“Il cerchio si chiude” intorno alla validità della clausola claims made

“Il cerchio si chiude” intorno alla validità della clausola claims made

Con pronuncia del   24 Settembre 2018 n. 22437 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione tornano ad escludere l’invalidità della clausola claims made nel contratto di assicurazione. Tale sentenza ribadisce in parte quanto espresso dalla sentenza precedente n. 9140 del 6 maggio 2016, fornendo tuttavia ulteriori charimenti.

L’inserimento delle clausole claims made  risulta derogatorio rispetto all’articolo 1917 del codice civile il quale sancisce, in materia di responsabilità civile, che l’assicuratore debba tenere indenne l’assicurato per le conseguenze dei fatti avvenuti durante il tempo dell’assicurazione.

La clausola claims made pura prevede, che i sinistri coperti dalla polizza siano quelli denunciati sotto la vigenza della medesima a prescindere dal momento del verificarsi del fatto lesivo; quella impura prevede invece che, ai fini del risarcimento, sia il fatto lesivo che la denuncia debbano avvenire sotto la vigenza del contratto. L’inserimento di tali clausole ha lo scopo di limitare l’incertezza dell’assicuratore in merito alla propria esposizione in quei casi in cui il danno derivante dal fatto lesivo e la conseguente denuncia possano manifestarsi anche a distanza di parecchio tempo rispetto all’evento da cui si sono originati. D’altro canto tale clausola consente di adeguare la copertura assicurativa alle effettive esigenze dell’assicurato che mira ad essere tenuto indenne dalle richieste risarcitorie, essendo irrilevanti i casi in cui ad un fatto illecito non faccia seguito alcuna richiesta risarcitoria.

Le problematiche sollevate in merito  alla possibile invalidità di tali clausole sono state risolte in senso negativo, avallando ormai la Corte di Cassazione la tesi secondo la quale tali clausole non possono ritenersi invalide per il solo fatto di ancorare la copertura assicurativa alle richieste risarcitorie e non al fatto lesivo, come previsto dall’art. 1917 del codice civile.

Di seguito una sintesi delle considerazioni espresse nelle due sentenze delle Sezioni Unite. Le principali censure sull’invalidità delle clausole claims made nei contratti assicurativi si sono incentrate sulla vessatorietà e sulla nullità per difetto di meritevolezza.

Riguardo al primo profilo si è eccepito che, con l’inserimento delle clausole in questione, il rischio garantito diviene la responsabilità reclamata e non la responsabilità civile, il che, potendo verificarsi che ad un fatto lesivo non faccia seguito alcuna richiesta risarcitoria, potrebbe condurre ad una limitazione del rischio.

La Corte di Cassazione ha tuttavia escluso la vessatorietà di tali clausole poiché le medesime non limitano il rischio garantito ma definiscono l’oggetto del contratto, mediante la descrizione dei sinistri indennizzabili. Le parti possono infatti prevedere un concetto di sinistro diverso rispetto al modello legale purché ciò realizzi la copertura di un rischio apprezzabile che non faccia venir meno lo scopo pratico del contratto.

Sussistono tuttavia margini per ravvisare la vessatorietà nel singolo rapporto qualora l’inserimento della clausola realizzi, avuto riguardo all’intero assetto contrattuale, un significativo squilibrio normativo tra le parti. Ovviamente nel caso di rapporto tra consumatore e professionista troverà applicazione la nullità di protezione prevista dal codice del consum; nel caso di rapporti tra professionisti la tutela sarà quella formale prevista dall’art. 1341 del codice civile.

Per alcuni tipi di attività, la non corretta esecuzione può sfociare in un decorso dannoso  che si manifesta anche molto tempo dopo la negligenza commessa; l’inserimento di una clausola claims made di tipo misto potrebbe portare ad una copertura del rischio troppo limitata considerando che, alla luce delle recenti pronunce, tanto la richiesta del terzo che la denuncia dell’assicurato devono avvenire durante la vigenza della polizza.

Secondo l’orientamento, ormai consolidato con l’ultima pronuncia della Corte di Cassazione, l’inserimento di una clausola claims made, anche impura o mista, rientra nell’autonomia negoziale delle parti, non essendo ontologicamente incompatibile con la piena validità del contratto. Il giudizio sul la meritevolezza va condotto caso per caso dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità.

La Corte, nella sua ultima sentenza si richiama al rispetto degli obblighi informativi precontrattuali e a quanto espresso nell’articolo 183 del Codice delle assicurazioni, il quale obbliga le assicurazioni a fornire ai clienti contratti adeguati.

In assenza di specifiche discipline di settore la Corte di Cassazione ha stabilito che occorre avere riguardo al singolo rapporto contrattuale e all’assetto di interessi complessivo stabilito dalle parti, sussistendo comunque ampi margini per l’operatività di rimedi come la nullità totale o parziale per difetto di causa concreta, l’annullabilità per vizi del consenso o il risarcimento del danno precontrattuale in caso di informativa inadeguata.

Si tratterà di valutare se il contratto nel suo complesso fornisce una copertura assicurativa adeguata anche in relazione all’importo del premio e ad altre clausole eventualmente inserite nel contratto.

Non è infrequente infatti che l’inserimento della clausola claims made venga temperato dall’inserimento di altre clausole come quella di retroattività o di ultrattività che contribuiscono a rendere il contratto nel suo complesso idoneo alla tutela del rischio a cui è esposto l’assicurato.

In materia di copertura assicurativa per la responsabilità civile della struttura sanitaria e del medico è la legge stessa che è intervenuta per disciplinare il contenuto della polizza in modo tale da garantire una copertura adeguata rispetto ai rischi connessi all’attività svolta. La L. 24 del 2017 che ha introdotto la riforma “Gelli-Bianco” prevede agli articoli 10 e 11 che la garanzia assicurativa debba prevedere una copertura temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo ed in caso di cessazione definitiva dell’attività professionale, deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento del danno presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi alle richieste riferite a fatti determinatesi nel periodo di efficacia della polizza.


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