I rapporti tra i delitti di corruzione, concussione e induzione indebita

I rapporti tra i delitti di corruzione, concussione e induzione indebita

Il Libro secondo, titolo II “Dei delitti contro la pubblica amministrazione”, del codice penale è stato oggetto, recentemente, di fondamentali e profonde novelle legislative e di significativi approdi giurisprudenziali.

In particolare, il Legislatore nazionale, con la L. 190/2012 e con la L. 69/2015, ha inteso recepire nell’ordinamento interno gli incipit sovranazionali provenienti dalla Convenzione OCSE e dal c.d. “rapporto GRECO” al fine di garantire un’equa graduazione delle risposte sanzionatorie in relazione a situazioni oggettivamente diverse nella lotta alla corruzione internazionale (Marinucci-Dolcini).

Ecco, quindi, che con la L. 190/2012 è stata scissa l’originaria fattispecie di cui all’art. 317 c.p. in due figure autonome di reato: quella del nuovo art. 319-quater c.p. “Induzione indebita a dare o promettere utilità” e quella di concussione c.d. “per costrizione” rimasta nell’alveo dell’art. 317 c.p. Si è subito osservato in dottrina (Viganò), che la novità più rilevante è stata quella di prevedere nel secondo comma dell’art. 319-quater c.p. la punibilità del privato che dà o promette altra utilità, che diviene, pertanto, nella nuova formulazione dell’originaria concussione c.d. “per induzione”, concorrente necessario nel reato e non già più vittima della condotta contra ius del pubblico funzionario.

Secondo la giurisprudenza antecedente l’intervento riformatore, la fattispecie della concussione di cui all’art. 317 c.p. era caratterizzata da una struttura mista alternativa, potendo la stessa essere posta in essere sia nella forma costrittiva sia in quella induttiva. Ebbene, secondo l’impostazione giurisprudenziale tradizionale, il discrimen tra le due diverse modalità di condotta doveva essere ravvisato nel diverso grado di coazione psichica della volontà del privato concusso: nella concussione per costrizione il privato era posto ad una forte pressione psichica tale da non lasciare allo stesso alcun margine di scelta; mentre nella concussione per induzione, la condotta illecita del pubblico funzionario realizzava una forma di soggezione più blanda e, di conseguenza, una maggiore libertà di autodeterminazione del privato.

All’indomani dell’intervento legislativo con la L. 190/2012, che ha introdotto la nuova disposizione di cui all’art. 319-quater c.p., si sono delineati tre orientamenti giurisprudenziali allo scopo di delimitare i limiti ed i contorni dei delitti previsti negli artt. 317 e 319-quater c.p.

Secondo un primo orientamento dei giudici di legittimità (espresso in Cass. Pen. n. 3093/2013) doveva farsi riferimento a tale fine alle modalità della condotta posta in essere dal pubblico ufficiale ovvero dall’incaricato di pubblico servizio e all’entità dell’effetto psicologico derivante sul privato. Per questo orientamento, infatti, nella fattispecie di concussione il pubblico funzionario si avvarrebbe del mezzo della minaccia, prospettando al privato un male ingiusto ed inevitabile, mentre nell’induzione indebita a dare o promettere utilità il mezzo utilizzato sarebbe quello della persuasione o suggestione, tendente ad una situazione favorevole per il privato, con conseguente minore ripercussione sulla sua libertà di scelta.

Una seconda impostazione giurisprudenziale ha tentato di differenziare le due fattispecie mettendo in luce la natura (ingiusta nel reato di concussione) e la conformità a legge nella previsione dell’art. 319-quater c.p., in quanto, nel secondo caso, il danno non sarebbe iniuria datum.

Un terzo orientamento (delineato in Cass. Pen. 11794/2013) ha ritenuto, invece, di adottare un criterio misto, valorizzando il tipo di vantaggio conseguito dal privato. Per i giudici della Cassazione la nuova fattispecie prevista all’art. 319-quater c.p. si configurerebbe una volta accertati due parametri tra di loro cumulativi, ovverosia la forma di pressione psichica esercitata dalla condotta del pubblico funzionario ed il requisito del vantaggio ingiusto ottenuto dal privato grazie alla dazione o alla promessa indebitamente prestata all’agente pubblico.

Sulla vexata quaestio sono intervenute, quindi, le Sezioni Unite Maldera (con sentenza n. 12228/2013) che, prendendo atto delle diverse posizioni giurisprudenziali sul tema ed osservando preliminarmente l’insufficienza dei criteri elaborati con le precedenti pronunce se prese singolarmente, hanno ritenuto che i controversi rapporti tra gli artt. 317 e 319-quater c.p. vadano risolti alla luce della dicotomia minaccia-non minaccia, che non sarebbero altro che “facce inverse della stessa medaglia” delle previsioni normative delle condotte di costrizione ed induzione. Precisano le Sezioni Unite Maldera, inoltre, come l’elemento dell’abuso delle qualità e dei poteri dell’agente pubblico sia elemento indefettibile, ad efficienza causale, comune ad entrambe le fattispecie di concussione ed induzione indebita (differentemente dai delitti di corruzione ove l’abuso delle qualità e dei poteri è elemento eventuale e di risultato).

Peraltro, nella concussione il privato sarebbe posto davanti all’alternativa secca, a seguito della minaccia (anche implicita) del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, di presta la dazione o la promessa indebita per evitare un danno di natura patrimoniale o non patrimoniale ovvero di subire il prospettato male ingiusto. Invece, nell’induzione indebita, seppure versante in uno stato di soggezione derivante dalla supremazia del potere pubblico (c.d. “metus publicae potestatis“), che si sostanzia in un timore reverenziale per la posizione pubblica del pubblico funzionario, il privato perseguirebbe, comunque, un vantaggio per sé indebito.

Ciò posto, le Sezioni Unite Maldera n. 12228 del 2013 hanno delineato i rapporti intercorrenti tra il nuovo art. 319-quater c.p. e i delitti di corruzione di cui agli artt. 318 e 319. c.p.

Giova passare in rassegna i principali orientamenti emersi in sede dottrinale, prima della pronuncia delle Sezioni Unite, che avevano portato a tre diverse teorie: quella dell’iniziativa, quella del danno-vantaggio, quella, infine, dell’accordo e del metus publicae potestatis.

Secondo la tesi dell’iniziativa, in particolare, doveva ravvisarsi concussione qualora l’iniziativa fosse stata assunta dal pubblico funzionario, diversamente corruzione ove la stessa fosse intrapresa per prima dal privato. Tale tesi è stata in seguito superata con l’introduzione nell’art. 322 c.p. dei commi 3 e 4 che prevedono espressamente delle ipotesi di istigazione alla corruzione passiva, con conseguente punibilità del pubblico agente.

La seconda tesi dottrinale ha incentrato l’attenzione sugli effetti della condotta sul privato preordinati, nella concussione, a recargli un danno ingiusto (di natura patrimoniale o non patrimoniale), mentre nella corruzione un indebito vantaggio oggetto del pactum sceleris contratto con il pubblico funzionario.

Infine, secondo la tesi impostata sull’accordo nella corruzione e sulla conseguente posizione tra le parti del privato e del soggetto pubblico, tale fattispecie va differenziata da quella di induzione indebita in cui la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio è di mera persuasione, suggestione o di inganno.

Sul tema si sono, quindi, pronunciate le Sezioni Unite Maldera del 2013 che hanno evidenziato come la distinzione tra i delitti di corruzione ex artt. 318 e 319 c.p. e quello di induzione indebita ex art. 319-quater c.p. vada effettuata sulla base della situazione di parità sostanziale tra il privato e l’agente pubblico nei casi di corruzione impropria e propria e sullo stato di soggezione, secondo il criterio dottrinale del metus publicae potestatis, che connoterebbe, invero, il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità.

Delineati i rapporti tra le ipotesi delittuose di concussione, induzione indebita e corruzione, la dottrina e la giurisprudenza hanno risolto il problema intertemporale della successione di norme di legge nel tempo affermando che, dal raffronto strutturale ovvero da un giudizio di disvalore, la nuova fattispecie introdotta dal Legislatore con la L. 190/2012  nell’art. 319-quater c.p. si pone in rapporto di continuità rispetto all’originaria collocazione nell’art. 317 c.p., sicché si realizza una mera successione di leggi modificative nel tempo e, in virtù del principio enucleato nella storica pronuncia delle Sezioni Unite Giordano, si applica l’art. 2, comma 4, c.p. e la lex mitior alle condotte commesse in vigore della precedente normativa.

Ultimo punto che appare degno di nota è quello relativo, nei rapporti tra i delitti in esame, alle c.d. “zone grigie”. È ben possibile, infatti, che il privato dal rapporto illecito e contra ius con il pubblico ufficiale o con l’incaricato di pubblico servizio ricavi un vantaggio e, contestualmente, subisca un danno. In ipotesi siffatte, la più recente giurisprudenza ha affermato che bisognerà indagare sulle spinte motivazionali e sui dati di significatività ed, in specie, sulla prevalenza del vantaggio ottenuto sul male ingiusto al fine distinguere correttamente le diverse ipotesi di delitti contro la pubblica amministrazione.


Fonti
R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, Tomo I, 2017.

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Enrico Sericola

Laureato in Giurisprudenza cum laude presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna. Tirocinante ex art. 73 D.L. 69/2013 presso il Tribunale di Milano. Specializzando presso la Sspl "E. Redenti" di Bologna.

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