I diritti e i doveri della persona fermata dalle forze dell’ordine

I diritti e i doveri della persona fermata dalle forze dell’ordine

Sommario: 1. Introduzione: il fermo – 2. Il fermo di indiziato di delitto – 3. Il fermo per l’identificazione personale – 4. Ispezioni, perquisizioni e sequestri – 5. Il fermo alla guida di veicolo – 6. Alcooltest – 7. Gli agenti in borghese

1. Introduzione: il fermo

Per affrontare con la massima consapevolezza un eventuale fermo o un posto di blocco vi sono delle precise norme di legge da conoscere e che devono essere rispettate sia da parte delle forze dell’ordine (carabinieri, poliziotti, guardia di finanza, ecc.) che da parte del cittadino.

L’ordinamento giuridico obbliga, difatti, a collaborare con la giustizia.

Quando le forze dell’ordine possono fermare le persone?

L’arresto e il fermo sono provvedimenti limitativi della libertà personale temporanei.

L’arresto si differenzia dal fermo in quanto presuppone la flagranza del reato; ex art. 382 c.p.p. è arrestato in flagranza di reato “chi viene colto nell’atto di commettere il reato” (c.d. flagranza propria) o “chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima” (c.d. flagranza impropria).

Prescindendo dal caso dell’arresto sono tre le ipotesi principali in cui le forze dell’ordine sono legittimate a fermare una persona: fermo d’indiziato di delitto; fermo per l’identificazione personale; fermo mentre si è alla guida della propria vettura.

2. Fermo di indiziato di delitto

Come già visto, esso consiste privazione della libertà personale disposta anche fuori dei casi di flagranza, qualora sussistano elementi specifici che facciano ritenere fondato il pericolo di fuga (art. 384 c.p.p).

Alla stregua del caso dell’arresto, il soggetto in stato di fermo ha una serie di diritti.

Difatti, gli agenti delle forze dell’ordine sono destinatari di una serie di doveri (previsti dagli artt. 386 e 387 c.p.p) nei confronti del soggetto arrestato: devono, in particolare, consegnare all’arrestato o al fermato una comunicazione scritta, in forma chiara e precisa (e tradotta, se questi non conosce la lingua italiana) con cui lo informano: della “facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato; del diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa; del diritto all’interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda l’arresto o il fermo; del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; del diritto di accedere all’assistenza medica di urgenza; del diritto di essere condotto davanti all’autorità giudiziaria per la convalida entro novantasei ore dall’avvenuto arresto o fermo; del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l’interrogatorio e di proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che decide sulla convalida dell’arresto o del fermo“.

Le forze dell’ordine devono, altresì, informare immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato dal pubblico ministero e, “con il consenso dell’arrestato o del fermato, devono senza ritardo dare notizia ai familiari dell’avvenuto arresto o fermo”.

Quando si entra in contatto con agenti delle forze dell’ordine è possibile incorrere nei reati di resistenza e violenza o minaccia a pubblico ufficiale.

Ai sensi dell’art. 337 c.p. “chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.

Lart. 336 c.p., invece, punisce “chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio”  con la medesima pena, ovvero con una pena minore nel caso in cui la minaccia e la violenza siano indirizzate a costringerlo a “compiere un atto del proprio ufficio o servizio”.

E’ bene tenere presente che la violenza e minaccia in caso di resistenza a pubblico ufficiale accompagna il compimento dell’atto da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, a differenza del delitto di violenza a pubblico ufficiale, in cui precede il compimento dell’atto da parte del pubblico funzionario.

Si deve poi trattare di violenza o minaccia idonea a impedire concretamente al funzionario il compimento dell’atto, di qui la impossibilità di configurare il reato in esame nei casi di resistenza passiva, quali la fuga.

Occorre fare un breve cenno all’uso di armi da parte degli agenti delle forze dell’ordine.

Il Codice penale (art. 53 c.p.) prevede che vi possono essere delle circostanze in cui un agente si vede obbligato ad utilizzare l’arma. Non risulta punibile il pubblico ufficiale che, per adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi quando è costretto dalla necessità di respingere una violenza ovvero vincere una resistenza all’autorità.

3. Fermo per l’identificazione personale

Questo istituto di polizia di sicurezza non deve essere confuso con l’identificazione della persona indagata e di altre persone, prevista dall’art. 349 del codice di procedura penale.

L’art. 349 c.p.p. consente, infatti, alla polizia giudiziaria, di accompagnare nei propri uffici per la identificazione, la persona nei cui confronti vengono svolte indagini e le persone in grado di riferire sui fatti.

L’art. 11 della legge 18 maggio 1978, n. 191, invece, ha funzioni essenzialmente preventive, e prescinde dalla commissione di un reato. Questa norma consente agli ufficiali e agli agenti di polizia, di accompagnare nei propri uffici una persona allo scopo di procedere alla sua identificazione.

L’accompagnamento è consentito unicamente nei seguenti casi: se la persona rifiuta di dichiarare le proprie generalità; se ricorrono sufficienti indizi per ritenere che le dichiarazioni sulla propria identità siano false; se ricorrono sufficienti indizi per ritenere che i documenti esibiti siano falsi.

Le persone accompagnate, possono essere trattenute per il tempo strettamente necessario, al solo fine dell’identificazione, e comunque non oltre le 24 ore.

Se la polizia vi ferma chiedendo di fornire i documenti oppure le generalità dovrete sempre rispondere, pena la possibilità di incorrere nel reato di cui all’art. 651 c.p.

Difatti, “chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro“.

Tuttavia il reato risulta commesso solamente in caso di rifiuto di fornire le proprie generalità (oralmente, comunicando nome, cognome, ecc.), non in caso di rifiuto di mostrare i documenti. A ben vedere, infatti, la legge non impone di portare con sé i documenti identificativi. Qualora fermati dalla polizia non possiate esibire i documenti, non commetterete alcun reato.

Vero è che l’art. 4 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza stabilisce che l’autorità di P.S. può ordinare alle persone pericolose e sospette (e solo ad esse), di munirsi entro un dato termine, di carta di identità e di esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti; ma per le altre persone sussiste solo l’obbligo previsto dal citato art. 651 c.p.

Con riguardo alle conseguenze in cui è possibile incorrere:

– Se la persona fermata rifiuta di fornire le sue generalità o di esibire i documenti, oltre all’accompagnamento in questura di cui abbiamo parlato, è possibile incorrere in una denuncia. La pena in caso di rifiuto di fornire le proprie generalità è quella prevista dall’art. 651 c.p.

Di contro, come ha stabilito anche la Corte di Cassazione con la Sentenza del 20 gennaio 2020, n. 2021, l’omessa esibizione del documento di identità integra, ricorrendone le condizioni, gli estremi del reato di cui all’art. 4, R.D. n. 773/1931 e, dunque, non il reato p. e p. dall’art. 651 c.p., che sanziona invece il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale.

– Se invece il fermato fornisce false generalità a un pubblico ufficiale o a un incaricato di pubblico servizio, il reato è punito con pene maggiori: il codice penale prevede il carcere fino a un massimo di sei anni; la stessa pena è prevista per chi altera il proprio corpo per impedire l’identificazione.

– Infine, anche in caso di fermo per l’identificazione, è possibile incorrere nei reati di violenza o minaccia a pubblico ufficiale e resistenza a pubblico ufficiale (artt. 336 e 337 c.p.), qualora ne sussistano i requisiti.

L’obbligo di esibizione dei documenti permane, invece, per i cittadini non appartenenti all’Unione Europea. Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera all’ordine di esibizione, senza giustificato motivo, commette reato ed è punito con l’arresto e l’ammenda. Egli deve esibire due tipi di documenti: sia quello di identificazione, sia quello attestante la regolarità del soggiorno.

4. Ispezioni, perquisizioni e sequestri 

Ai sensi degli artt. 245 e 247 c.p.p. gli agenti di polizia giudiziaria, nell’atto di fermare una persona, possono procedere a ispezioni personali e perquisizioni, senza autorizzazione di un magistrato, solo in alcuni casi precisi: se valutano ci sia fondata possibilità di trovare armi, esplosivi, munizioni o sostanze stupefacenti sulla persona o nel luogo dove essa si trovi; in caso di flagranza di reato; qualora sia stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare, un ordine di carcerazione o un fermo di indiziato di delitto.

In tutti gli altri casi non è possibile perquisire né entrare nella abitazione di un soggetto o in altro locale privato, ovvero nella autovettura, senza un mandato del giudice.

Il pubblico ufficiale che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione o un’ispezione personale è punito a norma dell’art. 609 c.p.

Nel caso in cui si proceda a perquisizione o ispezione personale gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria devono, peraltro effettuare tali operazioni nel rispetto della dignità e della riservatezza della persona, non utilizzare metodi o tecniche atte a minare la capacità di autodeterminazione delle persone e, in caso di perquisizioni sulle donne, avvalersi di solo personale femminile.

Qualora le forze dell’ordine rinvengano armi, esplosivi, munizioni o sostanze stupefacenti, sono tenute a redigere un verbale di sequestro e chiederne la convalida al Pubblico Ministero entro le successive 48 ore.

Il soggetto destinatario di ispezioni, perquisizioni o sequestri ha una serie di diritti.

In primo luogo ha diritto di richiedere che tali atti siano compiuti alla presenza di un avvocato difensore o di una persona di propria fiducia prontamente reperibili.

Ha, inoltre, diritto ad avere copia del verbale di perquisizione, anche se non viene sequestrato nulla.

La normativa prevede il diritto ad un interprete, se il cittadino non parla e comprende la lingua italiana.

Infine il verbale può e deve essere attentamente letto dal soggetto fermato, al verificare che le operazioni si siano svolte correttamente, e qualora così non fosse, non deve essere firmato.

5. Il fermo alla guida di veicolo

Si tratta di un controllo diverso da quello sopra descritto.

E’ possibile confondere posto di blocco e posto di controllo, ma si tratta di due misure che richiedono modalità operative diverse.

Il posto di controllo è operato dalla pattuglia chiamata a svolgere prevalentemente prevenzione, verificando ad esempio i documenti di guida, lo stato della vettura o le condizioni psicofisiche del conducente. In genere il posto di controllo interessa un solo senso di marcia e le vetture da controllare sono scelte a discrezione degli agenti. Nel parlato comune, tuttavia, ci si riferisce al posto di controllo con l’espressione di posto di blocco.

Il posto di blocco vero e proprio, invece, è delimitato dal segnale stradale “Alt Polizia” e viene istituito in situazioni eccezionali e prevede il blocco di entrambi i sensi di circolazione della strada interessata. Possono essere usate bande chiodate e altri strumenti  per assicurarsi il rallentamento di tutti i veicoli. A differenza del posto di controllo, infatti, le forze dell’ordine sono tenute a controllare tutte le vetture di passaggio.

Gli articoli 43, comma 3, e 192 del Codice della Strada impongono ai conducenti di veicoli di arrestarsi in caso ordine da parte dell’agente in divisa, ovvero munito di paletta o regolari segni distintivi della propria funzione.

I conducenti sono tenuti ad esibire, a richiesta dei funzionari, ufficiali e agenti ai quali spetta l’espletamento dei servizi di polizia stradale il documento di circolazione e la patente di guida.

La polizia può, inoltre, procedere ad ispezioni dei veicoli al fine di verificare l’osservanza delle norme relative alle caratteristiche del veicolo. Controlli e ispezioni possono essere fatti, oltre che per l’accertamento di tracce di reati, per constatare la presenza a bordo di armi, ovvero stupefacenti ed immigrati clandestini. Si applicano le norme in tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri.

Il Codice della Strada tace riguardo all’uso delle armi da parte di un pubblico ufficiale. Può, tuttavia, applicarsi il già citato art. 53 c.p., ad esempio, in caso di rischio per l’incolumità dell’agente qualora l’automobilista, anziché fermarsi, punti la vettura contro gli agenti o quando, nel tentativo di fuga, metta fortemente a repentaglio la sicurezza dei passanti.

Per quanto attiene alle conseguenze, è importante ricordare che non fermarsi all’Alt intimato dalle forze di polizia non costituisce reato.

La giurisprudenza si è espressa più volte stabilendo che la violazione di quest’obbligo non comporta reato, ma implica una sanzione solamente amministrativa, se si escludono quei casi articolari in cui il fatto rientra nella fattispecie di reato di cui all’art 337 c.p., resistenza a pubblico ufficiale.

Infatti il reato di cui all’art 337 c.p. , resistenza a pubblico ufficiale, è applicabile solo al caso di un automobilista che, per evitare il posto di blocco delle autorità competenti, cerchi di scappare commettendo infrazioni del codice della strada che possono mettere in pericolo l’incolumità altrui. Peraltro ricordiamo l’impossibilità di configurare il reato in esame nei casi di resistenza passiva, quali la fuga a piedi del soggetto sceso dal veicolo.

Dunque, la violazione dell’obbligo di fermarsi fa scattare una sanzione amministrativa nel caso in cui gli agenti o una telecamera abbiano rilevato il numero di targa e la relativa multa verrà notificata al domicilio dell’intestatario del veicolo.

L’ammontare della multa è, peraltro, molto maggiore qualora il conducente non abbia rispettato l’obbligo di fermarsi ad un posto di blocco, rispetto ad un posto di controllo.

6. Alcooltest  

La guida in stato di ebbrezza diventa reato solo se l’alcol trovato nel sangue sul conducente è superiore alla soglia di 0,8 grammi per litro.

Le sanzioni amministrative sono previste dal Codice della Strada per le soglie minori.

Entrambe le tipologie di sanzione sono subordinate al previo accertamento del tasso alcolemico con il sistema dell’etilometro, meglio conosciuto come alcoltest.

Se, tuttavia, l’agente dovesse trovarsi sprovvisto dell’etilometro, egli potrebbe sanzionare il conducente tramite la sola valutazione di alcuni elementi sintomatici (l’alito, l’euforia, le manovre pericolose, la guida a zig-zag, gli occhi lucidi e rossi, l’incapacità a camminare in modo stabile e diritto). Secondo parte della giurisprudenza in caso di contestazione della guida in stato di ebbrezza senza strumenti di precisione, ma solo sulla base dei sintomi manifestati dal conducente, possono essere applicate unicamente le sanzioni amministrative; il reato, infatti, può essere contestato solo quando non vi sono margini di dubbio.

Se gli agenti non dispongono di etilomentro possono, altresì,  chiedere al conducente di seguirli al più vicino comando o stazione per eseguire il test dell’alcol (a condizione che non sia troppo lontano).

Infine, in caso di incidente stradale, la polizia può condurre il conducente in ospedale e chiedere che venga effettuato il prelievo del sangue.

Venendo ora ai diritti del soggetto fermato:

Al soggetto deve essere rivolto l’avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore deve essere rivolto al conducente del veicolo nel momento in cui viene avviata la procedura di accertamento con la richieste di sottoporsi al relativo test, anche nel caso in cui l’interessato opponga un rifiuto all’accertamento (sebbene secondo parte della giurisprudenza in quest’ultimo caso l’avvertimento non sarebbe necessario). E’ necessario, con riguardo alla presenza dell’avvocato, fare riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione del 22 marzo 2018 n. 29081, con la quale i giudici hanno stabilito che ogni automobilista ha in ogni caso il diritto di chiedere la presenza del proprio avvocato prima di essere sottoposto all’alcooltest, non solo quando risulta positivo allo stesso.

Qualora le forze dell’ordine procedano senza ricordare al fermato tale facoltà, i risultati del test sono nulli. Sono da considerarsi nulle anche le conseguenze penali, previste dalla legge, nel caso in cui il conducente si rifiuti di eseguire l’esame.

Infine, se l’automobilista dichiara di aver bevuto degli alcolici nell’ultimo quarto d’ora prima di essere fermato dalla pattuglia, egli è legittimato a bere dell’acqua che elimini l’alcol che ancora non si è diffuso nell’organismo e che quindi non può alterare le sue facoltà mentali alla guida.

Per quello che attiene alle conseguenze: in caso di tasso alcolemico non superiore a 0,8 g/l si rischia una sanzione amministrativa da 527 a 2.108 euro, la decurtazione di 10 punti dalla patente e la sospensione della patente da 3 a 6 mesi; se il tasso di alcol si attesta tra 0,81 e 1,5 g/l si configura, invece, il reato di guida in stato di ebbrezza e il conducente rischia una sanzione da 800 e 3.200 euro e l’arresto fino a sei mesi, la perdita di 10 punti dalla patente e la sospensione della patente da 6 mesi a 1 anno; invece, se il tasso alcolemico supera 1,5 g/l, la sanzione va da 1.500 a 6.000 euro, l’arresto da 6 mesi a 1 anno, 10 punti detratti dalla patente, la sospensione della stessa patente da 1 a 2 anni e la confisca dell’auto (che non avviene se l’auto è intestata a un’altra persona).

Infine il Codice della Strada prevede, per chi si rifiuta di sottoporsi al test dell’alcol, le stesse sanzioni della guida in stato di ebbrezza per lo scaglione massimo, quello cioè oltre 1,5 g/l.

7. Gli agenti in borghese

Il fermo per l’identificazione può essere compiuto anche dalla polizia in borghese. Tuttavia è possibile, a fronte della richiesta di informazioni, chiedere a propria volta di esibire il tesserino di identificazione e qualora l’agente non soddisfi la richiesta, non vi è l’obbligo di rispondere alle domande.

Altra casistica si presenta quando un agente in borghese impone ad un soggetto di accostare mentre si trova alla guida del proprio veicolo. Infatti il Codice della strada impone che l’Alt debba essere fatto da un agente in uniforme e munito da apposito distintivo. Quindi, qualora il pubblico ufficiale non sia riconoscibile, il soggetto non tenuto a fermarsi.


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Claudia Ruffilli

Claudia Ruffilli, nata a Bologna il 21 aprile 1992. Ho conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico Marco Minghetti di Bologna. Nel 2017 ho conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bologna. Ho svolto la pratica forense presso uno Studio Legale ed un tirocinio formativo presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Nel 2019 ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello a Bologna, dove lavoro.

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