Il blocco delle esecuzioni immobiliari e gli effetti della sentenza 128/2021 della Corte Costituzionale

Il blocco delle esecuzioni immobiliari e gli effetti della sentenza 128/2021 della Corte Costituzionale

Con sentenza n. 128 del 22.6.2021 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la seconda proroga (dal 1 gennaio al 30 giugno 2021) della sospensione delle esecuzioni aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore.

Quali sono gli effetti ?

La sospensione delle procedure esecutive immobiliari durante il primo lockdown

La Legge 24/4/2020, n. 27 – di conversione del D.L. n. 18 del 17/3/2020 – ha introdotto l’art. 54-ter “Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa”, ed ha prescritto che «Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 c.p.c., che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore».

La sospensione è prevista dal 30/4/2020 al 30/10/2020.

Con successivo art. 4, comma 1 del D.L. 28/10/2020, n. 137 (convertito dalla Legge 18/12/2020, n. 176) l’efficacia temporale è stata prorogata «fino al 31 dicembre 2020».

Successivamente, l’art. 13, comma 14 del D.L. 31/12/2020, n. 183, convertito dalla Legge 26/2/2021 n. 21, ha prorogato la sospensione delle esecuzioni fino al 30 giugno 2021.

Qual è “l’abitazione principale” a cui fa riferimento l’art. 54-ter?

Il concetto di «abitazione principale» si ritrova nella normativa fiscale:

1) l’art. 10, comma 3-bis, TUIR (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) in tema di «oneri deducibili» individua l’abitazione principale in «quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente», precisando essere irrilevante la «variazione della dimora abituale se dipendente da ricovero permanente in istituti di ricovero o sanitari, a condizione che l’unità immobiliare non risulti locata».

2) Il successivo art. 15, comma 1, lett. b, in materia di «detrazioni per oneri», precisa che «per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente».

3) La legge di bilancio per il 2020, nel ridisegnare l’IMU (“Nuova IMU”), in vigore dal 1/1/2021), ha ridefinito il concetto di abitazione principale (ai fini dell’imposta) con l’art. 1, comma 741, lett. b, che è «l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente».

In definitiva, pur essendoci sostanziali differenze riguardo alla considerazione dei “familiari” o del “nucleo familiare” tra la disciplina degli Oneri Deducibili e Detraibili IRPEF e quella della “Nuova IMU”, l’abitazione principale è quella in cui la persona fisica dimora abitualmente, destinandola in modo stabile, effettivo e durevole a propria abitazione.

L’ambito applicativo della sospensione

L’effetto sospensivo dell’art. 54-ter opera solo dopo il perfezionamento del pignoramento, che costituisce l’atto iniziale dell’espropriazione forzata (art. 491 c.p.c.).

Non esiste alcun divieto di pignoramento dell’abitazione principale del debitore ma solo il divieto (transitorio) di procedere nell’esecuzione.

Il magistrato è chiamato ad accertare una circostanza fattuale dell’adibizione dell’immobile utilizzato ad abitazione principale.

La sospensione, conformemente al dettato dell’art. 626 c.p.c. comporta che “nessun atto esecutivo può essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione”.

Resta espressamente impregiudicata la facoltà del giudice di autorizzare il compimento di atti di amministrazione e di gestione del bene, diretti a preservare la condizione dell’immobile e ad impedirne una dannosa alterazione.

Gli atti posti in essere in violazione del divieto sono affetti da nullità relativa, deducibile dal debitore esecutato mediante opposizione agli atti esecutivi.

Illegittimità costituzionale della proroga della sospensione “fino al 30 giugno 2021”

La Corte Costituzionale – con la sentenza n. 128 del 22/6/2021 – ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13, comma 14, del D.L. 31/12/2020, n. 183, in quanto la stabilita proroga dell’art. 54-ter dal 1° gennaio al 30 giugno 2021 viola gli artt. 3, comma 1, e 24, commi 1 e 2, della Costituzione.

La dichiarata incostituzionalità della seconda proroga comporta che la sospensione ex lege ai sensi dell’art. 54-ter D.L. n. 18 del 2020 deve ritenersi cessata al 31/12/2020 e, dunque, si pone il problema riguardante l’individuazione del dies a quo per la ripresa – mediante riassunzione – dei processi esecutivi sospesi.

Riassunzione della procedura ex art. 627 c.p.c.

Riguardo alle modalità di ripresa delle procedure, pur dando atto della mancanza di specifiche prescrizioni normative, si può far riferimento all’art. 627 c.p.c., norma generale per la riattivazione delle esecuzioni quiescenti.

Spetta al giudice dell’esecuzione l’indicazione del termine perentorio per la riassunzione del procedimento, dalla cui inosservanza discende l’estinzione ex art. 630 C.p.c..

Individuazione del dies a quo

La Corte Costituzionale ha “eliminato” la proroga della sospensione al 30/6/2021 ma, in mancanza di termine fissato dal giudice dell’esecuzione, il termine semestrale ex art. 627 c.p.c. decorre dal 31/12/2020 (e, cioè, dalla proroga fissata dall’art. 4, comma 1, primo periodo, del D.L. 28/10/2020, n. 137) e scade, dunque, al 30/6/2021 oppure scade il 31/12/2021?

A ben vedere, l’effetto della pronuncia della Consulta non è quello di far retroagire il dies a quo della riassunzione al 31/12/2020, bensì quello di impedire l’applicazione dell’art. 54-ter dal 23/6/2021: a quest’ultima data, dunque, occorrerebbe riferirsi per individuare la decorrenza del “nuovo” termine semestrale ex art. 627 c.p.c.

Molti Tribunali hanno individuato il dies a quo nel 31/12/2020 e, quindi, la scadenza della riassunzione nel 30/6/2021. Ciò comporta che alla parte creditrice è stata “concessa” appena una settimana.

Un termine così breve costituisce un ulteriore ostacolo all’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e mina i principi del giusto processo (art. 111 Cost. e art. 6 CEDU) nonché l’affidamento della parte processuale sulla vigenza di una disposizione di legge venuta meno soltanto con la decisione pubblicata il 22/6/2021.

Motivazione della Corte Costituzionale

Si possono condividere le conclusioni della Corte Costituzionale nel ribadire che il diritto ex art. 24, primo comma, Cost. di poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti comprenda anche l’esecuzione forzata, che è diretta a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento del giudice.

La tutela in sede esecutiva rappresenta uno strumento indispensabile per l’effettività della tutela giurisdizionale, perché consente al creditore di soddisfare la propria pretesa in mancanza di adempimento spontaneo da parte del debitore (sentenze n. 225 del 2018, n. 198 del 2010, n. 335 del 2004, n. 522 del 2002 e n. 321 del 1998; ordinanza n. 331 del 2001).

La fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, proprio in quanto componente intrinseca ed essenziale della funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria (sentenza n. 419 del 1995), stante che «il principio di effettività della tutela giurisdizionale […] rappresenta un connotato rilevante di ogni modello processuale» (sentenze n. 225 del 2018 e n. 304 del 2011).

È certo riservata alla discrezionalità del legislatore la conformazione degli istituti processuali, con il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della disciplina (sentenze n. 44 del 2016, n. 10 del 2013 e n. 221 del 2008); ma tale limite è valicato «ogniqualvolta emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire» (sentenza n. 225 del 2018; negli stessi termini, tra le tante, sentenze n. 87 del 2021, n. 271 del 2019, n. 44 del 2016 e n. 335 del 2004).

La sospensione delle procedure esecutive deve costituire, pertanto, un evento eccezionale: «un intervento legislativo − che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore − può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora […] siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale» (sentenza n. 186 del 2013).

Deve sussistere un ragionevole bilanciamento tra i valori costituzionali in conflitto, da valutarsi considerando la proporzionalità dei mezzi scelti in relazione alle esigenze obiettive da soddisfare e alle finalità perseguite (ex plurimis, sentenze n. 212 del 2020, n. 71 del 2015, n. 17 del 2011, n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e n. 1130 del 1988).

Nella fattispecie in esame, in particolare, viene in rilievo il diritto all’abitazione, che costituisce «diritto sociale» (sentenze n. 106 del 2018 e n. 559 del 1989) e «rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione» (sentenza n. 44 del 2020). Esso, benché non espressamente menzionato, deve ritenersi incluso nel catalogo dei diritti inviolabili (sentenze n. 161 del 2013, n. 61 del 2011 e n. 404 del 1988) e il suo oggetto – l’abitazione – deve considerarsi «bene di primaria importanza» (sentenze n. 79 del 2020 e n. 166 del 2018).

Anche nell’ipotesi in cui sia in discussione il diritto all’abitazione del debitore esecutato, la sospensione delle procedure esecutive può tuttavia essere contemplata dal legislatore solo a fronte di circostanze eccezionali e per un periodo di tempo limitato, e non già con una serie di proroghe, che superino un ragionevole limite di tollerabilità (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003).

Dal blocco delle esecuzioni al blocco degli sfratti: tutto incostituzionale?

La dichiarazione di incostituzionalità della norma sulla sospensione delle esecuzioni aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore dovrebbe indurre il Governo e la maggioranza ad aprire gli occhi sull’iniquità del blocco degli sfratti, in atto dal 17 marzo 2020 ed ulteriormente prorogato, per scaglioni di anzianità della convalida, al 30 giugno, 30 settembre e 31 dicembre 2021.

Del resto, diversi giudici hanno rimesso alla Consulta la questione di legittimità delle disposizioni sulla reiterata sospensione delle esecuzioni di rilascio degli immobili in caso di morosità nelle locazioni.

Sembra evidente, infatti, il contrasto con il comma 2 dell’articolo 3 della Costituzione in quanto il blocco degli sfratti non prende in considerazione, come invece era successo per provvedimenti analoghi del passato (si pensi alla sospensione degli sfratti prevista dal D.L. 450/2001), le condizioni economiche delle parti e la meritevolezza degli interessi contrapposti.

Si tutela esclusivamente e in modo automatico il conduttore, senza valutare e senza lasciare al giudice alcun margine di apprezzare, nel caso concreto, le condizioni economiche in cui versa il locatore, anch’egli colpito dall’emergenza legata alla pandemia e pertanto posto, eventualmente, anche in stato di indigenza dall’impossibilità di percepire i canoni per oltre un anno.

Per il Tribunale di Savona, il blocco degli sfratti fa «gravare su una parte dei cittadini, indebitamente e indistintamente ritenuti capaci di sopportarne le conseguenze, una misura di carattere sostanzialmente assistenziale, che avrebbe dovuto essere posta a carico della fiscalità generale».

Non sembra giustificabile, perché contraria all’articolo 3 della Costituzione, la sospensione indiscriminata della liberazione degli immobili, anche per quelli oggetto di sfratto convalidato prima della pandemia e per cui l’inadempimento del conduttore non ha relazione causale con l’emergenza.

In precedenza, era stato il Tribunale di Trieste a censurare la normativa sul blocco sfratti “sia nella parte in cui sospende i provvedimenti di rilascio anche per situazioni estranee all’emergenza sanitaria quali le situazioni di morosità relative al mancato pagamento del canone alle scadenze e che si siano verificate anteriormente al manifestarsi della pandemia, sia nella parte in cui, prevedendo ipso iure la sospensione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, impedisce al Giudice dell’Esecuzione di delibare e valutare, mettendole a raffronto comparato, le distinte esigenze del proprietario rispetto a quelle dell’occupante ai fini del decidere se disporre la sospensione”.

È giunto il momento di tutelare anche i diritti dei proprietari immobiliari.


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