I fattori naturali e l’accompagnamento in montagna: profili di responsabilità del professionista

I fattori naturali e l’accompagnamento in montagna: profili di responsabilità del professionista

L’attività di accompagnamento in montagna: una visione d’insieme

L’offerta promozionale turistica connessa all’ambiente montano prospetta chine innevate per la stagione invernale e panorami indomati da percorrere durante l’estate.

L’irresistibile attrattività che ne consegue ha ampliato il bacino di utenti che decidono di cimentarsi nella pratica degli sport outdoor, cogliendo così l’occasione di evadere dai contesti urbani.

Fra la pletora di attività estive, il percorrere sentieri di montagna in quota ha un appeal primario per i turisti, attesa l’apparente accessibilità alla generalità di essi.

Invero, come indubbiamente noto agli addetti ai lavori, intraprendere una camminata in montagna ha gradienti di difficoltà a latitudine ampia: si possono, infatti, affrontare percorsi ordinari, ancorché piani, volti ad ammirare lo scenario naturale circostante; ovvero si ha la facoltà di optare per sentieri in quota, che seppur di agevole percorrenza, costeggiano dirupi, obbligando così al mantenimento di cautele maggiori rispetto alla classica passeggiata.

Gli impavidi, pur astenendosi dal fronteggiare una vera e propria arrampicata, hanno l’occasione di confrontarsi con le ferrate, che richiedono [rectius-esigono] un equipaggiamento adeguato e una preparazione fisica non indifferente.

Sovente la cronaca riporta di accadimenti, anche letali, discendenti da escursioni in montagna: le conseguenze lesive dipendono solitamente da disattenzione dell’utenza dovuta principalmente alla sottovalutazione dei luoghi o alla sopravvalutazione delle proprie capacità fisiche e tecniche, inidoneità o carenza degli equipaggiamenti, incapacità di valutazione ex ante dell’effettiva complessità del percorso che si intende intraprendere, rispetto alla propria preparazione, e per fattori naturali. Vi è inoltre da precisare che coloro che si recano nelle località di villeggiatura generalmente vi permangono per breve periodo ed essendo intenzionati a sfruttare ogni momento della propria vacanza sono restii a rinunciare alle gite, anche in presenza di condizioni climatiche avverse che suggerirebbero l’astensione.

Il presente lavoro focalizza l’attenzione verso il regime di responsabilità scaturente da pregiudizi nei confronti degli escursionisti che, affidatisi all’esperienza di una guida, siano rimasti coinvolti in sinistri – in quota – eziologicamente connessi a fattori prettamente naturali.

La digressione trae spunto da due recenti fattispecie[1]: nel territorio di Madonna di Campiglio un’alpinista belga, membro di un gruppo di appassionati condotti da una guida alpina, è precipitato nel comprensorio del Brenta durante una ferrata: l’impatto non ha lasciato scampo al malcapitato, deceduto sul colpo. Gli accertamenti hanno permesso di riscontrare come la causa della rovina fosse derivata dall’onda d’urto prodotta dall’impatto al suolo di un fulmine, caduto in prossimità del luogo di transito –  in piano –  del gruppo.

Simile evento si è verificato altresì nel territorio bellunese, ove un escursionista è rimasto vittima di un fulmine durante una ferrata sul Peralba, vicino a Sappada[2].

Solamente nel primo caso vi era al comando del gruppo una guida alpina; nel secondo, per converso, il tragico evento è occorso a un padre in compagnia della propria famiglia. La vicinanza cronologica degli episodi, non tralasciando la peculiarità dell’estate appena trascorsa caratterizzata da precipitazioni abbondanti, induce a riflettere sul fatto che oramai i pericoli connessi a fattori naturali non sono più esclusivamente delle fatalità, ma all’opposto concreti rischi che, per quanto possibile, devono essere cautelati, soprattutto da chi trae un guadagno dall’accompagnamento dei turisti.

Occorre quindi operare un prius logico-giuridico, attinente alla comprensione del significato giuridico di accompagnatore-accompagnato e al rapporto che li lega, per poi inquadrare con precisione la rilevanza degli agenti naturali in caso di pregiudizi in danno dell’utenza.

Il termine accompagnatore pone riferimento a chi accetta di unirsi ad altre persone per compiere o per portare a termine una gita o una scalata, assumendosi – espressamente, tacitamente o anche solo nei fatti – la responsabilità di offrire loro collaborazione e protezione, in proporzione alla differenza di capacità e di esperienza fra l’accompagnatore e gli accompagnati.

Assunta la figura di accompagnatore, segue un potere direttivo a cui specularmente si contrappone una soggezione degli accompagnati, deputati a ottemperare puntualmente alle prescrizioni impartite; siffatta attività comporta una crescita della percezione di sicurezza per questi ultimi, consci che la gita o la scalata si terrà in condizioni di sicurezza grazie alla presenza di un professionista. Proprio siffatto affidamento connatura e differenzia il compito dell’accompagnatore rispetto al mero compagno di gita o scalata: in tal caso, l’accordo ha oggetto esclusivamente un aiuto reciproco volto alla diminuzione dei pericoli e distante dalla volontà di assoggettare il patto all’ordinamento giuridico[3].

In primo luogo spicca la figura della guida alpina: la disciplina di riferimento è contenuta nella l. 2 gennaio 1989, n. 6, recante la rubrica “Ordinamento della professione di guida alpina”: secondo il dettato normativo, è guida alpina chi svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, le seguenti attività: accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia sia su ghiaccio o in escursioni in montagna, accompagnamento di persone in ascensioni scialpinistiche o in escursioni sciistiche e, infine, insegnamento delle tecniche alpinistiche e scialpinistiche con esclusione delle tecniche sciistiche su piste di discesa e di fondo. Le disposizioni sancite dalla legge de qua fungono da cornice suscettibile di essere meglio tratteggiata da fonti regionali e sublegislative: in seno all’art. 21 è consentito alle Regioni prevedere la formazione e l’abilitazione di accompagnatori di media montagna[4].

In ogni caso, l’abilitazione alla professione di guida alpina o di accompagnatore di media montagna viene acquisita al termine di un percorso formativo e all’atto del superamento dei relativi esami[5].

Ictu oculi, le categorie indicate rientrano nelle professioni intellettuali protette, per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, trovando dunque solida applicazione l’apparato normativo ex art. 2229 ss. c.c.

Compresa l’essenza dell’attività di accompagnamento e le relative norme di riferimento, il prosieguo della digressione contempla altresì l’analisi della tipologia di pericoli in cui possono incorrere gli escursionisti durate una gita.

La tipologia di pericoli nelle escursioni in montagna

 Premesso che appare utopistico enucleare ogni ipotetico pregiudizio a priori, nel settore alpinistico vige una bipartizione in pericoli di natura oggettiva, tali per chiunque e suscettibili di essere ridotti – ma non eliminati –  mediante idonee misure tecniche, e i pericoli derivanti dalla difficoltà dell’itinerario, eziologicamente connessi alla capacità di chi affronta quel determinato percorso: ciò che accomuna siffatte caratteristiche è l’indissolubile legame con il comportamento dell’utenza; da qui discende l’impossibilità di considerare l’attività di escursione ontologicamente pericolosa, giacché non tanto rischiosa in sé, bensì aleatoria a seguito di comportamenti irragionevoli di coloro che la praticano o per la peculiarità dei luoghi in cui viene esercitata[6].

Fra i pericoli oggettivi rientrano i fattori prettamente naturali specifici della località: l’inciso non deve trarre in inganno, non volendosi intendere de plano la mera probabilità statistica di frane, smottamenti, valanghe e/o precipitazioni. In realtà ciò che rende pericoloso un luogo è la risultanza del dinamismo degli elementi naturali in una determinata area.

Si pensi alle probabilità di verificazione di una frana: appare evidente che il concretizzarsi del rischio promani dalla fisionomia intrinseca del territorio e dell’interazione con gli agenti atmosferici. Per questo motivo, se una precisa zona è connaturata da un’alta probabilità che si verifichino frane e smottamenti, suddette evenienze saranno più frequenti e improvvise allorquando le condizioni climatiche siano idonee ad accelerarne il processo generatore.

Pertanto, è d’uopo non sussumere [rectius-circoscrivere] il concetto di fattore naturale in un contesto statico limitato alla valutazione singolare degli elementi dell’ambiente, bensì va intravvisto in una relazione dinamica.

L’assunto potrebbe appare superfluo per le guide più esperte, eppure l’incremento del bacino di utenza che intraprende gli sport alpinistici ha condotto ad annoverare fra gli appassionati anche soggetti non ferrati in materia (per usare un termine appropriato) che spesso escludono l’effettiva pericolosità di un preciso tragitto unicamente perché hanno sentito dire che è di semplice percorrenza; in realtà, nulla osta che anche in presenza di una pioggia leggera, quel tratto considerato agevole possa divenire insidioso.

La tematica primaria investe la qualificazione giuridica dei fattori naturali: sin dalla primigenia argomentazione, appare evidente che asserire sic et simpliciter che trattasi di avvenimenti imprevedibili non rispecchia la realtà fenomenica, essendo, per converso, necessaria un’effettiva indagine del caso concreto per appurare se un fatto certamente naturale (come il fulmine) potesse essere, invero, previsto ed evitato.

La risposta al quesito di diritto postula un corretto inquadramento del rapporto accompagnatore-accompagnati e degli obblighi reciproci che, in una relazione di precauzione bilaterale, sorreggono il rapporto giuridico.

Il rapporto giuridico fra accompagnatore e accompagnati

La scelta di riporre la propria fiducia affidandosi a una guida alpina o a un accompagnatore di media montagna è sorretta, essenzialmente, dalle motivazioni che seguono: in primis incrementa la percezione di sicurezza dell’escursionista; in secundis solitamente il professionista illustrerà le caratteristiche peculiari dei luoghi, consentendo di non fungere da meri spettatori passivi del panorama; inoltre l’accompagnatore, conoscitore del territorio e della cultura montana, avrà la prontezza di reazione innanzi a evenienze improvvise. Infine, gli utenti ricorrono a una guida per migliorare la propria capacità tecnica nell’affrontare i percorsi.

Il rapporto che intercorre fra guida e cliente è indiscutibilmente di natura contrattuale, che trae la propria origine dall’accordo tra le parti a cui sono sottesi interessi contrapposti: da un lato, la guida alpina mira a percepire un compenso derivante dalla propria prestazione d’opera, dall’altra, per converso, i clienti perseguono un interesse di natura non economica rappresentato dall’appagamento avvertito nel percorrere i sentieri alpini.

Le obbligazioni che sorgono dalla positiva conclusione delle trattative contemplano reciproci obblighi che concorrono al mantenimento di un grado accettabile di safety durante l’esecuzione della prestazione della guida (un vero e proprio debitore)[7].

Difatti, alla guida alpina (o all’accompagnatore di media montagna) verrà pretesa una diligenza non generica a mente dell’art. 1176 c.c., 2° comma, che prescrive che nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata[8].

Ipso facto si evince che l’obbligo gravante sulla guida non consisterà esclusivamente nell’accompagnamento dei clienti da un luogo “a” verso una località “b”, bensì sarà connaturato – anche – da una serie di cautele volte a ridurre ai minimi termini i plausibili pericoli dell’escursione.

Per tutto ciò, la guida alpina è tenuta preliminarmente: a) a valutare con estrema accuratezza la tipologia di clientela e le differenze all’interno del gruppo; b) a predisporre un percorso idoneo alla capacità fisica e tecnica dei partecipanti; c) a calare la decisione de qua nella realtà attuale, astenendosi dall’accompagnamento allorquando la situazione di fatto sia in grado di esporre a pericoli il gruppo (come ad esempio è sconsigliabile un’escursione in zone impervie in caso di avverse previsioni meteo); d) a consigliare l’adeguato equipaggiamento e accertarsi, ancor prima della partenza, che ogni persona ne sia munita.

Esaurita la prodromica fase di studio, in ambiente la guida dovrà costantemente vigilare la condotta del gruppo, fornendo le indicazioni necessarie onde scongiurare il verificarsi di episodi pregiudizievoli.

Oltre al versamento del corrispettivo, gli utenti – concorrendo al mantenimento di un gradiente accettabile di sicurezza – hanno l’obbligo (e non l’onere) di attenersi puntualmente alle prescrizioni della guida. In caso di violazione consapevole delle regole sancite, sia nella fase statica sia nella fase dinamica dell’escursione, non potrà sussistere alcuno specifico affidamento riposto nel professionista – da cui discende l’obbligo di protezione e non di solo accompagnamento – giacché la sua prestazione verrà ridotta a mera indicazione della via da percorrere[9].

Conclusa la trattazione delle principali obbligazioni scaturenti dal contratto di prestazione d’opera avente a oggetto l’accompagnamento in montagna, giova interrogarsi sul tema saliente della digressione: i fattori prettamente naturali, che non di rado costituiscono la causa di infortuni, ancorché gravi, sono fenomeni che rientrano a pieno titolo nell’ipotesi di caso fortuito e pertanto esulanti dalla signoria della guida, oppure in specifiche circostanze è possibile cautelare i pericoli da essi derivanti?

La quaestio iuris formulata implica delle primarie riflessioni in merito al significato di caso fortuito e forza maggiore idonei a escludere la responsabilità della guida alpina[10].

Il caso fortuito e la forza maggiore in relazione ai fattori naturali

Come noto, nell’ordinamento penale l’art. 45 c.p. prevede che non sia punibile colui che abbia commesso il fatto per caso fortuito[11].

I tentativi definitori si sviluppano in tre distinte teorie: per una prima impostazione, il caso fortuito deve essere considerato un elemento negativo del rapporto causale[12]; altra corrente colloca il caso fortuito sul piano della carenza di tipicità o dei presupposti necessari a imputare o integrare un fatto[13]; un terzo filone, per converso, inquadra la norma in chiave soggettiva, configurando il caso fortuito come elemento negativo della colpa oppure come situazione necessitante e incapacitante nei confronti dell’obbligo di conformarsi a regole e perciò incidente sul piano della colpevolezza, normativamente intesa[14].

Anche nell’ordinamento civile non sussiste una precisa definizione di caso fortuito, ricavabile dall’interpretazione ermeneutica delle Corti di merito e legittimità: secondo l’orientamento prevalente, il caso fortuito si identifica in un accadimento connaturato da imprevedibilità e inevitabilità.

La Suprema Corte ha precisato che “dovendo ancorarsi il concetto di fortuito al criterio tradizionale della prevedibilità con l’ordinaria diligenza del buon padre di famiglia, la quale si risolve in un giudizio di probabilità, nell’infinita serie di accadimenti naturali (o umani) che possono teoricamente verificarsi, non si può far carico al debitore di prevedere e prevenire anche quegli eventi, di provenienza esterna, che presentino un così elevato grado di improbabilità, accidentalità o anormalità da essere parificati, in pratica, ai fatti imprevedibili”[15].

Frequentemente i termini caso fortuito e forza maggiore vengono accostati, differenziandosi esclusivamente poiché il primo evidenzia l’aspetto della imprevedibilità, mentre il secondo quello della irresistibilità[16].

Come anzidetto, uno dei compiti della guida – o accompagnatore di media montagna – consiste nel ridurre al minimo i pericoli che possono verificarsi durante l’escursione: il dovere si esplica inizialmente attraverso la corretta programmazione e successivamente, nella fase esecutiva, mediante scelte ponderate volte a salvaguardare l’incolumità degli escursionisti.

Ancor prima di soffermarsi sui riflessi di tale premessa in relazione alla diligenza pretesa, deve essere ben evidenziato come la guida alpina non sia costretta, in forza del contratto, al compimento della gita predeterminata: difatti, benché auspicato nelle aspettative dei clienti, la possibilità di un’improvvisa interruzione, per motivi di sicurezza, non è evenienza rara. Nel dovere di diligenza pretesa alla guida vi è quindi la facoltà di dire “basta” qualora ritenga che il prosieguo dell’escursione sia suscettibile di recare pregiudizio agli accompagnati o di esporli a eccessivo pericolo[17].

Ciò posto, la guida ha il compito di valutare con diligenza il percorso che intende sottoporre ai propri clienti, tenuto conto dell’oggettiva fisionomia del medesimo – in accezione statica che dinamica – e dell’attuale percorribilità, ricavabile esclusivamente da una ricognizione di carattere tecnico che solamente un professionista è in grado di operare con cognizione e ponderatezza.

Ne consegue che i fattori naturali non sfuggono dalla previsione che il professionista deve compiere.

In premessa, si pone richiamo all’evento fulmine: la caduta di esso in ambiente montano è accadimento tutt’altro che imprevedibile e la sua evitabilità discende da un’analisi ex ante delle condizioni climatiche non solo nel giorno in cui avverrà l’escursione, ma altresì nel contesto immediatamente precedente.

Pertanto, se è noto che in una determinata località le condizioni climatiche, seppur perfette durante le prime ore del giorno, tendano a peggiorare nel corso del pomeriggio, la guida alpina dovrà essere consapevole che durante una gita in quota si potranno generare temporali e precipitazioni a cui si accompagna, indissolubilmente, la scarica di fulmini, le cui onde d’urto saranno in grado di costituire un serio pericolo per gli escursionisti[18].

Da qui consegue un dovere di organizzarsi in modo tale che, in presenza di mutamento del clima, il gruppo non sia eccessivamente esposto a minacce.

Nella fase esecutiva, per converso, entra in gioco la capacità decisionale in loco dell’accompagnatore: in caso di prevedibile e/o imminente cambiamento climatico, la guida dovrà valutare se proseguire il cammino possa avvenire in sicurezza; in caso contrario potrà [rectius-dovrà] decidere di cambiare percorso oppure di interrompere l’escursione, facendo rientro nella sede di partenza.

A mio avviso, la diligenza esatta alla guida, attesa la natura tecnica della propria opera, consiste in evitare qualsiasi tipologia, anche in forma minima, di azzardo.

Autorevole dottrina ha ben evidenziato che “durante la gita o la scalata può darsi che sopravvengano eventi imprevisti, che ne turbano lo svolgimento, facendo sì che il gruppo o la cordata vengano a trovarsi proprio in quel momento nei quali, per esempio, si verifica il distacco di una valanga o la caduta di sassi, mentre secondo il programma previsto ciò non avrebbe dovuto accadere: per esempio un cambiamento imprevisto e imprevedibili delle condizioni metereologiche che ha ostacolato la progressione, come la nebbia, oppure un incidente tecnico o un malessere fisico occorso a uno degli accompagnati, che ha fatto perdere tempo o ha rallentato di molto la progressione, sì da causare un ritardo per l’interno gruppo. L’affidamento generato dalla presenza dell’accompagnatore ha certamente per oggetto, tra l’altro, la riduzione al massimo grado anche dei pericoli derivanti da eventi come quelli accennati. Un accompagnatore capace e prudente deve saperli mettere nel conto: la scelta della gita o ella scalata e le sue modalità di svolgimento devono essere tali da mantenere il rischio a un livello così basso da permettere che le conseguenze di tali eventi possano essere affrontate senza che ne derivino danni degni di nota per gli altri accompagnati”[19].

Qualora occorrano dei danni in pregiudizio degli accompagnati eziologicamente dipesi da fattori naturali, il giudice dovrà porre a fondamento della propria decisione l’effettiva imprevedibilità, non con gli “occhi” dell’uomo medio, ma con la cognizione tecnica dell’uomo di montagna[20].

In tema di onere della prova, la giurisprudenza di legittimità è concorde nell’affermare che spetta al professionista dimostrare l’esatto adempimento o dell’incolpevole inadempimento, mentre nessuna prova della sua colpa è a carico del cliente.

Riflessioni conclusive

 L’incremento del turismo montano rappresenta un dato ormai certo e in costante espansione: l’ampliamento conseguente della domanda e dell’offerta connessa allo sfruttamento del territorio di montagna ha conosciuto il progressivo aumento di eventi pregiudizievoli nei confronti dell’utenza, da cui è discesa una litigiosità non più relegata a un numero limitato di contese giudiziarie.

L’evoluzione giurisprudenziale e normativa connessa al settore alpino ha poi concorso a estendere i fori competenti, cosicché saranno interessati da controversie inerenti il settore sciistico giudici che, almeno “climaticamente”, non ne sono spesso coinvolti[21].

Sorge quindi l’esigenza di fornire delle linee guida in una materia divenuta maggiormente consumistica che non richiama esclusivamente appassionati ed esperti, ma altresì persone che vi si affacciano per la prima volta.

Con l’obiettivo di preservare la professione, la casistica giurisprudenziale deve concorrere a tratteggiare con puntualità i compiti della guida alpina, cosicché sia ben nota la latitudine applicativa degli obblighi; come per il settore sciistico, deve esserci la tendenza a responsabilizzare anche i destinatari della prestazione che costituiscono un apporto causale essenziale per la sicurezza dell’attività.

Dalle risultanze della digressione, emerge senz’ombra di dubbio l’impossibilità di inquadrare a priori i fattori naturali come evenienze assolutamente imprevedibili e non cautelabili: la guida alpina, attesa la peculiare conoscenza del territorio in cui opera, ha il dovere di organizzare, eseguire e mantenere in sicurezza l’escursione: ciò potrà avvenire esclusivamente attraverso decisioni, anche impopolari fra il gruppo, che non si riversino in un azzardo per l’incolumità dei coinvolti.

Un pregiudizio prettamente naturale potrà essere sussunto in un caso fortuito o di forza maggiore esclusivamente all’esito di un’indagine tecnica che ne abbia accertato l’oggettiva imprevedibilità e evitabilità; non scusa esclusivamente il “fulmine a ciel sereno”, ma quell’accadimento che sfugge anche alla signoria dell’esperto uomo di montagna.

A titolo esemplificativo, si segnala Trib. Udine, 19 novembre 2015, ove è trattato un caso afferente al rapporto tra la guida alpina e il fruitore – a titolo contrattuale – della sua opera.

La pronuncia è massimata nel sito www.dirittodeglisportdelturismo.it e i principi ricavati sono così enucleati:

E’ onere della guida alpina professionista, impegnatasi contrattualmente all’accompagnamento nell’escursione, dimostrare di aver adempiuto alla sua prestazione con diligenza, prudenza e perizia, ovvero che l’eventuale incidente è dovuto a fatto a lui non imputabile o a caso fortuito o forza maggiore.

La guida alpina professionista, obbligata contrattualmente ad accompagnare in un’escursione alpinistica delle persone, risponde del danno occorso a queste ultime durante l’escursione, ove il verificarsi dell’incidente sia causalmente ascrivibile a un errore tecnico da lui compiuto nel curare l’accompagnamento (nella specie, l’incidente occorso alle persone accompagnate era determinato dal cedimento di un sistema di ancoraggio, allestito dalla guida, che aveva collocato un “friend” nella roccia e aveva sfruttato un chiodo rinvenuto in loco già infisso nella roccia, senza ribbatterlo adeguatamente, perché il professionista non risultava provvisto di un martello da roccia).

E’ onere della guida alpina professionista che eccepisca il concorso di colpa delle persone accompagnate in una escursione alpinistica e rimaste vittime di un incidente allegare e provare che queste ultime abbiano disatteso gli ordini impartiti dalla guida o l’effettuazione di manovre pericolose”.


[1] In rete: http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/cronaca/2014/08/07/news/precipita-e-muore-dalla-bocchetta-alta-dei-camosci-1.9724919; http://www.ansa.it/veneto/notizie/2014/08/16/fulmine-suferrata-a-sappada-un-morto-e-un-ferito_f3e5a75c-d41f-48bc-a577-d639b440b823.html

[2] Volendo prescindere dall’irresponsabilità del singolo che autonomamente si avvia verso un’escursione senza predisporre e attuare le dovute cautele, il verificarsi di danni in pregiudizio di escursionisti che, affidandosi all’esperienza di una guida qualificata, periscono o rimangono lesi per eventi atmosferici, richiede indubbiamente una puntuale analisi: in prima facie, omettendo di interrogarsi assiduamente sulle conseguenze giuridiche degli episodi narrati, anche il profano di diritto solleverebbe dubbi attinenti alla ricomprensione nell’alveo del caso fortuito dei fattori naturali, quali fulmini e/o precipitazioni, che in realtà appaiono nettamente prevedibili a priori e pertanto evitabili diligentemente.

[3] Il tema è esaustivamente trattato da L. Lenti, La responsabilità civile delle guide e degli accompagnatori non professionali nell’alpinismo e nell’escursionismo, in G. Fornasari, U. Izzo, L. Lenti, F. Morandi, La responsabilità civile e penale negli sport del turismo. La Montagna, Torino, 2013, 379 ss.: l’Autore osserva come il livello di affidamento e il correlativo dovere di protezione promana da molteplici fattori: l’eventuale corrispettivo, la qualificazione dell’accompagnatore, il grado di difficoltà della gita o escursione, il divario tra l’accompagnatore e gli accompagnati e l’età di questi.

[4] A titolo esemplificativo, si riporta la disciplina della Provincia Autonoma di Trento, in cui sussiste una regolamentazione implementare, racchiusa nella l.p. 23 agosto 1993, n. 20, che ha introdotto la figura professionale dell’accompagnatore di media montagna. L’art. 16 ne delinea i tratti salienti; svolge tale professione colui che: a) si occupa dell’accompagnamento di persone in escursioni in ambiente montano, attraverso sentieri e zone di particolare pregio naturalistico, con l’esclusione dei terreni innevati e di quelli che comportano difficoltà richiedenti l’uso dei quattro arti e delle tecniche e dei materiali alpinistici connessi, quali ad esempio corda, piccozza e ramponi, fornendo elementi conoscitivi e informazioni riguardanti i luoghi attraversati. accompagnamento di persone in visita ad ambienti o strutture espositivi di carattere naturalistico ed etnologico; b) provvede all’accompagnamento di persone in visita ad ambienti o strutture espositivi di carattere naturalistico ed etnologico. Inoltre, viene operata un’ulteriore classificazione, differenziando la figura dell’accompagnatore di media montagna e di territorio: il secondo ha limiti di quota (1.800 mt.) per quanto attiene alle attività sub a).

[5] Per le singole discipline, v. Abruzzo, l.r. 16 settembre 1998, n. 86; Provincia Autonoma di Bolzano, l.p. 13 dicembre 1991, n. 331; Friuli-Venezia Giulia, l.r. 16 gennaio 2002, n. 2; Lombardia, l.r. 8 ottobre 2006, n. 26; Piemonte, l.r. 29 settembre 1994, n. 41; Valle d’Aosta, l.r. 7 marzo 1997, n. 7; Veneto, l.r. 3 gennaio 2005, n.1.

[6] V. M.Porta, La Guida Alpina e la legge: alcune considerazioni sugli aspetti giuridici della professione di Guida Alpina”, intervento in occasione del VI Forum giuridico della neve, Bormio 15 dicembre 2012: “nell’attività di accompagnamento della guida il cliente partecipa sempre con la propria autonomia e preparazione tecnica all’escursione alpinistica. Pur essendovi il controllo e la direzione della guida, molto spesso è proprio la condotta del cliente a condizionare il risultato dell’incarico professionale. E’ imprescindibile, pertanto, accertare di volta in volta se la condotta del cliente sia stata corretta oppure abbia avuto un’efficienza causale, concorrente o esclusiva, nella causazione dei danni che siano derivati nell’esecuzione dell’incarico affidato alla guida. L’eventuale concorso di colpa del cliente può comportare l’esclusione o riduzione, in proporzione, del risarcimento del danno. Sono esclusi in particolare i danni che il cliente-allievo avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (art.1227 comma 2 c.c.). Per gli allievi vengono in considerazione anche i danni che essi stessi possono determinare a terzi, dei quali è civilmente responsabile anche la guida se non prova di non aver potuto evitare il fatto, come disposto dall’art. 2048 c.c. (culpa in vigilando)”; in rete http://www.bormioforumneve.eu/Relazioni/avv%20porta.pdf

[7] La guida adempie alla propria obbligazione attraverso l’esclusivo esercizio di discrezionalità tecnica, essendo l’unica responsabile per l’individuazione degli obiettivi della prestazione e del concreto modus per conseguirli. Rileva dunque l’ “intuitus persona” in seno all’art. 2232 c.c. che vincola il prestatore d’opera a eseguire personalmente l’incarico assunto.

[8] Nello specifico, in dottrina è stato acutamente osservato che trova applicazione il principio sancito dall’art. 2236 c.c., limitante la responsabilità del professionista al dolo e alla colpa grave in caso di “problemi tecnici di particolare difficoltà”, ricomprendendo nella latitudine applicativa le scalate oggettivamente eccezionali per difficoltà e pericolosità conosciute anche dal cliente. Con sentenza 166/1973, la Corte costituzionale ha limitato i casi di responsabilità attenuata solo in presenza di imperizia grave, derivante da errore non scusabile o dalla ignoranza dei principi elementari attinenti alla professione, escludendo la negligenza o l’imprudenza, poiché l’art.2236 c.c. fa riferimento alle prestazioni che contemplano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, cioè una condotta particolarmente impegnata sul piano della perizia professionale. Dunque, la responsabilità attenuata si giustificherebbe solo in presenza di compiti o incarichi di una certa difficoltà tecnica e con riferimento alla perizia impiegata, mentre per la diligenza e la prudenza, gli altri due elementi che compongono la valutazione della colpa, ogni giudizio dovrebbe essere improntato a normale severità. Per approfondimenti cfr. M. Flick, Il punto sulla legislazione, la giurisprudenza e la dottrina, in Codice della montagna. Montagna rischio e responsabilità 1994-2004, n. 10, in rete http://www.fondazionecourmayeur.it/archivipage.asp.

[9] Ancora L.Lenti, cit., 396: “basti pensare al fatto che il cliente, non seguendo le prescrizioni, potrebbe porsi in una condizione di pericolo dalla quale la guida sarebbe poi obbligata a soccorrerlo, esponendosi eventualmente a maggio rischio”.

[10] In breve, dottrina e giurisprudenza hanno enucleato una classificazione dell’eventualità idonee a interrompere il nesso causale: se l’incidente deriva da un comportamento dell’accompagnato frutto di sua negligenza, di sua inosservanza a ordini dell’accompagnatore o di sua macroscopica imprudenza, ovvero per cause ascrivibili alla condotta di un altro accompagnato o di un terzo estraneo al gruppo; v. T. Bolzano, 24 gennaio 1977, in RCP, 1978, 549, con nota di Gambaro.

[11] Per una trattazione completa dell’istituto, v. G. Alpa, R. Garofoli, Manuale di diritto penale. Parte generale, Roma, 2013, 987-994.

[12] A. Santoro, Caso fortuito e forza maggiore, in NN.D.I., II, Torino, 1957, 992.

[13] M. Ronco, Il caso fortuito, in Comm. Ronco, II, 1, Zanichelli, Bologna, 2011, 666; C. Fiore, Diritto penale. Parte gen., I, Utet Giuridica, Torino, 1995, 273.

[14] Ex multis G. Gregori, Premesse storico-dogmatiche ad un’indagine sul caso fortuito, in IP, 1974, 435.

[15] Cass. civ., Sez. III, 14 ottobre 2005, in DR, 2006, 865, con nota di R. Foffa, Una valanga di danni non risarciti: la sentenza annotata e il relativo commento dell’Autore forniscono un interessante spunto di riflessione, prodromico al caso analizzato: “la Corte, distaccandosi dall’opinione prevalente in dottrina sul “fortuito meteorologico” (18), include la valanga tra gli eventi di provenienza esterna ‘che presentino un così elevato grado di improbabilità, accidentalità o anormalità da essere parificati, in pratica, ai fatti imprevedibili’. A sostegno della propria tesi compie un’accurata descrizione scientifica delle valanghe: possono essere di modesta entità ‘si ripetono con frequenza, seguendo sempre il medesimo percorso in relazione alla morfologia del versante’, oppure possono anche essere fenomeni notevoli, ‘imprevedibili perché avvengono sporadicamente, con movimento turbinoso e rapido, e sono le più pericolose, capaci di provocare danni e mietere vittime’. La Corte d’appello, con una motivazione giudicata adeguata ed immune da vizi logici ed errori giuridici, aveva considerato la valanga del 1979 del tutto eccezionale e straordinaria, ‘per la sua violenza inusitata, la quantità della massa nevosa precipitata a valle e quindi l’eccezionalità delle sue dimensioni’. Pertanto, doveva considerarsi evento assolutamente imprevedibile, inevitabile con la comune diligenza ed idoneo ad integrare la prova liberatoria del caso fortuito. In fondo, spiega ancora la Corte, il concetto di fortuito va riferito al criterio della prevedibilità con l’ordinaria diligenza del buon padre di famiglia, consistente in un giudizio di probabilità rispetto all’infinita serie di accadimenti naturali (o umani) che possono teoricamente verificarsi: non si può far carico al debitore di prevedere e prevenire eventi caratterizzati da un così alto grado d’improbabilità.

[16] Sulla scorta di siffatta valutazione, il caso fortuito viene a coincidere con il concetto di fatalità, mentre la forza maggiore è quella – naturale o umana – cui è impossibile resistere; cfr. G. Grisi, voce Caso Fortuito, in rete http://www.treccani.it/enciclopedia/caso-fortuito_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza).

[17] Si veda il sito dell’AINEVA, Associazione Interregionale Neve e Valanghe delle Regioni e Province autonome dell’arco alpino italiano, costituita al fine di consentire il coordinamento delle iniziative che gli Enti aderenti svolgono in materia di prevenzione ed informazione nel settore della neve e delle valanghe. Gli obiettivi primari sono lo scambio e la divulgazione di informazioni, l’adozione di metodologie comuni di raccolta di dati, la sperimentazione di strumenti ed attrezzature, la diffusione di pubblicazioni riguardanti le materie oggetto di approfondimento, la formazione e l’aggiornamento di tecnici del settore. Nell’articolo dedicato alla responsabilità penale della guida alpina si specifica che “il primo obbligo di ogni Guida Alpina riguarda la decisione di intraprendere o meno la gita con il cliente in relazione alle capacità tecniche dello stesso, alle difficoltà dell’itinerario e alle condizioni meteorologiche del momento. La diligenza richiesta alla Guida per non cadere in responsabilità per colpa può giungere fino all’obbligo di rinunciare alla gita stessa o di desistere dal raggiungere la vetta in relazione alle mutate condizioni meteorologiche o nell’ipotesi di difficoltà sopravvenute che non consentirebbero di concludere la gita in sicurezza. In concreto è possibile quindi individuare la colpa nella violazione delle norme cosiddette precauzionali, di tutte quelle norme cioè che si possono desumere dall’esperienza e che sono prevedibili ed evitabili dalla Guida modello”; in rete http://www.aineva.it/pubblica/neve46/guide3.html

[18] Riscontro in tal senso in D. Carusi, Forme di responsabilità e il danno, in N. Lipari, P. Rescigno, La responsabilità e il danno, Milano, 2009, 480: “caso fortuito è il fatto estraneo alla sfera di controllo del custode: nel significato tradizionale, cui deve ritenersi che il legislatore abbia fatto riferimento, dimostrare il caso fortuito significa fornire la prova positiva dell’evento inevitabile ed imprevedibile (per esempio il fenomeno atmosferico eccezionale in relazione alla stagione e al luogo; non invece l’accadimento ragionevolmente ipotizzabile e perciò suscettibile di essere prevenuto o neutralizzato) per effetto della quale la cosa ha provocato il danno)”.

[19] L.Lenti, cit., 414.

[20] Come asserito in precedenza, la guida alpina delle essere a conoscenza della peculiarità del luogo: tale circostanza concorre a ingenerare l’affidamento da parte dei clienti.

[21] Si pensi alla ipotesi in cui il rapporto gestore dell’area sciabile – sciatore venga inquadrato in un rapporto professionista-consumatore; un approccio in questi termini, concretamente, comporterebbe la possibilità che controversie in materia sciistica possano essere trattate da qualsiasi tribunale dello Stato.


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Filippo Marco Maria Bisanti

Dottore magistrale in Giurisprudenza - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Dottore in Operatori della Sicurezza Sociale - Facoltà di Scienze Politiche - Università degli studi Cesare Alfieri di Firenze; Diplomato alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali - Università Guglielmo Marconi di Roma; Esito positivo del tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/2013, conv. in l. 98/2013, svolto presso la Sezione Penale del Tribunale Ordinario di Trento (dicembre 2014-giugno 2016); Cultore della materia presso la cattedra di Diritto civile dell’Università degli Studi di Trento, Cultore della materia presso la cattedra di Istituzioni di diritto privato dell’Università di Trento

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