I protocolli di legalità nelle procedure ad evidenza pubblica

I protocolli di legalità nelle procedure ad evidenza pubblica

I protocolli di legalità consistono in accordi stipulati tra le stazioni appaltanti e le imprese che intendono partecipare ad una gara pubblica con cui le prime assumono l’obbligo di di inserire all’interno del bando di gara, quale condicio sine qua non per la partecipazione delle imprese, la preventiva accettazione da parte degli operatori economici di clausole dirette a prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose che pregiudicherebbero la genuinità e la regolarità dell’aggiudicazione della commessa pubblica.

La finalità della stipula dei suddetti protocolli, dunque, si avvicina a quella perseguita dalle informazioni prefettizie antimafia di cui al dlgs. 159/2011, con la sola differenza della collocazione temporale anticipata dei protocolli di legalità rispetto alle misure di contrasto alla criminalità organizzata contenute nel Codice antimafia.

In altri termini, i protocolli de quibus vengono redatti e firmati preventivamente rispetto alla eventuale richiesta inoltrata delle stazioni appaltanti al prefetto di comunicazioni e informazioni antimafia, con cui si chiede l’accertamento di presunte situazioni ostative alla stipula del contratto con la pubblica amministrazione (quali cause di sospensione, decadenza, sanzioni penali di condanna nei confronti degli operatori economici) ovvero l’acquisizione di notizie relative a tentativi di infiltrazioni mafiose.

La stretta connessione tra i due istituti è ancor più palese se si considera che esempio paradigmatico di protocollo è l’accordo con cui si rende obbligatoria la richiesta dell’informazione prefettizie per gare di valore economico inferiore alle soglie di cui all’art. 91 del dlgs. 159/2011.

Per quanto attiene alla fonte normativa, invece, antecedentemente all’entrata in vigore della c.d. legge Severino (legge n. 190/2012), la dottrina era divisa tra chi riteneva di poter rinvenire il fondamento normativa dei protocolli in commento nell’art. 176 comma 3 lett. e) del Codice dei contratti pubblici, vigente fino all’adozione del nuovo Codice di cui all’art. 50/2016, e chi riconduceva, in maniera del tutto impropria, i protocolli di legalità agli accordi di cui all’art. 11 della l. 241/1990.

Oggi la legge n. 190/2012, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, prevede all’art. 1 comma 17 che “le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto della clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisca clausola di esclusione dalla gara”.

Invero, lo scopo della disposizione dal ultimo citata è quello di rendere obbligatorio tout court il contenuto del protocollo di legalità, incluse le sanzioni, laddove l’impresa accetti formalmente le clausole in esso contenute. Di conseguenza, se tali clausole non dovessero essere rispettate, si determinerebbe una legittima causa di esclusione dalla gara.

Sul punto si è espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha sostenuto la piena conformità della clausole contenute nei protocolli di legalità ai principi di trasparenza e parità di trattamento degli operatori economici interessati alla conclusione dei contratti pubblici, con conseguente piena legittimità della sanzione dell’esclusione, ove l’impresa non sottoscriva l’accettazione delle prescrizioni comportamentali imposte dalle clausole.

Appare però opportuno sottolineare come le clausole inserite nei protocolli cristallizzino regole e comportamenti realizzabili solo successivamente alla stipula del contratto e, quindi, nella fase di esecuzione di quest’ultimo. Pertanto, le infrazioni in cui si sostanziano le violazione delle prescrizioni comportamentali contenute nel bando non potrebbero essere punite nella fase esecutiva con l’esclusione dalla gara, potendo tutt’al più le stazione appaltanti esperire il rimedio civilistico della risoluzione contrattuale.

Onde evitare tale distorsione, non conforme alla ratio ispiratrice dei patti di integrità, la normativa anticorruzione avrebbe potuto prevedere come violazione punibile con l’esclusione dalla gara la mancata accettazione del contenuto delle clausole del bando contenute nei protocolli, non già il mancato rispetto della clausole medesime.

Dal suo canto, il Codice degli appalti, di cui al dlgs. 50/2016, contiene un riferimento, seppur implicito, ai protocolli di legalità rinvenibile nel combinato disposto degli artt. 32 ed 80.

Infatti, ai sensi dell’art. 32 (rubricato “Fasi delle procedure di affidamento”) comma 2 del Codice, prima di avviare le procedure di affidamento dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti determinano di contrarre, individuando gli elementi essenziali del contratto ed i relatici criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte; secondo l’art. 80 comma 2, in tema di “Motivi di esclusione”, costituiscono altresì motivo di esclusione anche i tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84 del Codice Antimafia.

Orbene, è intuitivo, alla luce di quanto suesposto, ritenere che i suddetti patti di integrità possono ritenersi dei criteri di selezione di cui all’art. 32 del dlgs. 50/2016, la cui mancata adesione comporta l’esclusione dalla gara dell’operatore economico non ottemperante alle prescrizioni imposte dalla lex specialis ai sensi dell’art, 80, tra cui quali si possono annoverare anche quelle cristallizzate nei protocolli medesimi.

In ultimo è altresì opportuno sottolineare che le prescrizioni contenute nei protocolli di legalità, poiché limitative delle libertà di organizzazione dell’impresa nonché della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., devono essere necessariamente applicate nell’ossequioso rispetto dei principi di proporzionalità, al fine di ricercare un equo compromesso tra la prevenzione di condotte anticoncorrenziali aventi connotazione mafiosa ed il principio di libera organizzazione dei mezzi imprenditoriali.

Appare allora imprescindibile che le clausole inserite all’interno dei protocolli siano frutto di un’attenta e scrupolosa valutazione condotta dalla stazione appaltante consistente in una puntuale disamina del numero di imprese operanti nel settore interessato, delle loro dimensioni e sopratutto del rischio di infiltrazioni mafiose insito in quel particolare settore di lavori, nella tipologia dei beni e dei servizi oggetto della gara.


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