislatore e le speranze di quella dottrina che, per troppo tempo, aveva sperato ed ottenuto un sostanziale cambiamento di rotta.

Il tasso di interesse, quando calcolato su prassi consuetudinaria, va necessariamente sostituito col tasso nominale massimo e minimo calcolato nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o nei dodici mesi precedenti all’esecuzione dell’operazione, a seconda della maggiore convenienza per il cliente.[20]

Il sistema trova però un esplicito limite nel caso in cui le clausole siano affette da cause di nullità estranee a quelle espressamente previste dall’articolo 117. In casi simili, non potrà operarsi la sostituzione retroattiva dei tassi di interessi espressi nei dodici mesi anteriori alla conclusione del contratto o all’esecuzione delle operazioni, bensì l’apposizione del solo tasso legale. Ciò è stato anche confermato dalla giurisprudenza di merito, la quale invocava un saggio coordinamento con l’articolo 1284 c.c.[21].

Nonostante il buon andamento della normativa nazionale bancaria, risulta fondamentale illustrare un’ultima problematica toccante le sorti delle clausole che non includono l’esplicita indicazione (in cifra percentuale) del tasso di interesse, in relazione anche ai requisiti formali e contenutistici del contratto ai sensi di norma di legge. Data l’idoneità del requisito formale ad adempiere una corretta applicazione dell’obbligo di trasparenza e informazione, l’indicazione o indicizzazione del tasso di interesse in misura percentuale risultava essere un requisito fondamentale, se non altro minimo, del contratto bancario. La stessa dottrina[22] metteva a disposizione una risoluzione – senz’altro discutibile – concernente l’utilizzo del ius variandi, dunque la possibilità di modificare il rapporto alla stregua delle variazioni dei valori T.A.E.G. (Tasso Annuo Effettivo Globale). La soluzione sembrava essere di difficile esecuzione, in quanto avrebbe ristretto notevolmente il campo di applicazione solo ai contratti ad esecuzione c.d. continuata. Risulta quindi legittimo scartare questa prospettiva concettuale, concordando con altra parte della dottrina – senza dubbio maggioritaria –  la quale afferma a gran voce la non necessaria indicazione in cifra percentuale del tasso di interesse all’interno del contratto, non considerandolo come requisito minimo o quantomeno “essenziale”.

Per questi motivi, le clausole che non indicizzano il tasso di interesse non necessariamente sono contrarie alle previsioni dell’art. 117 T.U.B., data la possibilità data dalla norma di poter ricavare perfettamente la misura percentuale da documenti “extracontrattuali”, purché rispettino parametri univoci e certi non sottoposti a poteri di attrazione da parte delle banche.

In conclusione, si può ben affermare che l’emanazione della prima legge sulla trasparenza bancaria, confluita poi nel T.U.B., ha portato ad un drastico mutamento della materia bancaria e creditizia segnando, finalmente, il passaggio dal diritto delle banche al diritto bancario[23].

 

 

 


[1] Cfr. Cass. Civ. 22 dicembre 2011, n. 28204.
[2] Articolo 1322 c.c.
[3] Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 12 dicembre 2019.
[4] Legge 28 febbraio 2001, n. 24.
[5] Legge 7 marzo 1996, n. 108.
[6] Cfr. G. Porcelli, La disciplina degli interessi bancari tra autonomia ed eteronomia, Napoli, 2003, 7 ss.
[7] Cfr. R. Costi, La legge bancaria del 1936, in Banca, impr. soc., 2012, 349 ss.
[8] Così afferma A. Mirone, Standardizzazione dei contratti bancari e tutela della concorrenza, Giappichelli Editore, Torino, 2003, 2 ss.
[9]Cfr. G. Molle-L. Desiderio, Manuale di diritto bancario e dell’intermediazione finanziari, VII ed., Giuffrè Editore, Milano, 2005, 149 ss. Cfr ancora, Cass. Civ. 30 maggio 1989, n. 2644 consultabile sul sito www.foroitaliano.it
[10] G. Porcelli, op. cit., 10 ss.
[11] Legge 1 marzo 1986, n.64, «Disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno», in G.U. n. 6; cfr. A. Maisano, trasparenza e riequilibrio delle operazioni bancarie, Giuffrè Editore, Milano, 1993, 86 ss.
[12] Cfr. M. Cossa, Art. 1284 c.c., in Commentario del c.c., Delle obbligazioni, Vol. III, Torino, 2013, 118 ss.
[13] Cass. Civ., 11 gennaio 2006, n. 266, in Rep.Foro It., 2006, Interessi, n.5; Cass. Civ., Sez. III, 9 dicembre 2013 – 11 febbraio 2014, n. 3017.
[14] Cfr. A. Di Majo, La forma del tasso ultralegale di interessi nei rapporti bancari, in La forma degli atti nel diritto privato. Studi in onore di Michele Giorgianni, Napoli-Roma, 1988, 121 ss.; D. Sinesio, Interessi pecuniari fra autonomia e controlli, Giuffrè Editore, Milano, 1989, 30 ss.
[15] Così, Cass. Civ 9 aprile 1983, n. 2521, con nota di B. Inzitarri, Limiti dell’ammissibilità della «retatio» nella determinazione degli interessi ultralegali, in Giur. It., 1984, I, 1018 ss.
[16] Sulla giurisprudenza di merito cfr. Trib. Roma 22 giugno 1987, in Riv. dir. comm., 1988, 263 ss.; Trib. Milano 24 febbraio 1992, in Foro pad., 1992, I, 245 ss.; Trib. Milano 3 gennaio 2011, in Danno e resp., 2012, 314 ss.; Sulla giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. Civ. 13 marzo 1996, n. 2103, in Foro It., 1997, I, 1939 ss.; Cass. Civ. 11 febbraio 2008, n. 3181, in Giur. It., 2008, 1724 ss.; Cass. Civ. 29 gennaio 2013, n. 2072, in Rep. Foro It., 2013, Interessi, 3 ss.
[17]Cfr. V. Lenoci, Gli interessi nei contratti bancari, in Giur. Mer., 2005, 70 ss.; G. Mantovano, Rinvio agli usi di piazza, commissione massimo scoperto, giorni valute, in Contratti, 2003, 190 ss.; B. Inzitarri, Delle obbligazioni pecuniarie, in Comm. del cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 2011, 527 ss.
[18] c. colombo, Gli interessi nei contratti bancari, Aracne, Roma, 2014, 23 ss.
[19] Cfr. E.F. Ricci, Sulla nullità di clausole contrattuali prevista dalla legge 17 febbraio 1992, n. 154, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 759 ss.
[20] Cfr. U. Majello, Commento all’art. 117, in F. Belli – C. Contento – A. Patroni Griffi – M. Porzio – V. Santoro, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, II, Bologna, 2003, 1941 ss.
[21] Tribunale di Milano 30 ottobre 2013, consultabile sul sito www.ilcaso.it
[22] M. De Poli, La trasparenza delle operazioni bancarie secondo il testo unico: primi appunti, in Riv. dir. civ., 1994, 529 ss.; M.V. Verdi, Funzione della forma prescritta dall’art. 1284, terzo comma, c.c. e principi di trasparenza, in Giur. It., 2007, 2621 ss.
[23] Cfr. E. Capobianco, I contratti delle banche: trasparenza ed equilibrio nei rapporti con la clientela, in Dir. banc. Merc. Fin., 2002, 198 ss.; V. Piccinini, I rapporti tra banca e clientela. Asimmetria e condotte abusive, Padova, 2008, 135 ss.

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Riccardo Megna

Nato a Palermo il 27 dicembre 1992. Abilitato all'esercizio della professione di avvocato il 25 settembre 2020 ed iscritto all'Albo degli Avvocati del Foro di Palermo dal 28/01/2021. Diplomato presso il liceo scientifico Galileo Galilei di Palermo. Laureato il 15 marzo 2018 presso la Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, discutendo una tesi in diritto civile e penale dal titolo: "La disciplina dei contratti bancari: problematiche circa anatocismo e usura - aspetti civilistici e penalistici". Rappresentate legale dell'associazione Info Iuris ed ex membro dell'organo decisionale studenti-docenti presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Palermo. Membro, nell'anno 2015, del corso giuridico presso la Facultad de derecho de la Universidad de Malaga: “Derecho Mercantil Aplicado a la Empresa”. Conoscenze linguistiche: inglese e spagnolo.

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