I limiti all’operatività dell’immunità parlamentare prevista dall’art. 68, co. 1, della Costituzione

I limiti all’operatività dell’immunità parlamentare prevista dall’art. 68, co. 1, della Costituzione

Sommario: 1. Introduzione – 2. Natura giuridica delle immunità – 3. L’Immunità parlamentare prevista dall’art. 68, co. 1, della Costituzione – 4. La nota sentenza della Corte Costituzionale n. 59/2018 – 5. Conclusioni

 

 

1. Introduzione

Dopo il periodo fascista, durante il quale le libertà civili e politiche furono soppresse e la funzione del Parlamento fu snaturata, la Costituzione, adottata il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1°gennaio del 1948, introdusse l’art. 68, comma I al fine di garantire che il Parlamento potesse svolgere il proprio ruolo, al riparo da aggressione o ingerenze. Lo scopo era quello di proteggere il Parlamentare non uti singuli bensì come componente dell’Assemblea espressiva della volontà popolare, onde consentire a questa di funzionare.

Tuttavia, nel corso degli anni da un lato le Camere hanno tentato di ampliare l’applicazione dell’insindacabilità per le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni, dall’altro la Magistratura ha cercato di delimitare l’ambito di applicazione di tale immunità. A conferma di ciò vi sono i numerosi conflitti di attribuzione sollevati dinanzi alla Corte Costituzionale che nel corso del tempo ha definito i limiti di operatività dell’art. 68, comma I Cost. al fine di evitare che quella che è una prerogativa, introdotta a garanzia della democrazia, possa essere strumentalizzata e diventare privilegio[1].

2. Natura giuridica delle immunità

Principio fondamentale dell’ordinamento giuridico è quello dell’obbligatorietà della legge penale italiana che trova espressione nell’art. 3 comma 1 del codice penale. Esso implica che le norme penali trovino applicazione all’interno dello Stato in modo indistinto a tutti coloro che ivi si trovano senza che rilevino la nazionalità o le condizioni personali del reo, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale. Queste eccezioni rientrano nell’ampia categoria delle immunità che rappresentano situazioni disomogenee quanto alla ratio, al contenuto e alla fonte, accomunate dall’effetto finale di sottrarre il reo all’applicazione della legge penale, ovvero al potere di coercizione dello Stato.

In base alla fonte, si distinguono immunità previste dal diritto interno e immunità previste dal diritto internazionale in virtù dell’art. 10 della Costituzione, comma 1, secondo cui l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.

In relazione all’oggetto, si distinguono immunità assolute che comprendono qualsiasi reato commesso senza distinzione tra attività compiuta nell’esercizio della funzione e attività extrafunzionale e immunità  a carattere relativo che operano per i soli reati commessi in costanza di una carica. Le immunità assolute impediscono l’applicazione della pena e di ogni altra conseguenza penale anche dopo il cessato esercizio della funzione.

In relazione all’efficacia, si distinguono immunità sostanziali e processuali: le prime riguardano l’attività funzionale ed escludono la punibilità per gli atti compiuti; le seconde attengono all’attività extrafunzionale e consistono nella frapposizione di ostacoli all’esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei soggetti che godono dell’immunità.

Dibattuta è la natura giuridica dell’immunità. Secondo la tesi monistica, la natura giuridica è unica per tutte le tipologie di immunità, individuata poi da taluni nelle cause di giustificazione, da altri nelle cause personali di esclusione della pena.

Secondo la tesi pluralistica, all’interno della categoria dell’immunità sono ricomprese una pluralità di specie aventi diversa natura.

La più recente giurisprudenza aderisce all’orientamento che afferma che esse hanno la natura di cause personali di esclusione della pena; quindi, esse lasciano sussistere l’illecità penale del fatto e, in caso di concorso di persone nel reato, troverà applicazione l’art. 119 comma 1 c.p. che non consente ai concorrenti di beneficiare delle circostanze soggettive che escludono le pene per taluno dei concorrenti.

3. L’Immunità parlamentare prevista dall’art. 68, co. 1, della Costituzione

Un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale è sorto con riguardo all’immunità parlamentare di cui all’art. 68, comma I della Costituzione. Tale previsione mira a garantire il libero esercizio della funzione parlamentare e a rafforzare il divieto di mandato imperativo previsto dall’art. 67 della Costituzione.

Con riguardo alla natura dell’immunità parlamentare nel corso degli anni si sono succeduti diversi orientamenti.

Secondo una ricostruzione (oggi superata), essa doveva essere configurata come causa di giustificazione da ricondurre all’ipotesi del legittimo esercizio di un diritto ex art. 51 c.p.. Alla luce di tale tesi, con riguardo ai casi di diffamazione per affermazioni lesive dell’altrui reputazione fatte dal parlamentare durante un’intervista, si riteneva che il beneficio dell’immunità fosse estendibile anche al concorrente.

Successivamente l’orientamento è mutato ed è stata riconosciuta all’immunità la natura di causa di esclusione della punibilità non applicabile ai concorrenti.

Ampiamente dibattuta è anche la questione circa i limiti dell’applicabilità dell’immunità parlamentare.

In passato erano emerse due tesi. Secondo un orientamento restrittivo nell’immunità rientravano le opinioni espresse nell’esercizio di atti istituzionali tipici, riconosciuti come propri della funzione parlamentare. Altra tesi estensiva affermava che la garanzia copriva ogni manifestazione del pensiero, anche se atipica, posta in essere nell’ambito dei rapporti generali con l’opinione pubblica.

Nel 2003 viene adottata la legge n. 140 il cui art. 3, comma 1 da’ attuazione all’art. 68 della Costituzione. La predetta norma prevede che l’immunità deve applicarsi non soltanto agli atti tipici, quali le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari tipiche ma anche ad ogni altro atto atipico di divulgazione, di denuncia politica, di ispezione o di critica, espletata al di fuori della sede parlamentare purchè siano connessi alla funzione istituzionale.

La genericità della formula legislativa ha comportato la necessità di un intervento chiarificatore della Corte Costituzionale che ha delineato, con più pronunce, i limiti di operatività dell’immunità parlamentare.

La Corte costituzionale ha precisato che la garanzia contemplata dall’art. 68 Cost. riguarda prettamente i reati di opinione (come la diffamazione e l’ingiuria). Invero, il Giudice delle Leggi, nell’indicare il criterio discretivo tra atti funzionali e atti extrafunzionali, ritiene che occorre far riferimento alla qualificazione che si rinviene nei regolamenti parlamentari. Ne consegue che non possono essere esenti dal giudizio penale le fattispecie di reato che non trovano classificazione nelle norme interne regolamentari come la corruzione, lo scambio politico-elettorale ecc[2].

Con particolare riguardo alle dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia, affinchè possa operare l’immunità per connessione funzionale alle attività parlamentari occorrono due requisiti: un legame di ordine temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna, tale che questa venga ad assumere una finalità divulgativa della prima; una sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni e gli atti esterni.

Il nesso funzionale deve consentire agevolmente di ricondurre le dichiarazioni del parlamentare ad un’attività politica che lo stesso vuole divulgare al di fuori dell’aula parlamentare. Quindi, il parlamentare non può usufruire dell’immunità per attacchi personali ai suoi avversari che non hanno a che vedere con le questioni di natura politica su cui lo stesso è chiamato ad esprimere la sua opinione dentro e fuori al Parlamento.

4. La nota sentenza della Corte Costituzionale n. 59/2018

Particolarmente significativa è stata la pronuncia della Corte Costituzionale del 2018[3] sul caso Calderoli. Il caso è nato a seguito della diffusione, tramite organi di stampa, di alcune affermazioni ingiuriose pronunciate dal senatore Calderoli all’indirizzo della Ministra all’integrazione e per le quali era stato promosso procedimento penale dinanzi al Tribunale di Bergamo. Quest’ultimo sollevò conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte Costituzionale sostenendo che la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, nell’ammettere l’operatività dell’immunità non si era limitata a verificare la sussistenza del nesso funzionale tra le opinioni espresse dal parlamentare e l’esercizio delle funzioni, ma si era spinta nella qualificazione giuridica del fatto, prerogativa del potere giudiziario.

La Corte Costituzionale, nell’accogliere il ricorso e annullare la delibera della Giunta delle Immunità, ha evidenziato che le opinioni espresse dal senatore non sono collegate da un nesso funzionale con l’esercizio dell’attività parlamentare, dato che una dichiarazione resa fuori aula può ritenersi collegata all’esercizio del mandato politico solo se costituisce una riproduzione dei contenuti tipici della funzione parlamentare.

La Corte non si è limitata a ribadire l’assenza del nesso funzionale ma ha precisato altresì che l’uso di espressioni sconvenienti non può essere ritenuto esercizio delle funzioni istituzionali dal momento che la garanzia di cui all’art. 68 comma 1 Cost. non può estendersi fino al punto di ricomprendere gli insulti solo perché collegati ad una battaglia politica condotta dal parlamentare.

Tale limite opera anche per le dichiarazioni rese in aula parlamentare attesa la necessità di tutelare i diritti fondamentali della persona oggetto di tali dichiarazioni. Nella predetta sentenza la Corte Costituzionale, infatti, afferma che le offese, l’ingiuria, gli insulti, anche se usati nell’ambito dell’agire parlamentare, non possono considerarsi ricompresi nell’art. 68 Cost. comma I Cost. in quanto queste espressioni non sono qualificabili come opinioni né come esercizio di funzioni parlamentari.

5. Conclusioni

La soluzione fornita dalla Corte Costituzionale appare pienamente condivisibile atteso che ove si facessero rientrare nella garanzia dell’immunità parlamentare anche le offese o le ingiurie, si rischierebbe di trasformare un istituto, introdotto dal Costituente per garantire l’indipendenza del parlamentare in un mero privilegio, con l’ulteriore pericolo di un suo uso distorto a discapito dei diritti fondamentali altrui, tra cui la dignità, diritto inviolabile ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.

 

 

 


FUMU G., VOLPI M., Le immunità penali della politica, 2012;
GAROFOLI R., Manuale superiore di diritto penale. Parte generale, 2020
MASERA L., Immunità della politica e diritti fondamentali. I limiti all’irresponsabilità penale dei ministri, 2020.

[1] Corte Cost., ordinanza n. 69/2020.
[2] Corte Cost., sentenza n. 120 /2004, depositata il 16/04/2004; si veda anche Cass. Pen., sez. VI , 24 LUGLIO 2017, N. 36769.
[3] Corte Cost. , sentenza n. 59/2018 , depositata il 23/03/2018.

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