I nuovi poteri “rescindenti” del Tribunale del Riesame

I nuovi poteri “rescindenti” del Tribunale del Riesame

Al fine di assicurare il rispetto dell’obbligo di autonoma motivazione dell’ordinanza cautelare la Legge n. 47/2015 – attraverso l’articolo 11 comma 3[1] – è intervenuta sul nono comma dell’articolo 309 c.p.p. – nel quale sono contenuti i poteri del giudice del riesame – imponendo al Tribunale di annullare sia l’ordinanza coercitiva priva di motivazione, sia il provvedimento de liberate non contenente l’autonoma valutazione, condotta a norma dell’articolo 292 comma 2, lettere c) e c-bis) c.p.p., degli indizi di colpevolezza, delle esigenze cautelari e degli elementi forniti dalla difesa.

Già prima della riforma del comma nono, l’articolo 309 c.p.p. – consentendo alla persona sottoposta ad attività di indagine ovvero all’imputato di proporre richiesta di riesame “anche nel merito” ed attribuendo al Tribunale il potere di annullare, riformare oppure confermare il provvedimento cautelare impugnato – dava per scontato che il giudice del riesame potesse dichiarare nullo l’atto impugnato.

Dubbi sorgevano relativamente ai limiti entro i quali il Tribunale potesse operare in veste di giudice di legittimità: difatti, mentre era ritenuta pacifica la possibilità di ricorrere all’annullamento in presenza di patologie contenutistiche o procedurali gravi del provvedimento impugnato, controversa era la possibilità per il giudice del riesame di annullare il provvedimento cautelare in caso di motivazione mancante, apparente, manifestamente illogica o più in generale non rispondente ai requisiti richiesti dall’articolo 292 c.p.p.. La dottrina maggioritaria[2] escludeva che all’interno del potere – dovere di annullamento attribuito al Tribunale del riesame dall’articolo 309 comma 9 c.p.p. potesse rientrarvi la possibilità per il giudice di annullare l’ordinanza coercitiva per vizi di motivazione: quest’ultimo poteva e quindi doveva integrare e completare la motivazione carente o insufficiente dell’ordinanza coercitiva[3] . Anche la prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione[4] si assestava su questa linea interpretativa: i Supremi Giudici avevano sostenuto che il potere di annullamento spettasse solo alla Corte, ben potendo il Tribunale del riesame integrare la motivazione del provvedimento impugnato quando non fosse stato rispettato il disposto dell’articolo 292 c.p.p.[5] ed altresì qualora i contenuti argomentativi fossero integralmente assenti, ossia quando la motivazione non fosse esistita affatto[6]. Solo in assenza della motivazione richiesta dall’articolo 292 c.p.p. i giudici della Corte di Cassazione erano giunti – col passare del tempo – ad ammettere la possibilità per il giudice del riesame di annullare il provvedimento cautelare: al Tribunale era stato negato ogni potere di integrazione dell’impianto argomentativo se l’ordinanza fosse radicalmente assente, apparente, mancante in senso grafico o consistente in una mera clausola di stile, priva di qualsivoglia consistenza argomentativa[7]; restava possibile l’integrazione della motivazione se questa fosse “solamente” illogica o incompleta per violazione delle disposizioni ex art. 292 c.p.p.. Conseguentemente, siffatta giurisprudenza ammetteva il ricorso immediato in Cassazione, per violazione di legge, contro l’ordinanza coercitiva solo al cospetto di motivazione apparente, assente o priva dei requisiti minimi di coerenza e logicità e non anche nei casi in cui essa fosse illogica, incompleta o insufficiente[8]. Dottrina[9] e giurisprudenza minoritaria[10], in palese contrasto con l’orientamento fin qui evidenziato, sostenevano invece che nessuna decisione alternativa all’annullamento potesse essere adottata dal Tribunale del riesame in presenza di vizi di legittimità della motivazione non attinenti al merito.

La modifica apportata dalla Legge n. 47/2015, risolvendo il delineato contrasto interpretativo, impone ora al giudice del riesame di annullare il provvedimento impugnato nel caso in cui la motivazione sia mancante ovvero se non contenente l’autonoma motivazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa del destinatario della cautela personale, non consentendo così al Tribunale che si trova investito dell’impugnazione di integrare la motivazione carente dell’ordinanza coercitiva.[11] Il novellato articolo 309 comma 9 c.p.p. prevede ora che “entro dieci giorni dalla ricezione degli atti il tribunale, se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma e conferma l’ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza. Il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”.

La modifica legislativa – a prescindere dal difetto macroscopico della mancanza di motivazione in senso grafico[12] – appare coerente con la novella riguardante le lettere c) e c-bis) del comma 2 dell’articolo 292 c.p.p., la cui violazione non potrà più essere arginata con interventi suppletivi da parte del riesame sulla base dei poteri indicati al citato comma, secondo cui l’organo del riesame può confermare il provvedimento per ragioni diverse da quelle nella motivazione[13]. Il legislatore, facendosi portatore degli spunti provenienti da una parte della dottrina[14] e dalla giurisprudenza minoritaria della Corte di Cassazione ha previsto, quindi, accanto all’obbligo in capo al giudice di effettuare una valutazione autonoma sui punti della decisione di cui si è detto in precedenza, un correlato potere (e dovere) del tribunale adito (ex art. 309 c.p.p.) – salvo che per la valutazione sulla scelta della misura custodiale in carcere – di verifica del rispetto della norma, con la sola possibilità di annullare (e non più, si badi bene, di integrare) il provvedimento de libertate nel caso in cui venga ravvisato un appiattimento acritico del giudice sulla parte pubblica, sia nei riguardi del percorso valutativo che di quello motivazionale.

Riassumendo, alla luce delle modifiche intervenute si ha nullità insanabile e di conseguenza il giudice del riesame non potrà integrare l’ordinanza:

  1. se nel provvedimento manca in senso grafico qualsivoglia motivazione in relazione ai requisiti del titolo cautelare;

  2. se la motivazione è apodittica o solo apparente su taluno dei presupposti della misura;

  3. se fa difetto un’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, delle specifiche esigenze di cui all’articolo 274 c.p.p. o delle ragioni per le quali si sono ritenuti irrilevanti gli elementi indicati dalla difesa.

Il Tribunale del riesame potrà invece attivare i poteri integrativi a fronte di motivazione insufficiente.Giova qui rilevare come il confine tra motivazione apparente e motivazione insufficiente sia labile: ciò può rendere arduo per il giudice del gravame stabilire se in concreto quest’ultimo abbia emendato legittimamente o meno il vizio di motivazione dell’ordinanza genetica impugnata.

I primi commenti[15] della nuova disposizione di legge sono concordi nel ritenere che il legislatore si sia limitato ad attribuire una veste normativa a posizioni giurisprudenziali già consolidate sotto la precedente disciplina: l’obbligo di annullamento delle ordinanze mancanti di motivazione autonoma non farebbe altro che riprodurre quell’indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione[16] che impediva al Giudice del riesame di integrare i contenuti del provvedimento de libertate allorquando la motivazione di quest’ultimo fosse assente, radicalmente apparente o comunque sfornita di sostanza argomentativa. La previsione dell’obbligo di annullare le ordinanze prive dell’autonoma valutazione, imposta dall’articolo 292 c.p.p., delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa – si è sostenuto[17] –  non farebbe altro che riprendere a sua volta quell’orientamento[18] incline a non ritenere integrabile da parte del giudice dell’impugnazione l’ordinanza cautelare qualora il giudice della cautela, recependo integralmente il contenuto di un altro atto del procedimento ovvero rinviando a questo, si fosse limitato ad impiegare mere clausole di stile o frasi apodittiche senza preoccuparsi di attribuire considerazione alcuna alle ragioni per le quali aveva ritenuto di fare proprio il contenuto dell’atto recepito o richiamato ossia per il  quale comunque lo aveva considerato coerente rispetto alla decisione assunta. Lettura confermata di recente dalla Suprema Corte[19] la quale ha ritenuto che la nuova formulazione del nono comma dell’articolo in analisi non impedisce comunque al Tribunale di integrare la motivazione del provvedimento gravato anche per ragioni diverse da quelle indicate dalla motivazione del provvedimento stesso, stante la natura interamente devolutiva dell’istanza ex art. 309, fermo restando il potere – dovere del giudice del riesame di annullare, invece, l’ordinanza cautelare se questa non contiene una autonoma valutazione degli indizi, delle esigenze cautelari e degli elementi forniti dalla difesa.

La rilevabilità d’ufficio dei menzionati vizi dell’ordinanza cautelare è prevista esclusivamente per le nullità di cui al comma 2 lett. c) e c-bis) e non per la nullità di cui al comma 2 -ter. Da ciò, seguendo il dato letterale, si ricaverebbe un diverso regime delle due tipologie di nullità: la prima a regime intermedio, la seconda di carattere relativo. Tale ricostruzione, seppur coerente col dato normativo, darebbe luogo da un lato ad un’evidente disarmonia nella disciplina sanzionatoria dei vizi di motivazione tra loro omogenei e dall’altro ad una contraddizione difficilmente sanabile in caso di mancata valutazione degli “elementi forniti dalla difesa”, contemplati sia dalla lettera c-bis) – che prevede la rilevabilità anche d’ufficio – che dal comma 2 -ter dell’art. 292 c.p.p. – che prevede la rilevabilità soltanto su iniziativa di parte -. In dottrina[20] si è ritenuto che l’intenzione del legislatore, pur disarmonicamente realizzata, fosse quella di obbligare il giudice a valutare tutto il materiale a lui pervenuto, a carico ed a favore del destinatario della cautela, di tal che le previsioni di cui al comma 2 lett. c-bis) e 2 -ter devono ritenersi “semplici” specificazioni dell’obbligo generale di motivazione sancito dal comma 2 lett. c), perfettamente parificate tra loro quanto a regime sanzionatorio e dunque tutte rilavabili d’ufficio dal giudice.

A complicare ulteriormente il delineato quadro normativo si è aggiunta la previsione, inserita dalla Legge n. 47/2015, con la quale è stato impedito al Tribunale del riesame di sanare i vizi legati alla mancata motivazione degli elementi forniti dalla difesa. L’attuale disciplina attribuisce quindi un differente peso alle lacune argomentative che riguardano gli elementi forniti dalla difesa – nell’alveo dei quali possono ricomprendersi gli elementi frutto di indagini difensive – rilevabili anche d’ufficio e insanabili da parte del giudice dell’impugnazione, rispetto ai vizi di motivazione che riguardano gli elementi a carico oppure a favore del destinatario del provvedimento emergenti dalle indagini della pubblica accusa che sono rilevabili su istanza di parte.

Prima di concludere va osservato che, all’interno del panorama scientifico ci si è interrogati circa l’ammissibilità di una modifica in peius del provvedimento cautelare da parte del giudice di seconda istanza. Va premesso che il Codice di Procedura Penale, tratteggiando i poteri decisori e cognitori del giudice del riesame con maggior chiarezza rispetto al Codice Rocco, ha da un lato descritto la tipologia dei provvedimenti adottabili a seguito della richiesta di riesame del provvedimento[21] e dall’altro ha permesso al Tribunale di assumere la sua decisione senza particolari vincoli cognitivi, prevedendo che l’ordinanza ( a norma dell’articolo 309, comma 9, c.p.p.) possa essere annullata o revocata anche per motivi differenti rispetto a quelli contenuti nella richiesta di riesame oppure essere confermata sulla base di motivazioni diverse da quelle poste in origine alla base del provvedimento. Risulta evidente che una cognizione così estesa, consentita dalla tipologia di controllo “anche nel merito” che il Tribunale opera ed all’assenza di vincoli ispirati alla logica del “tantum devolutum quantum appellatum”, rende il giudizio ex articolo 309 c.p.p. immune da condizionamenti legati alle richieste formulate dalle parti, imponendo al giudice del riesame una completa rivisitazione degli atti offerti da accusa e difesa per giustificare la presenza ovvero l’assenza dei presupposti e delle esigenze cautelari necessari per disporre la misura cautelare.Il problema che ora si pone è legato alla possibilità o meno per il decidente, nell’esercizio dei sui poteri, di modificare in peius l’ordinanza cautelare oggetto di impugnazione da parte del solo imputato ovvero della solo persona sottoposta ad attività di indagine, non essendo stata la delineata problematica affrontata dal legislatore della Riforma.Dottrina e giurisprudenza[22] sembrerebbero propense a ritenere che il giudice del gravame non possa peggiorare il trattamento cautelare previsto dal giudice disponente la cautela personale: si è infatti osservato[23] che anche alla disposizione in analisi sia possibile applicare in via analogica il divieto di reformatio in peius contenuto nell’art. 597 c.p.p.[24] previsto per i giudizi di appello. Ciò dovrebbe far propendere per una lettura “garantistica” dell’articolo 309 c.p.p.: al giudice sarebbe quindi possibile annullare o modificare il provvedimento cautelare solo in senso favorevole al destinatario dell’ordinanza cautelare. Nella stessa direzione si porrebbe inoltre il fatto che il giudizio ex art. 309 c.p.p. esprima un “puro rimedio a funzione difensiva”[25], non essendo infatti esperibile dalla pubblica accusa (la quale dovrà presentare invece appello).


[1] Che così dispone: “Al comma 9 dell’articolo 309 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa»”.

[2] Tra gli altri si veda: Amato G., sub Artt. 308-309, in “Commentario del nuovo codice di procedura penale”, a cura di E. Amodio e O. Dominioni, Milano, 1990; G.P. Voena, “Atti”, in Profili del nuovo codice di procedura penale, a cura di G. Conso- V. Grevi, Padova, 1996.

[3] Così si esprime Lozzi G., “Lezioni di procedura penale”, Milano, 2014.

[4] Cass. Pen., Sez. II, 30 novembre 2011, n. 7967, rv. 252222, in CED Cass. Pen., 2012 secondo cui “Il tribunale del riesame non può annullare il provvedimento cautelare impugnato ravvisando difetto di motivazione, potendo il solo giudice di legittimità pronunciare il relativo annullamento per tale vizio, ma deve provvedere integrativamente ad un’autonoma valutazione del quadro indiziario già conosciuto dal giudice delle indagini preliminari”. In senso conforme, tra le altre: Cass. Pen, Sez. III, 2 febbraio 2011, n. 15416, rv. 250306, in CED Cass. Pen., 2011; Cass. Pen., Sez. VI, 16 gennaio 2006, n. 8590, rv. 233499, in CED Cass. Pen., 2006.

[5] Cass. Pen., Sez. V, 7 dicembre 2006, n. 3255, rv. 236036, in CED Cass. Pen., 2006 secondo la quale “è illegittima la decisione con cui il Tribunale del riesame annulli l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. per vizio motivazionale conseguente alla violazione dell’art. 292, comma secondo, lett. c) cod. proc. pen., considerato che l’ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, con la conseguenza che la motivazione del tribunale del riesame integra e completa l’eventuale carenza di motivazione del primo giudice. Ne deriva, anche in considerazione dell’effetto interamente devolutivo che caratterizza il riesame delle ordinanze applicative di misure cautelari, che il tribunale del riesame – cui è conferito il potere di annullare, riformare o confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle in esso indicate – può sanare con la propria motivazione le carenze argomentative del provvedimento oggetto di riesame, integrandone la motivazione”. In senso conforme, tra le altre, Cass. Pen., Sez. III, 2 febbraio 2011, n. 15416, rv. 250306, in CED Cass. Pen., 2016.

[6] Cass. Pen., Sez. II, 4 dicembre 2006, n. 1102, rv. 235622, in CED Cass. Pen., 2007 secondo cui “atteso l’effetto interamente devolutivo che caratterizza il riesame delle ordinanze applicative di misure cautelari, deve ritenersi che il tribunale del riesame possa sopperire, con la propria motivazione, non solo all’insufficienza o contraddittorietà della motivazione del provvedimento genetico della misura, ma anche alla sua totale mancanza o mera apparenza, esplicitando, per la prima volta, le ragioni giustificative della misura cautelare adottata”.

[7] Cass. Pen., Sez. II, 4 dicembre 2013, n. 12537, rv. 259554, in CED Cass. Pen., 2014, secondo cui “il potere-dovere attribuito al giudice del riesame dall’art. 309, comma nono, ultima parte, cod. proc. pen., di confermare le ordinanze coercitive impugnate “per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso” non è esercitabile allorquando la motivazione di quest’ultimo sia radicalmente assente o meramente apparente, dovendo, in tali ipotesi, essere rilevata la nullità del provvedimento impugnato per violazione di legge”.

[8] Cass. Pen., Sez. VI, 19 aprile 2012, n. 18728, rv. 252645, in CED Cass. Pen., 2012.

[9] Ceresa- Gastaldo M., “Il riesame sulla legittimità dell’ordinanza cautelare: cade il teorema della motivazione integratrice”, in Cass. Pen., nn. 7-8, 1995.

[10] Cass. Pen. Sez. II, 4 dicembre 2012, n. 12537, rv. 259554, in CED Cass. Pen., 2014.

[11]  Pazienza V., Fidelbo G. (a cura di), “Le nuove disposizioni in materia di misure cautelari”, Relazione n. III/03/2015 Ufficio Massimario Corte di Cassazione, in www.penalecontemporaneo.it, 2015 sostiene che se il Tribunale del riesame, nelle ipotesi regolate dal nuovo comma 9 dell’articolo 309 c.p.p., provvede ad integrare la motivazione carente dell’ordinanza coercitiva, anziché decretarne l’annullamento, la Suprema Corte di Cassazione debba procedere ad annullamento senza rinvio.

[12] In questo senso si esprime Borelli P., “Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali”, in www.penalecontemporaneo.it, 3 giugno 2015.

[13] La Commissione Ministeriale aveva proposto l’abrogazione della disposizione che permette questa possibilità.

[14] Secondo Marzaduri E., “ Le linee di riforma delle impugnazioni de libertate”, in www.penalecontemporaneo.it, 3 ottobre 2014 la teoria che vede nel riesame un vero e proprio nuovo giudizio che può sovrapporsi a quello dell’ordinanza impugnata conduce ad un risultato paradossale in quanto “con l’impugnazione l’imputato ristretto in base ad un titolo inadeguatamente motivato non solo non ottiene la dichiarazione di nullità ex art. 292 comma 2 lett. c) e c-bis) (pur trattandosi di invalidità espressamente dichiarata dalla legge come rilevabile d’ufficio), ma finisce per fare un ‘favore’ al giudice emittente, in soccorso del quale interviene, proprio grazie al riesame, il tribunale, che consolida così l’azione cautelare. Sembra così realizzarsi una sorta di delega al giudice del controllo rispetto agli obblighi che non possono non essere adempiuti dal giudice che dispone la misura restrittiva”

[15] Si vedano: Pazienza V., Fidelbo G. (a cura di), “Le nuove disposizioni in materia di misure cautelari”, Relazione n. III/03/2015 Ufficio Massimario Corte di Cassazione, in www.penalecontemporaneo.it; Bricchetti R., Pastorelli L., “Valutazione autonoma del quadro indiziari da parte del giudice”, in Guida Dir., n. 20, 2015; Musio C., “Motivazione cautelare lacunosa e poteri del tribunale del riesame: una (probabile) modifica legislativa”, in www.penalecontemporaneo.it, 2014.

[16] Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 4 dicembre 2013, n. 12537, rv. 259554, in CED Cass. Pen., 2014.

[17] Caprioli F., “Motivazione dell’ordinanza cautelare e poteri del giudice del riesame”, in La riforma delle misure cautelari personali, a cura di Giuliani L., Torino, 2015.

[18] Cass. Pen., Sez. VI, 4 marzo 2014, n. 12032, rv. 259462, in CED Cass. Pen., 2014, secondo la quale “il potere dovere del tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera, oltre che nel caso di carenza grafica, anche quando l’apparato argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento, o nel rinviare a questo, si sia limitato all’impiego di mere clausole di stile o all’uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell’atto recepito o richiamato, o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni”.

[19] Cass. Pen., sez. VI, 22 ottobre 2015, n. 44433, in Guida dir., 2016.

[20] Giostra V. G., “Sul vizio di motivazione dell’ordinanza cautelare ovvero sul degrado della tecnica legislativa”, in Cass. Pen., n. 9, 1995.

[21]  Il giudice può pronunciarsi con una declaratoria di inammissibilità, di annullamento oppure può confermare o riformare il provvedimento impugnato.

[22] Cass. Pen., Sez. I., 27 aprile 1993, in Mass. Pen. Cass., 1994; Tribunale di Salerno, Riesame, 04 febbraio 2011, in Redazioni Giuffrè, 2011 secondo cui “in fase di riesame vige il principio del divieto della ”  reformatio in peius” così che, una volta individuata una precisa misura coercitiva e rilevata l’inadeguatezza di essa ai fini del soddisfacimento di una riconosciuta esigenza che sarebbe tutelabile con una misura diversa e più gravosa per l’imputato, è preclusa una modifica che si traduca in un aggravamento della posizione cautelare del ricorrente, sia che tale aggravamento consista nella sostituzione della misura applicata con altra più grave e sia che consista nell’imporre modalità esecutive più gravose alla misura cautelare originariamente disposta”.

[23] Zappalà E., “Le misure cautelari personali”, in Siracusano D., Galati A., Tranchina G., Zappalà E. Diritto processuale penale, I Edizione, Milano 2011; Garavelli M., “Riesame dei provvedimenti limitativi della libertà personale”, in Enc. Dir., XL Edizione, Milano, 1989.

[24] Il comma 3 prevede che “Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado”.

[25] Così si esprime Cordero F., “Procedura penale”, IX Edizione, Milano, 2012 secondo cui per giungere a questa soluzione non è necessario estendere analogicamente l’art. 597 c.p.p..


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