I provvedimenti di emergenza da Covid-19 e le libertà fondamentali

I provvedimenti di emergenza da Covid-19 e le libertà fondamentali

L’emergenza Coronavirus: i provvedimenti di emergenza, presupposti e limiti. L’emergenza sanitaria, dichiarata ufficialmente dal Governo con delibera dello stato d’emergenza del 31 Gennaio 2020 e recentemente prorogata, ha messo notevolmente alla prova l’ordinamento italiano.

Difatti, l’aumento dei contagi e dei decessi a causa della dilagante epidemia ha comportato l’emanazione di una varietà di provvedimenti d’urgenza.

Nella fase immediatamente successiva ai primi contagi si sono susseguite una serie di ordinanze da parte di enti locali delle zone prossime ai primi focolai di contagio (ad esempio il Comune di Codogno in data 21 febbraio), fondate sulle disposizioni contenute nel Testo unico sugli enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000). In particolare, all’art. 50 si prevede il potere del sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”. Nel caso in cui l’emergenza superi il territorio comunale, l’art. 50 citato prevede che “l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali”.

A seguito dell’aumento dei contagi il Governo ha provveduto ad emanare prima il Decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020 recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, e successivamente il Decreto legge n. 19 del 25 Marzo 2020, rubricato “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19″.

Tali Decreti hanno costituito la base legale per tutta una serie di successivi provvedimenti d’urgenza: quelli con efficacia sul territorio nazionale sono costituiti dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (noti con la sigla “DPCM”), i quali sono  stati emessi in virtù di apposto conferimento di potere da parte di un atto avente forza di legge, ossia i decreti legge (prima il DL 6/2020 e poi il 19/2020); a fronte, poi, di provvedimenti nazionali, le Regioni e i Comuni hanno emesso ulteriori ordinanze d’emergenza mirate ad adeguare la disciplina dei DPCM alle esigenze espresse dal territorio locale.

A ben vedere tutti questi provvedimenti costituiscono la risposta ad una emergenza peculiare, non essendo essi direttamente riconducibili alla normativa vigente in materia di emergenze di protezione civile, né a quella in materia di emergenze sanitarie. Ad ogni modo, nel giro di poche settimane, si sono moltiplicati,  qualche volta sono entrati in contrasto tra loro.

In questo quadro giuridico occorre tenere presente che, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, le competenze in materia di tutela della salute e di protezione civile appartengono al novero delle competenze concorrenti tra Stato e Regioni, spettando dunque allo Stato fissare i principi generali e alle singole Regioni la normativa di dettaglio, nel rispetto dei suddetti principi. Questa ripartizione ovviamente può porre dei problemi di coordinamento in caso di situazioni di necessità e urgenza che giustifichino il ricorso a misure straordinarie. A tale proposito, l’art. 32 della legge n. 833 del 1978 (istitutiva del servizio sanitario nazionale) prevede che il Ministro della sanità possa emettere “ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni”, ed analogo potere di emettere ordinanze nelle medesime materie viene attribuito anche al Presidente della Giunta regionale (oltre che al Sindaco), con efficacia limitata al territorio regionale o una sua parte.

Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6. A seguito dell’aggravarsi della crisi sanitaria il Governo emanava il d.l. n. 6 del 23 febbraio 2020, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, convertito con legge n. 13 del 5 marzo 2020.

Il Decreto Legge costituisce un atto avente forza di legge, adottabile in casi straordinari di necessità e urgenza (ai sensi dell’art. 77 della nostra Costituzione), che deve essere convertito in legge da parte del Parlamento, entro 60 giorni.

Secondo il citato decreto, veniva attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di emanare provvedimenti tipici e predeterminati, nonché un potere generico di disporre di ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, attraverso l’adozione di ordinanze, per limitare il diffondersi dell’epidemia.

In sintesi il DL 6/2020 prevedeva che nei Comuni o aree ove vi fossero soggetti positivi al COVID-19, le autorità competenti fossero tenute ad adottare ogni misura di contenimento adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione. Le misure comprendevano, ad esempio: divieto di allontanamento e di accesso al comune o all’area interessata, sospensione dei servizi educativi e dei viaggi di istruzione, applicazione di misure di quarantena con sorveglianza attiva per chi avesse avuto contatti stretti con persone affette dal virus, sospensione dell’attività lavorativa per alcune tipologie di impresa e chiusura di alcune tipologie di attività commerciali, limitazione all’accesso o sospensione dei servizi trasporto di merci e di persone. Era altresì prevista la facoltà di adottare ulteriori misure di contenimento.

L’attuazione di tali misure di contenimento doveva essere disposta con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri e il Presidente della Regione competente ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso le misure interessassero più Regioni. Si prevedeva che, in casi di estrema necessità e urgenza, le stesse misure si potessero adottare, anche prima dell’adozione del DPCM, dalle autorità regionali o locali ai sensi dell’articolo 32 legge 833/78 sopra citato.

Un espresso richiamo veniva operato all’art. 650 codice penale per il mancato rispetto delle misure di contenimento, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.

Al decreto-legge facevano, dunque, seguito vari decreti attuativi del Presidente del Consiglio, a partire dal DPCM del 23 febbraio, fino al più conosciuto DPCM del 9 marzo, il quale ha reso l’intero territorio nazionale c.d. zona rossa ed al DPCM dell’ 11 marzo, contenente un ulteriore inasprimento delle misure.

Per completezza occorre rilevare gli altri provvedimenti, settoriali, assunti dal Governo a seguito del D.l del 23 febbraio, questa volta nella forma di decreto-legge. Essi sono: 1) decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, recante misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese; 2) decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11, recante misure straordinarie ed urgenti per lo svolgimento dell’attività giudiziaria; 3) decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14, recante disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale.

Spesso è stata evidenziata l’inadeguatezza del D.l. 6/2020 a fungere da base legale alla catena di Decreti del Presidente del Consiglio (noti con la sigla DPCM) che lo hanno seguito. Motivo, peraltro, dell’emanazione del successivo Decreto Legge n. 19 del mese di marzo. Difatti, con il citato Decreto di febbraio, n. 6,  vengono autorizzate le autorità competenti ad adottare idonee misure di contenimento del contagio di cui all’art. 1 del medesimo, al fine di rispondere ad un’emergenza locale, riguardante le aree del territorio interessate da contagi; la critica maggiormente rivolta al testo in questione era proprio quella di utilizzare una formula oltremodo generica, nel prevede la possibilità di adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza al di fuori della precedente ipotesi di cui all’art. 1.

I Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il D.P.C.M. è un provvedimento emanato, in forma di decreto, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e che, al pari di ogni decreto ministeriale, ha natura amministrativa. In quanto atto amministrativo, non ha forza di legge e ha carattere di fonte normativa secondaria. Viene utilizzato, di norma, per dare attuazione a disposizioni di legge. Non è soggetto ad alcuna conversione da parte del Parlamento ed è inoltre sottratto, a seguito di eventuale sollevamento di questione di legittimità costituzionale, al vaglio della Consulta.

Tuttavia, esistono nel nostro Ordinamento delle circostanze che giustificano l’emanazione di atti normativi di rango primario anche da parte del Governo, che, infatti, in presenza di determinati requisiti e ricorrendo precise condizioni, può adottare atti aventi forza di legge, ovvero provvedimenti capaci di abrogare norme di legge e di resistere all’abrogazione da parte di fonti di rango inferiore: si tratta dei decreti legislativi e dei decreti-legge, previsti e disciplinati, rispettivamente, dagli articoli 76 e 77 della Costituzione.

A differenza del decreto legge il DPCM sfugge, quindi, al vaglio del Parlamento e all’eventuale successivo sindacato di legittimità da parte della Corte costituzionale.

Nella fase emergenziale in essere, tuttavia, il Governo ha fatto ripetutamente ricorso  alla categoria dei DPCM, piuttosto che alla decretazione d’urgenza di cui all’articolo 77 della Costituzione, sicuramente più opportuna  in quanto immune dal dare adito a critiche e incomprensioni. Si è assistito, infatti, a un uso reiterato, ad un susseguirsi di tale tipologia di provvedimenti , seppure ciascuno di essi coperto da due decreti legge (25 marzo 2020, n. 19 e 23 febbraio 2020, quest’ultimo peraltro abrogato, quasi totalmente, dal primo).  Di seguito l’elenco dei provvedimenti in questione:

1) DPCM 23 febbraio 2020 (stessa data del decreto-legge) recante “misure urgenti di contenimento del contagio nei Comuni delle Regioni Lombardia e Veneto”, indicando gli undici Comuni interessati e alcune misure urgenti di contenimento sul piano nazionale;

2) DPCM 25 febbraio 2020, recante ulteriori misure urgenti, con particolare riferimento a misure previste per scuole e università, alcune valide nei comuni delle regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte e altre su tutto il territorio nazionale;

3) DPCM 1° marzo 2020, recante ulteriori misure di contenimento del contagio negli undici Comuni già individuati, nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto e nelle province di Pesaro-Urbino, Savona, Bergamo, Lodi, Piacenza e Cremona, assieme a ulteriori misure sull’intero territorio nazionale;

4) DPCM 4 marzo 2020, recante ulteriori disposizioni attuative applicabili sull’intero territorio nazionale;

5) DPCM 8 marzo 2020 recante ulteriori misure di contenimento, ove si inasprivano sia le misure in atto nella cosiddetta “zona rossa” (Regione Lombardia e province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro-Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia) che quelle vigenti sull’intero territorio nazionale;

6) DPCM 9 marzo 2020: si tratta di un provvedimento di assoluto rilievo, in quanto prevedeva che le misure di contenimento del contagio stabilite in precedenza per la regione Lombardia e le quattordici province della cosiddetta zona rossa venissero applicate, fino al 3 aprile 2020, all’intero territorio nazionale, con conseguente divieto di spostamento salvo spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute;

7) DPCM 11 marzo 2020, il settimo in venti giorni, contenente un ulteriore inasprimento delle misure adottate.

Decreto legge 25 marzo 2020, n. 19. Con l’adozione del d.l. 25 marzo 2020, n. 19, il quale ha nella sostanza abrogato il d.l. precedente, veniva stabilito che i provvedimenti statali dovessero essere adottati a livello locale su proposta dei Presidenti di Regione, fermi restando i raccordi previsti dal d.l. 23 febbraio 2020.

Grazie all’intervento del D.l. 19/2020 del 25 Marzo è stata fornita per l’interno territorio nazionale una linea guida affinchè le numerose misure previste venissero applicate uniformemente. Al fine, infatti, di riordinare e uniformare la materia dal punto di vista normativo e sanzionatorio, il Governo ha emanato il decreto-legge n. 19, razionalizzando le numerose misure di contrasto e contenimento, anche relativamente ai rapporti fra Stato e regioni e riportando la gestione dell’emergenza alla copertura costituzionale di cui necessitava.

Per quanto riguarda l’articolazione delle competenze, l’articolo 2 del DL 19/2020 ha, di fatto, ribadito quanto già disposto dal precedente d.l., prevedendo che le misure di contenimento potesseo essere emesse in primis con i DPCM e, solo in presenza di determinate condizioni (ossia nelle more dell’emanazione dei DPCM e nei casi di estrema necessità e urgenza) con ordinanze regionali e/o comunali. Si tratta di una clausola di salvaguardia generale a tutela dell’unità dell’ordinamento nazionale finalizzata a contemperare l’esigenza di garantire livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali sull’intero territorio nazionale con quella di assicurare a Regioni e Comuni, adeguati poteri atti ad emettere interventi mirati sui territori di competenza.

Rispetto al precedente d.l. n. 6/2020, il cui articolo 3 richiamava un potere di ordinanza delle Regioni (che è stato esercitato in modo alterno, e non da tutte le Regioni in modo tempestivo), il provvedimento del 25 marzo risultava molto più stringente, limitando la possibilità d’azione delle regioni ad una competenza residuale ed eccezionale: le misure ora adottabili non solo sono tassativamente circoscritte in quelle individuate all’art. 1 comma 2, ma devono essere predisposte in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio ed esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza. Difatti, dal testo del Decreto si legge: “sino all’adozione del DPCM da parte del Presidente del Consiglio e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioniin relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale“ .

Altra differenza sostanziale consiste, dal punto di vista sanzionatorio, nell’eliminazione del riferimento all’art. 650 c.p. che in virtù dell’ormai abrogato D.l. n. 6/2020 operava. All’art. 4 del D.l. 19/2020 viene introdotto un illecito amministrativo e si prevede che il mancato rispetto delle misure di contenimento adottate dall’autorità, salvo che il fatto costituisca reato più grave, “è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanita’, di cui all’articolo 3, comma 3.”

Le ordinanze di emergenza. Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020, le misure restrittive sono state estese a tutto il territorio nazionale; a questo punto, si è assistito all’intervento di alcuni Presidenti delle Regioni che, ritenendo non sufficienti le misure emanate a livello nazionale, adottano le proprie ordinanze contenenti misure più restrittive di quelle previste a livello statale.

L’ordinanza regionale d’emergenza è un tipo di atto di natura legislativa che trova il proprio fondamento nella potestà concorrente dello Stato e delle Regioni (dettata in materia di salute dall’art. 117 della Costituzione).

Come già ricordato in precedenza, lo Stato, nelle materie in cui è prevista una legislazione concorrente, detta i principi fondamentali a cui gli Enti locali  devono attenersi nel disciplinare la materia nel dettaglio, secondo standard uniformi e costituzionalmente condivisi. A ben vedere, tuttavia, la situazione eccezionale di emergenza nel nostro Paese, ha di fatto portato lo Stato a sottrarre agli Enti locali i predetti poteri normativi, quantomeno nella materia di potestà concorrente della salute.

Questa apparente violazione del principio di leale collaborazione (dettato dall’art. 117 in tema di rapporti fra Stato ed autonomie locali) veniva però scongiurata  dalla previsione di procedure di raccordo tra Stato ed Enti locali, attraverso l’acquisizione di pareri da parte dei Presidenti delle Regioni.

In sostanza la gerarchia delle fonti emergenziali così individuata risulta la seguente: le misure di contenimento dell’emergenza dovevano essere disposte con i decreti del presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM); unicamente nel caso in cui, in una determinata materia non vi fosse una previsione da parte di un DPCM, e nei casi di estrema necessità ed urgenza, potevano essere emanate ordinanze contingibili e urgenti da parte di Regioni e Comuni.

Assumeva, quindi, prevalenza la disciplina nazionale e, solo in via sussidiaria e per misure non già regolamentate dai DPCM, potevano essere emesse ordinanze regionali e comunali.

Tuttavia, il propagarsi dell’epidemia ha spinto, nel corso del mese di marzo 2020, i Presidenti di Regione ad emanare ordinanze regionali allo scopo di dettare misure specifiche per ciascuna realtà territoriale. In questo contesto, anche moltissimi Sindaci hanno emesso ordinanze contingibili e urgenti spesso per precisare le modalità dell’applicazione delle disposizioni nazionali e regionali nella propria realtà territoriale locale.

E’ bene ricordare che il potere di emettere questo tipo di ordinanze è contenuto nel Testo Unico degli Enti locali (D.Lgs. 267/2000) e precisamente all’articolo 50 e che queste ordinanze sono state emanate ai sensi dell’articolo 32, comma 3 della L. 23 dicembre 1978 n. 833 che conferisce al Presidente della Giunta regionale e ai sindaci la possibilità di emanare ordinanze contingibili e urgenti nelle materia di igiene e sanità pubblica, di vigilanza sulle farmacie e di polizia veterinaria.

Dunque il nostro ordinamento, seppure nei termini sopra indicati, legittima il potere di ordinanza c.d. extra ordinem quale strumento atipico cui ricorrere in casi di eccezionale urgenza; il principio di tipicità del provvedimento amministrativo soffre, pertanto, di un’eccezione rappresentata dalle ordinanze extra ordinem, le quali hanno come caratteristica quella di essere previste dal legislatore solo con riguardo all’attribuzione del potere, ma di essere libere nei contenuti (e per questo si definiscono anche ordinanze libere).

La Corte Costituzionale si è più volte interrogata sulla legittimità di questi provvedimenti, in particolare rilevando che le ordinanze necessitate sono provvedimenti irrinunciabili in uno stato di diritto.

Ad ogni modo, per essere efficaci e legittime devono rispettare i principi generali dell’ordinamento giuridico; non dovranno pertanto violare i precetti costituzionali, come quelli relativi a materie coperte da riserva assoluta di legge ( sulle quali solo lo Stato ha potere di legiferare), nonché gli altri principi generali dell’ordinamento. Oltre a tale presupposto essenziale, la giurisprudenza amministrativa ha enucleato il principio ormai consolidato secondo cuil’adozione di ordinanze contingibili e urgenti postula la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui sia impossibile far fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento”.

Le libertà individuali ai tempi dell’emergenza sanitaria. Il quadro normativo che si è cercato di prospettare pone evidentemente una serie di questioni molto delicate, giacché le misure sopra descritte vanno ad incidere pesantemente su libertà e diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione.

I provvedimenti d’urgenza emanati nell’attuale contesto emergenziale impongono importanti limitazioni a certe libertà fondamentali e diritti inviolabili previsti e tutelati al livello giuridico più alto: la Costituzione, infatti, prevede, all’articolo 13, la libertà personale; all’articolo 16, la libertà di circolazione; e, inoltre, la libertà di riunione (art. 17), di associazione (art. 18), di culto (art. 19).

La Costituzione stessa, tuttavia, ammette la possibilità di restrizioni della liberà personale nei soli casi e modi previsti dalla legge (art. 13), oltre che limitazioni alla libertà di circolazione per motivi di sanità o di sicurezza (art. 16). Data la situazione di indubbia emergenza, non sembra possa dubitarsi che misure eccezionali siano legittime, anche sul piano costituzionale. È evidente che lo stato di emergenza, dichiarato non solo dalle autorità italiane ma anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, consente interventi straordinari e urgenti.

Si vuole, peraltro, ricordare che l’art. 32 della Costituzione stabilisce che la salute sia tutelata non solo come fondamentale diritto dell’individuo ma anche come “interesse della collettività, il che autorizza misure atte a tutelare tale interesse collettivo. Occorre anche menzionare l’art. 120 Cost., ove si prevede espressamente che il Governo centrale possa sostituirsi a Regioni, Province e Comuni in caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica.

Questi riferimenti normativi ci consentono di valutare la capacità di risposta all’emergenza da parte del Governo e dell’apparato pubblico: si noti che la Costituzione e i principi generali del nostro ordinamento autorizzano sì misure limitative di diritti e libertà individuali per motivi di sanità o incolumità pubblica, ma a patto che tali motivi siano comprovati, vale a dire evidenti e documentati. Di conseguenza, mano a meno che la situazione si aggravava sono state adottate misure progressivamente più restrittive. Si può dunque ritenere che i provvedimenti descritti nel presente articolo siano dotate di copertura costituzionale, sia sul piano formale (ad esempio i DPCM trovano la loro fonte legittimante in un atto avente forza e valore di legge: il Decreto Legge, convertito in legge dal Parlamento) sia sul piano sostanziale. Ai fini della loro legittimità, tuttavia, tali misure devono presentare carattere determinato sul piano temporale, ossia avere una scadenza.  Va da sé, difatti, che tutte le misure sono giustificate fino a quando la situazione rimanga emergenziale e che non appena l’emergenza dovesse cessare, tutte le libertà e i diritti che risultano ad oggi compressi dovranno immediatamente tornare ad espandersi in tutte le loro facoltà e possibilità.

In conclusione, pur non potendo e dovendo tollerare alcun abuso dei diritti fondamentali, occorre tenere presente che tutte queste misure hanno lo scopo di tutelare i diritti fondamentali stessi, nello specifico il diritto alla vita e alla salute.

 

 

 

 


(1) “Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare”, G.L. GATTA, SISTEMA PENALE.
(2) Decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020
(3)Decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020
(4) Corte Cost., sent. n. 307/2003
(5) Articolo “Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19″ G.L. GATTA, SISTEMA PENALE.
(6) “Compendio di diritto amministrativo”, F. CARINGELLA.

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Claudia Ruffilli

Claudia Ruffilli, nata a Bologna il 21 aprile 1992. Ho conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico Marco Minghetti di Bologna. Nel 2017 ho conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bologna. Ho svolto la pratica forense presso uno Studio Legale ed un tirocinio formativo presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Nel 2019 ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello a Bologna, dove lavoro.

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