I profili problematici del contratto normativo interno ed esterno

I profili problematici del contratto normativo interno ed esterno

A volte nel corso delle trattative si inseriscono negozi giuridici preparatori (c.d. vincoli precontrattuali) con cui le parti assumono impegni o, in qualche misura, obblighi in relazione ad una futura stipulazione contrattuale. Tali negozi costituiscono veri e propri limiti convenzionali all’autonomia negoziale, variamente incidenti sull’esplicazione della stessa. Sotto il profilo funzionale, sono individuabili tre tipologie di vincoli precontrattuali: la proposta irrevocabile (art. 1329 c.c.), l’opzione (art. 1331 c.c) nonché il patto di prelazione.

Il contratto normativo è un contratto mediante il quale le parti determinano preventivamente il contenuto di uno o più contratti che eventualmente stipuleranno in futuro, senza impegnarsi alla conclusione dei medesimi. Esso è considerato, dalle nostre corti, una figura atipica, radicata sul principio di autonomia di cui all’art. 1322 c.c. Al contratto normativo si fa riferimento in occasione della trattazione ora degli effetti contrattuali, ora della formazione progressiva del consenso (nell’ambito della fase delle trattative). Questa semplice considerazione in ordine alla tendenziale variabilità della sua “topografia espositiva” mostra, di per sé, la problematicità dell’istituto in esame. Anzitutto è opportuno precisare che, sebbene parte della dottrina preferisca parlare di “accordo”, piuttosto che di “contratto” normativo (sganciando, dunque, la convenzione da un qualsiasi profilo di meritevolezza), appare preferibile considerare l’istituto “de quo” un vero e proprio contratto. Pertanto, esso va ricondotto, nelle cornice normativa dell’art. 1321 c.c., tra gli accordi che servono per regolare i rapporti giuridici patrimoniali. Gli effetti di tale contratto non sono meramente endoprocedimentali, ma anche sostantivi: è volto, cioè, all’utilità pratica del superamento, globale o parziale, delle trattative.

Si tende normalmente a sottolineare la distanza tra contratto normativo interno ed esterno.

Il primo è quello in cui le parti coincidono con le parti dei futuri contratti, da essi regolati. Ricorre soprattutto fra le parti coinvolte in una relazione economica complessa e di lunga durata, la cui attuazione implica che esse concludano, nel corso del tempo, numerosi contratti aventi il medesimo oggetto o oggetti coordinati. Al momento di concludere ciascuno di questi singoli contratti, le parti ne conformeranno il regolamento su quanto previsto dal contratto normativo, perché sono tenute a farlo: si pensi a certi rapporti fra imprese fornitrici di beni e servizi, e loro clienti abituali. L’esigenza sottesa al contratto in questione è data dalla riduzione dei tempi e dei costi delle trattative. I principali problemi di contratti normativi interni concorrono sul filo della differenza fra obbligo di contrarre e obbligo di contrarre a determinati contenuti. In linea di principio, essi creano il secondo obbligo, e non il primo. Nel contratto normativo le parti sono libere di stipulare o meno i futuri contratti particolari, obbliga, piuttosto, a stipulare a determinati contenuti.  Diverso è il caso del contratto preliminare, del contratto di opzione o della proposta irrevocabile: da essi nasce un diritto potestativo al perfezionamento del contratto. Dunque, il rifiuto di stipulare un contratto particolare è un atto, in sé, astrattamente legittimo, a meno che tale rifiuto non possa interpretarsi come un modo surrettizio per violare l’accordo normativo (cioè, per non stipulare alle condizioni previste dal contratto normativo). Secondo parte della dottrina, la violazione del vincolo di prefigurazione determinerebbe una responsabilità precontrattuale, come tale limitata, in linea di principio, all’interesse negativo. Questa impostazione non tiene conto del “quid pluris” rappresentato dal fatto che, con il perfezionamento del contratto normativo, deve ritenersi esaurita e superata la fase delle trattative. Pertanto, nell’ottica qui tratteggiata, altra parte della dottrina parla di questa fattispecie come una “zona grigia” tra responsabilità precontrattuale e contrattuale. L’interesse che può essere risarcito si pone “a metà strada” tra l’interesse “positivo” e l’interesse “negativo” comunemente intesi. Si tratta, infatti, pur sempre dell’interesse positivo all’attuazione del contratto debole: sicché è in gioco, non già il fisiologico esercizio del diritto a non concludere il contratto particolare, ma bensì lo sviamento nei fini di questa libertà. L’esercizio del diritto di rifiuto, ove strumentalmente orientato ad indurre la controparte a riaprire una trattativa convenzionalmente chiusa, esporrà ad una responsabilità contrattuale per violazione del precetto di prefigurazione, che in un certo senso integra un particolare interesse positivo. In tal caso, l’ingiusto rifiuto di addivenire al contratto particolare, integrando un abuso del diritto all’autodeterminazione nell’esercizio dell’iniziativa economica, vulnera non già un rapporto meramente endoprocedimentale, ma un rapporto di prefigurazione che ha già, per le parti, un effetto anche sostantivo. E’ per questo che il rifiuto esporrà al risarcimento dell’interesse positivo tutte le volte che, in violazione del principio di buona fede (di cui all’art 1375 c.c.), emerga che tale condotta risulti sviata nei fini che l’ordinamento tutela. La buona fede, per converso, impone altresì il dovere di ricontrattazione della regola di prefigurazione ogni qual volta vengano in rilievo sopravvenienze tali da giustificare il riesame di quanto stabilito. In definitiva, il contratto normativo interno, alla luce delle pregresse considerazioni e del suo significato causale, è considerato un “contratto debole”: un contratto, cioè, inerente al procedimento ed intrinsecamente effimero, perché comunque destinato, di necessaria alternativa, o ad essere superato all’addivenire del contratto particolare, o a rimanere in una certa misura “quiescente” sino a quando l’autonomia privata ad esso non decida di addivenire.

Il contratto normativo interno presenta profili di difformità con il contratto normativo esterno. Quest’ultimo è quello che definisce le clausole di futuri contratti che saranno conclusi fra una delle parti e qualche terzo. Essi, dunque, hanno una proiezione al di fuori dei rapporti tra le parti che stipulano il contratto normativo. Al contratto normativo esterno viene ricondotto il contratto di franchising: ove il franchisor fissa con il franchisee il contratto tipo che regolerà i contratti del franchisee con i suoi clienti. Il problema di questi contratti riguarda le conseguenze dell’inadempimento: quando cioè la parte impegnata inserisce nel contratto con il terzo contenuti diversi da quelli impostile dal contratto normativo. In linea di principio, la parte ne risponde all’altra parte del contratto normativo. Invece il contratto col terzo non dovrebbe restarne toccato nella sua validità ed efficacia: ma se le clausole disattese fossero più vantaggiose per il terzo di quelle effettivamente inserite in contratto, anche il terzo avrebbe forse una pretesa contro la stipulazione della parte inadempiente, qualificando il contratto normativo come stipulazione a proprio favore. Il contratto normativo esterno, a differenza di quello interno, ha un’efficacia forte: esso, infatti, può essere ricondotto alla figura del contratto a favore di terzo (cosicché il cliente terzo potrà reclamare quelle condizioni di particolare favore stabilite al momento della stipulazione del contratto normativo). Astraendo dalla peculiarità della fattispecie, se ne può desumere che la formazione del contratto normativo dia luogo ad un “procedimento nel procedimento”, ponendosi esso stesso all’interno del procedimento di formazione del contratto particolare.

Passando, infine, all’esame delle fattispecie nelle quali si è fatto ricorso alla figura del contratto normativo, emerge innanzitutto la concessione di vendita. La concessione di vendita è un contratto normativo stipulato tra concedente e concessionario, finalizzato a dettare la regolamentazione uniforme dei contratti che il concessionario ha l’obbligo di stipulare o di promuovere alla clientela. Si è posto, in particolare, il problema del contratto di concessione di vendita di autoveicoli ove, con un accordo normativo, concessionario e concedente abbiano stabilito che, quando il primo andrà a stipulare il contratto di vendita particolare, dovrà inserire in esso un patto di riservato dominio per il concedente. Ci si è domandati cosa accade nel caso in cui il concessionario non abbia inserito tale patto nel contratto particolare. La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 3990 del 19 febbraio 2010, ha stabilito che il mancato inserimento del patto di riservato domino nel contratto particolare di vendita stipulato dal concessionario con i terzi determina esclusivamente una violazione del rapporto programmatico e dispiega effetti solo sui rapporti tra concessionario e concedente, senza efficacia nei confronti dei terzi.


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