HIV e AIDS: la configurabilità delle circostanze nel delitto di lesioni personali

HIV e AIDS: la configurabilità delle circostanze nel delitto di lesioni personali

Nel momento in cui l’infezione da HIV si sviluppa in una delle tre fasi evolutive della malattia – sieropositività, infezione primaria e latenza clinica, oltre alla quarta, del tutto eventuale, denominata AIDS o fase clinica conclamata – occorre prestare attenzione all’identificabilità delle diverse tipologie di aggravanti speciali che il reato di lesioni personali prevede come gravi o gravissime.

Posto che l’art 583 C.P. costituisce un’esaustiva elencazione di circostanze aggravanti, il primo elemento da analizzare riguarda il “pericolo di vita della persona offesa”, ossia la “lesione personale grave”.  A tal riguardo, la giurisprudenza ha offerto un’attenta interpretazione della disposizione secondo la quale verrebbe in rilievo l’aggravante in questione solamente nel momento in cui nel soggetto passivo sia imminente la verificazione di un evento mortale, dunque quando vi sia una significativa e reale probabilità di esito letale, a prescindere dalla durata del fenomeno [1]. Per la dottrina non avrebbero alcun rilievo le complicazioni, tanto meno la postuma guarigione del soggetto, in quanto il pericolo di vita dovrà essere oggettivamente probabile e non soltanto genericamente possibile[2].

Ciò che fa emergere l’aggravante è l’esistenza di un fenomeno culminante, che, per i criteri medici, implichi la possibile morte del paziente: in altri termini, è necessario un giudizio diagnostico espresso tenendo conto dell’effettiva gravità della compromissione delle funzioni organiche [3]. Questo tipo di aggravante sembra prospettarsi nel caso di AIDS – fase clinica conclamata – posta la presenza delle malattie opportunistiche connesse, soprattutto quelle neoplastiche. Qualche perplessità può delinearsi in relazione alla cosiddetta fase “AIDS related complex“. Dal momento che le patologie collegate non fanno ragionevolmente pensare ad un diretto, reale ed imminente pericolo di vita, in tale fase le condizioni per la configurazione dell’aggravante dovranno essere analizzate caso per caso [4].

Un’altra circostanza aggravante ai sensi dell’art. 583 C.P. riguarda la sussistenza di una “malattia o incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni”. In merito, sia la dottrina che la giurisprudenza ritengono che, ai fini dell’integrazione della fattispecie, sia sufficiente la prova di un solo requisito. Nel caso in cui sia cessato il periodo di malattia, ma vi sia ancora incapacità, si continuerà a conteggiare il periodo rilevante ex art 583 C.P. [5].

Notevoli problematiche sono emerse in merito alla configurabilità dell’“indebolimento permanente di un senso o di un organo”. Difatti, se in relazione al termine “senso” dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che esso si riferisca al mezzo destinato a porre l’individuo in contatto con il mondo esteriore [6], per il termine “organo” sono emersi maggiori dubbi interpretativi. Dal punto di vista anatomico, infatti, il sistema immunitario non è un organo [7]. Nonostante ciò, dottrina e giurisprudenza si avvalgono di una lettura “finalistico-funzionale” del concetto, ritenendo definibile quale organo “l’insieme di entità anatomiche che svolgono una funzione ben definita” [8]: in tal senso, quindi, il sistema immunitario è sicuramente definibile come organo e di conseguenza potrebbe trovare applicazione l’aggravante de qua.

A questo punto della trattazione occorre chiedersi quale sia la figura delittuosa che più delle altre sussuma la figura dell’avvenuto contagio da HIV attraverso un rapporto sessuale nel caso in cui il soggetto infettato sia ancora in vita. La suddetta analisi, codicisticamente orientata, culmina con la verificazione degli eventi elencati dall’art. 583 c. 2 C.P..

Se è certamente vero che il sistema immunitario possa essere considerato quale “organo” ai sensi dell’art. 583 c. 1 norma cit., è altrettanto vero che, allo stato attuale delle conoscenze medico-scientifiche , l’HIV e l’AIDS sono patologie dalle quali non si può guarire definitivamente. E’ soltanto possibile controllare, fino a ridurre drasticamente, gli effetti negativi sul sistema immunitario – e dunque sul resto dell’integrità fisica in senso ampio – mediante apposita terapia antiretrovirale.

L’elencazione di cui all’art. 583 c. 2 C.P. – lesione personale gravissima – ricomprende “una malattia certamente o probabilmente insanabile”, la quale sembra meglio attagliarsi al caso di specie rispetto al già citato “indebolimento permanente di un senso o di un organo” ex c. 1. Tale sembra poter essere l’infezione da HIV, vista l’impossibilità di eradicazione totale e definitiva del virus.

Qualora i rapporti sessuali di cui sopra fossero stati plurimi, ben si potrà verificare la continuazione del reato se il soggetto fosse già perfettamente a conoscenza del proprio stato sierologico ancor prima dell’intrattenimento dei rapporti sessuali dei quali trattiamo. Come noto, il reato continuato richiede debbano sussistere tre elementi: più azioni o omissioni (anche in tempi differenti, tanto che maggiore è la distanza intercorrente tra le varie azioni, maggiore sarà la prova della medesimezza del proposito criminoso), più violazioni di legge (riguardanti la stessa norma o più norme diverse, anche tra delitti e contravvenzioni) e unicità dello scopo che l’agente si prefigge.

Il reato continuato è previsto dal secondo comma dell’articolo 81 C.P., ai sensi del quale il reo sarà soggetto alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino al triplo (c.d. cumulo giuridico). Secondo migliore dottrina il motivo per cui il legislatore ha scelto di applicare il sistema del cosiddetto cumulo giuridico risiede ancora una volta nel fatto – assolutamente contestabile in verità – che chi commette più reati con uno scopo unico dimostra minore inclinazione criminale di colui che realizza più reati con più scopi diversi [9].

Vi è ora da chiedersi se, in presenza del capo d’imputazione per lesione personale gravissima, possano essere in aggiunta contestate una o più circostanze aggravanti comuni ex art. 61 C.P. Appare subito coerente col caso di specie – il contagio da HIV – la previsione di cui al primo punto: “l’avere agito per motivi abietti o futili”.

È abietto il motivo turpe, ignobile, che rivela nell’agente un tale grado di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni  persona di media moralità [10]; è futile allorché sussiste un’enorme sproporzione tra il movente e l’azione delittuosa [11]. L’aggravante in parola ha natura soggettiva ed è incompatibile con l’attenuante della provocazione e col vizio parziale di mente, posto che non può farsi carico all’agente di una malvagità che trova spiegazione nell’ambito di un quadro morboso [12]. Questo autore ritiene potersi ricondurre il caso di specie alla futilità ex art. 61 sub. 1 C.P., qualora si possa ragionevolmente presumere che l’imputato abbia avuto desiderio – poi effettivamente realizzatosi – d’intrattenere rapporti sessuali non protetti poiché da esso ritenuti più appaganti, in totale spregio in ordine alla patologia HIV da cui era affetto.

In ordine alle restanti circostanze aggravanti comuni si ritiene dover escluderle tutte, ivi compresa la sub. 5 la quale aveva destato qualche perplessità in dottrina: “l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”. Altresì chiamata “minorata difesa”, in considerazione del mezzo usato per veicolare l’infezione – ovverosia il rapporto sessuale, mediante il quale un soggetto si unisce carnalmente ad un altro consenziente – non sembra poter trovare applicazione nel caso di specie poiché si presuppone, salvo diversa risultanza probatoria, che il soggetto passivo – prossimo al contagio – non versi in nessuna situazione di vulnerabilità posto che egli avrà potuto decidere in piena libertà se e come continuare il rapporto sessuale in condizione di assoluta parità con l’Aids career. Essa è da considerare circostanza di natura oggettiva, poiché attiene alle modalità dell’azione, mediante cui il reo trae vantaggio dalla situazione di vulnerabilità della vittima [13]. La presunta azione di convincimento posta in essere dell’AIDS career al fine di ottenere rapporti sessuali senza precauzioni per raggiungere il maggior appagamento dei sensi possibile, risulta meglio sussumibile sotto i futili motivi venendo in rilievo più il fine che il mezzo.

Parimenti non troverebbe applicazione l’aggravante sub. 3 “previsione dell’evento” poiché ravvisabile nei soli reati colposi, dunque non in quello di lesione personale ex art 583 C.P., delitto – come noto – di natura esclusivamente dolosa. Non appaiono utili al caso di specie le attenuanti comuni ex art. 62 C.P., non ravvisandosi nemmeno quella sub. 5 spesso invocata dalla difesa dell’imputato: “l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con la azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa”. L’attenuante de qua necessita la presenza di due elementi, uno materiale e l’altro psichico. Quello materiale è rappresentato dall’inserimento dell’azione della vittima nella serie delle cause che determinano l’evento, mentre quello psichico dalla volontà della stessa di concorrere alla produzione dell’evento medesimo [14].

È agevolmente intuibile che la vittima, in un contesto erotico voluto ed ottenuto, mai può con intenzionalità volere la produzione dell’evento-contagio sulla propria persona, dovendo piuttosto agire mediante approcci utili ad ottenere solamente il maggior appagamento sessuale possibile. Al contrario le attenuanti generiche ex art. 62 bis C.P. – stante la loro indeterminatezza e non tipizzazione – possono essere dal giudice concesse all’AIDS career, in base a una considerazione discrezionale degli indici di gravità del reato e della capacità a delinquere di cui all’art. 133 C.P., allo scopo di temperare l’asprezza e la rigidità del trattamento sanzionatorio del codice Rocco.


[1] M. D’ANDRIA, Codice commentato di diritto penale, Milano, Giuffrè, 2007, p. 3477; A. BONFIGLIOLI, La responsabilità penale per contagio da virus Hiv: profili oggettivi, cit., pp. 62-63; A.R. CASTALDO, Aids e diritto penale tra dommatica e politica criminale, in Studi Urbinati, anno LVII-LVIII, 1988-1989, p. 52.
[2] M. D’ANDRIA, Codice commentato di diritto penale, cit., p. 3477; L. MACCHIARELLI, P. ARBARELLO, G. CAVE BONDI, N.M. DI LUCA, T. FEOLA, Compendio di medicina legale, Torino, Minerva Medica, 2006, p. 180; A. BONFIGLIOLI, La responsabilità penale per contagio da virus Hiv: profili oggettivi, cit., p. 62.
[3] L L. MACCHIARELLI, P. ARBARELLO, G. CAVE BONDI, N.M. DI LUCA, T. FEOLA, Compendio di medicina legale, cit., p. 180.
[4] A.R. CASTALDO, Aids e diritto penale tra dommatica e politica criminale, in Studi Urbinati, anno LVII-LVIII, 1988-1989, p. 52.
[5] M. D’ ANDRIA, Codice commentato di diritto penale, cit., p. 3477.
[6] Ibidem  p. 3478; Cass. Sez. V 19-dicembre-1983.
[7] A.R. CASTALDO, Aids e diritto penale tra dommatica e politica criminale, cit., p. 52; A.BONFIGLIOLI, La responsabilità penale per contagio da virus Hiv: profili oggettivi, cit., p. 63.
[8] L. MACCHIARELLI, P. ARBARELLO, G. CAVE BONDI, N.M. DI LUCA, T. FEOLA, Compendio di medicina legale, cit., p. 180.
[9] FIANDACA G., MUSCO E., Diritto penale parte generale, Torino, Zanichelli editore, 2014.
[10] Cassazione 15 marzo 1979 n. 6154.
[11] Ibidem 21 dicembre 1981, 10 febbraio 1997.
[12] FIANDACA G., MUSCO E., Diritto penale parte generale, Torino, Zanichelli editore, 2014.
[13] Ibidem
[14] Ibidem

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Enrico Tranquilli

Laurea Magistrale in Giurisprudenza conseguita cum laude presso l'Università degli Studi di Camerino. Praticante avvocato abilitato al patrocinio sostitutivo. Tirocinante Uffici Giudiziari. https://www.linkedin.com/in/enricotran

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