I delitti di bancarotta fraudolenta per omissione

I delitti di bancarotta fraudolenta per omissione

La multiforme disciplina del “diritto penale dell’economia” ha da sempre suscitato, come ad oggi suscita, confronti e dialettiche in dottrina e giurisprudenza relativamente all’individuazione dei criteri di responsabilità omissiva, con particolare riferimento ai reati di bancarotta c.d. fraudolenta disciplinati dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, agli artt. 216 e 223 e ss. (d’ora innanzi: legge fallimentare o l.f.).

Nell’ottica di ricondurre la responsabilità de qua nell’alveo dell’inderogabile principio costituzionale codificato all’art.27, la Corte di Cassazione ha, per parte sua, da sempre cercato di uniformare la giurisprudenza di merito, cassando quegli arresti ritenuti distonici rispetto al principio della responsabilità per fatto proprio colpevole.

Se da un lato, invero, parte della dottrina tende a ricondurre i fatti di bancarotta c.d. semplice (artt. 217 e 224 l.f.) addirittura entro il paradigma della responsabilità oggettiva, dall’altro la tensione di alcuni Tribunali alla eccessiva semplificazione dei parametri di accertamento del dolo, ha portato inevitabilmente – in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta – ad un’accesa conflittualità con i valori assiologici propri del nostro sistema penale.

Com’è noto, in tema di responsabilità omissiva impropria (delicta per omissionem commissa), il generale paradigma di riferimento è costituito dall’art. 40, comma 2 c.p. il quale attribuisce alla responsabilità dell’omittente il verificarsi di un evento, purché tale esito sia eziologicamente riconducibile alla violazione dell’obbligo giuridico di impedirlo.

La c.d. clausola di estensione in commento assume, come cennato, particolari connotazioni in materia di bancarotta fraudolenta laddove v’è il rischio di frettolose semplificazioni probatorie ai fini dell’accertamento della volontà criminosa.

L’insegnamento della Corte di Cassazione è assolutamente pacifico nel ritenere che “la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso” (Cass., sez. IV pen., sent. del 6.5.2015 n. 24462).

La titolarità di una posizione di garanzia, in altri termini, non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (Cass., sez. IV pen., sent. del 21.9.2016, n. 5273; Cass., Sez. IV pen., sent. del 19.11.2015 n. 12478).

Con la sentenza n. 3623 resa in data 25.1.2018, anche la Prima sezione del Supremo Consesso è tornata ad affermare l’orientamento fatto proprio dalla Quarta sezione nella sentenza n. 24462/2015, in tal modo prendendo le distanze da inammissibili rigurgiti di imputazione oggettiva.

Il fatto sottoposto alla cognizione della Corte trae origine da un sentenza di condanna emessa dal G.I.P presso il Tribunale di Milano per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale c.d. per distrazione (art. 216, comma 1, n.1) l.f.) commessa da due amministratori di una società poi dichiarata fallita. La sentenza del giudice meneghino veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano.

Grazie alla ricostruzione contabile effettuata dal curatore fallimentare, i Giudici di merito avevano accertato come i due imputati avessero trasferito la sede operativa della società fallenda presso altra s.r.l., in tal modo consentendo a quest’ultima di locupletare illecitamente (ed a titolo gratuito) l’avviamento dei beni strumentali della prima, accelerandone il processo di decozione.

Nel disporre la cassazione con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, la Prima sezione ha fondato il proprio articolato motivazionale non revocando in dubbio l’esistenza, in capo ad entrambi i coimputati, di una posizione di garanzia rilevante ex art. 40, comma 2, c.p. (in relazione agli arrt. 2475 e 2476, comma 1, c.c.), quanto piuttosto censurando il ragionamento offerto dal Giudice di seconde cure allorquando fa apoditticamente discendere da tale posizione di garanzia il positivo riscontro del giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento distrattivo, in assenza di ulteriori indici probatori individualizzanti di riscontro. In tal modo avallando una “responsabilità di posizione o d’autore” inammissibile per contrasto con l’art. 27 Cost.

Precisamente, l’applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsivoglia automatismo rispetto all’addebito di responsabilità penale, imponendo la verifica, in concreto, da parte dell’amministratore non soltanto della regola cautelare, ma, soprattutto della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, che la regola cautelare mirava a prevenire.

Talché “…l’individualizzazione della responsabilità penale impone, quindi, di verificare non soltanto se la condotta gestionale di M. abbia concorso a determinare l’evento e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare, generica o specifica, ma anche se l’imputato poteva prevedere, con un giudizio ex ante, quello specifico sviluppo causale – che avrebbe portato alla concretizzazione delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale che si stanno considerando in questa sede – attivandosi per impedirne la concretizzazione (Sez. 4, n. 5404 dell’08/01/2015, Corso, Rv. 262033; Sez. 4, n. 1819 del 03/10/2014, Di Domenico, Rv. 261768; Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245526)”.

La sentenza in commento si pone, come cennato, nell’ambito di un consolidamento insegnamento costituzionalmente orientato in subiecta materia e, con ogni probabilità, rappresenta un monito alla giurisprudenza di merito la quale, talvolta, troppo frettolosamente si appiattisce in maniera autoreferenziale sulle dichiarazioni contenute in seno alla relazione ex art. 33 l.f.

La relazione in esame non costituisce di per sé una notizia di reato, in quanto non ha origine nel procedimento penale e non è finalizzata ad esso, ed assume la funzione di mero strumento attraverso il quale la conoscenza di fatti che possono integrare reati societari o fallimentari, in genere reati di bancarotta, viene veicolata all’organo inquirente.

Quanto, poi, al valore probatorio in sede penale della relazione ex art. 33 l.f., è opinione costante della Suprema Corte quella secondo la quale: “in tema di prova documentale (art. 234 c.p.p. ), le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società” (ex pluribus, cfr. Cass. Sez V pen., sent. del 6.12.2013, n. 49132).

Pertanto, l’attività posta in essere dal curatore fallimentare dovrà essere valutata dal Giudice penale facendo ricorso ai criteri ermeneutici previsti dal codice di rito in tema di prova documentale e, più in generale, tramite un’attenta valutazione di quanto direttamente caduto sotto la percezione del curatore (e di quanto dal medesimo compiuto).

Senza, perciò, attribuire ad un atto, per quanto pubblico, un inammissibile valore di prova legale iuris et de iure di responsabilità omissiva dell’amministratore societario.


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