Il Codice Rosso: le norme a tutela delle vittime della violenza domestica e di genere

Il Codice Rosso: le norme a tutela delle vittime della violenza domestica e di genere

Il 09.08.2019 è entrata in vigore il c.d. Codice Rosso, ovvero la legge 19.07.2019, n. 69[1], con l’obiettivo di apportare modifiche al sistema di repressione penale della violenza domestica e di genere per far fronte al crescente stato emergenziale collegato alla commissione di questa tipologia di reati[2]. L’intervento normativo in commento si sviluppa su due versanti: su quello processuale, la riforma delinea una corsia preferenziale per i “reati spia” affinché eventuali stasi nell’acquisizione e nell’iscrizione delle notizie di reato o nello svolgimento delle indagini preliminari non pregiudichino la tempestività di interventi (cautelari o di prevenzione) a tutela della vittima[3]; su quello sostanziale si assiste all’inasprimento del trattamento sanzionatorio di alcuni delitti ed all’introduzione di nuove fattispecie di reato[4].

Definizione di “violenza nei confronti delle donne” e di “violenza domestica”. La Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica[5] definisce la “violenza nei confronti delle donne come la “violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata” (art. 3, lett. a)); mentre, con l’espressione “violenza domesticadesigna “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima” (art. 3, lett. b)). Su tale scia, la stessa definizione è ripresa dall’art. 3 del d.l. 14.08.2014, n. 93[6].

La disciplina processuale introdotta con la legge 19.07.2019, n. 69. Gli articoli da 1 a 3 della legge de qua intervengono sul codice di rito penale. In particolare, l’art. 1[7] prevede che acquisita la notizia di reato relativa ai delitti di violenza domestica e di genere, la Polizia Giudiziaria (d’ora in avanti: P.G.) riferisce immediatamente al Pubblico Ministero (d’ora in avanti: P.M.), anche in forma orale; alla comunicazione orale seguirà, senza ritardo, quella scritta[8]. Il P.M. entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato deve assumere informazioni dalla persona offesa e da chi ha denunciato i fatti di reato[9]. Il termine di 3 giorni[10] può essere prorogato solo in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa (art. 2)[11]: in questo caso, il P.M. ne dà atto con proprio provvedimento, emesso in forma scritta, che verrà inserito nel fascicolo delle indagini preliminari.

Infine, la P.G. deve procedere senza ritardo, quindi nell’immediatezza, al compimento degli atti di indagine delegati dal P.M. e deve porre senza ritardo a disposizione del P.M. la documentazione delle attività svolte (art. 3)[12]. Il numero delle audizioni della vittima deve essere limitato e devono avere luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale; inoltre, laddove il P.M. ritenga di procedere con delega all’assunzione delle informazioni della persona offesa, la P.G. provvederà con urgenza alle relative citazioni, fissando l’escussione nel termine di 3 giorni.

L’art. 5[13] dispone che entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri ed il Corpo di Polizia penitenziaria attivano presso gli istituti di formazione corsi destinati al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria in relazione alla prevenzione ed al perseguimento dei reati di cui agli articoli 1, 2 e 3 o che interviene nel trattamento penitenziario delle persone per essi condannate.

Con l’entrata in vigore del Codice Rosso, l’art. 6[14] aggiunge un ulteriore comma all’art. 165 c.p., in materia di sospensione condizionale della pena, prevedendo che con riguardo ai reati di violenza domestica e di genere la sospensione condizionale della pena è subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero dei soggetti condannati per i medesimi reati.

Sul versante del diritto penale sostanziale, l’art. 9[15] prevede l’inasprimento delle pene per i reati caratterizzati dalla violenza di genere. Nello specifico, per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi la pena è innalzata da 3 a 7 anni. Inoltre, sono previste circostanze aggravanti se il reato è commesso in presenza o in danno di minore, donna in stato di gravidanza o persona con disabilità; infine, il legislatore ha previsto che il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti deve considerarsi persona offesa dal reato, con la legittimazione a costituirsi parte civile nel processo penale, essendo considerato vittima diretta di violenza assistita.

La cornice edittale della pena prevista per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. è aumentata (da 6 mesi a 5 anni) ad un minimo di 1 anno di reclusione ad un massimo di 6 anni e 6 mesi. Analogo discorso per i reati di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, di violenza sessuale di gruppo, che subiscono un innalzamento nel minimo e nel massimo edittale.

L’art. 14[16] interviene sulle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale per inserire l’art. 64-bis, in base al quale ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o cause relative ai figli minori di età o relative alla potestà genitoriale, il giudice penale deve trasmettere, senza ritardo, al giudice procedente copia delle ordinanze relative a misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento di archiviazione e delle sentenze emesse nei confronti di una delle parti in relazione ai reati di violenza domestica e di genere. Gli ulteriori commi modificano il codice di procedura penale con la finalità di estendere la tutela delle vittime dei reati di violenza di genere.

L’art. 15[17] prevede obblighi di comunicazione alla persona offesa, al suo difensore ed al Giudice civile, al fine di realizzare il miglior coordinamento dal punto di vista giudiziario e di dare la più ampia possibilità di esercizio del diritti di difesa alla vittima del reato. Il testo, infatti, impone la comunicazione alla persona offesa ed al di lei difensore dei provvedimenti di scarcerazione, di cessazione della misura cautelare, o della misura di sicurezza detentiva.

L’art. 17[18] modifica l’ordinamento penitenziario, intervenendo sull’art. 13-bis e prevede la possibilità per i condannati per reati sessuali in danno di minori di sottoporsi ad un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno, suscettibile di valutazione ai fini della concessione dei benefici penitenziari. Il provvedimento integra questo catalogo di reati con i delitti di cui agli artt. 572 c.p., 583-quinquies c.p. e 612-bis c.p.

L’art. 18[19] interviene sul d. l. n. 93/2013 con riferimento al riparto di somme tra le regioni per il rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza (art. 5-bis, II comma). La riforma elimina la previsione che impone di riservare un terzo dei fondi disponibili all’istituzione di nuovi centri e di nuove case-rifugio. Conseguentemente, nel riparto annuale tra le regioni ci si deve limitare a perseguire l’obiettivo di riequilibrare la presenza dei centri antiviolenza e delle case-rifugio in ogni regione.

L’art. 19[20] apporta modiche al decreto legislativo 09.11.2007, n. 204, individuando nella procura presso il tribunale, in luogo della procura presso la Corte d’appello, l’autorità di assistenza cui rivolgersi quando il reato che dà diritto all’indennizzo sia stato commesso nel territorio di uno Stato membro dell’Unione europea ed il richiedente l’indennizzo sia stabilmente residente in Italia.

L’art. 20[21] interviene sulla disciplina del fondo per l’indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti di cui al D. Lgs. n. 204/2007, inserendo al II comma il richiamo alla nuova fattispecie di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso. Inoltre, prevede che l’indennizzo per i delitti di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima, è erogato in favore della vittima o degli aventi diritto nella misura determinata dal decreto 31.08.2017.

Le nuove fattispecie di reato. Come rappresentato, la legge n. 69/2019 introduce quattro nuove fattispecie di reato.

L’art. 4 introduce il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis c.p.)[22]. Il nuovo articolo punisce la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa adottati in via cautelare dal giudice. Si tratta delle misure cautelari previste ai sensi degli artt. 582-bis e 582-ter c.p.p. necessarie per prevenire la commissione di ulteriori reati e proteggere la vittima. Invero, prima del Codice Rosso, l’inosservanza delle prescrizioni imposte trovava risposta sanzionatoria in termini endoprocessuali: in particolare, ai sensi dell’art. 299, IV comma, c.p.p., il giudice, valutato l’aggravamento delle esigenze cautelari, poteva sostituire o eventualmente cumulare, la misura cautelare imposta con una più grave.

L’art. 7 introduce il reato di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.)[23]. In particolare, il nuovo delitto punisce con la reclusione da 1 a 5 anni chiunque con violenza o minaccia costringe una persona a contrarre vincolo di natura personale o una unione civile; approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile. Come si evince, le fattispecie contemplate sono 2: la prima è un’ipotesi speciale di violenza privata ex art. 610 c.p. qualificata dalla natura del fatto imposto (rectius: il matrimonio o l’unione civile); la seconda punisce l’induzione al matrimonio mediante abusi psicologici o modalità coercitive, meno dirette della costrizione, ma ugualmente idonee a condizionare la libertà di decisione. Inoltre, il reato è punito anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia[24]. Infine, l’art. 558-bis c.p. reca le circostanze aggravanti del reato di matrimonio forzato; in particolare, la pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto. La pena è da 2 a 7 anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici.

L’art. 10 introduce il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, c.d. “revenge porn” (art. 612-ter c.p.)[25]. Si tratta di un reato introdotto per fronteggiare la crescita di una nuova fenomenologia delittuosa che, tramite la strumentalizzazione della rete Internet, divulga telematicamente foto, video o immagini relativi alla vita intima di una persona. Invero, prima della vigenza del Codice Rosso, tali condotte erano ricondotte entro lo spettro di operatività del reato di diffamazione a mezzo Internet (art. 595, III comma, c.p.) o entro il delitto di illecito trattamento dei dati personali (art. 167 del D. Lgs. n. 196/2003); ma la riconducibilità a tali fattispecie risultava incompatibile rispetto al bene giuridico tutelato: per tale ragione, il legislatore ha introdotto la nuova fattispecie nella Sezione III del Titolo XII del codice penale, dedicato alla regolamentazione dei delitti contro la libertà morale.

L’art. 612-ter c.p. sanziona il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti prevedendo la pena della reclusione da 1 a 6 anni e la multa da € 5.000 a 15.000. Lo stesso trattamento sanzionatorio si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonda a sua volta al fine di recare nocumento agli interessati. In particolare, la pena è aggravata se il reato di pubblicazione illecita è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, ovvero da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa; se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici; se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza (in questi casi la pena è aumentata da un terzo alla metà).

Le condotte tipiche sono 5: invia, consegna, cede, pubblica o diffonde; l’impiego della preposizione disgiuntiva per separare le ultime 2 forme comportamentali (pubblica o diffonde) conferma che si tratta di condotte alternative equivalenti.

Inoltre, secondo quanto stabilito all’ultimo comma, il delitto è punito a querela della persona offesa nel termine di 6 mesi; la remissione della querela può essere solo processuale, ferma restando la procedibilità d’ufficio per le ipotesi in cui opera l’aggravante speciale della particolare condizione di inferiorità fisica e per i casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

L’art. 12 introduce il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.)[26]. La nuova fattispecie punisce con la reclusione da 8 a 14 anni la lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso[27]. In particolare, la valutazione della sussistenza della deformazione o dello sfregio deve avvenire mediante un giudizio estetico fondato sul punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità; pertanto, il giudice, nel compiere tale giudizio, non si dovrà servire di alcuna indagine peritale e non dovrà essere in possesso di alcuna competenza di carattere tecnico.

L’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo generale, in quanto il reo deve aver agito con la consapevolezza e la volontà di porre in essere una condotta idonea a realizzare l’offesa descritta.

Inoltre, la riforma interviene sull’art. 576 c.p., prevedendo l’applicazione dell’ergastolo qualora il delitto di omicidio sia conseguente alla commissione del delitto di deformazione dell’aspetto mediante lesioni al viso; introduce modifiche all’art. 585 c.p., prevedendo che il delitto sia aggravato quando commesso con il concorso delle circostanze di cui all’art. 576 c.p. (pena aumentata da un terzo alla metà) e di quelle di cui all’art. 577, ovvero quando commesso con armi o con sostanze corrosive o da persona travisata o da più persone riunite (pena aumentata fino a un terzo). La norma, inoltre, predispone l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela ed all’amministrazione di sostegno in caso di condanna, ovvero sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.

Infine, modifica l’art. 4-bis ord. penit., consentendo l’applicazione dei benefici penitenziari per i condannati per il delitto di deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno; inoltre, quando il reato è commesso in danno di minore, ai fini della concessione dei benefici può essere valutata la positiva partecipazione al programma di riabilitazione psicologica specifica di cui all’art. 13-bis ord. penit.

 


[1] Recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”.
[2] La violenza domestica e di genere è ricondotta dalla legge de qua alle seguenti fattispecie incriminatrici: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.); violenza sessuale (art. 609-bis, 609-ter e 609-octies c.p.); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.); atti persecutori (art. 612-bis c.p.); diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.); lesioni personali aggravate e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.).
[3] Sotto il profilo processuale sono stati modificati gli artt. 90-ter c.p.p., 275, comma II-bis, c.p.p., 282-quater c.p.p., 299 c.p.p., II comma, 347, III comma, c.p.p., 362 c.p.p., 370 c.p.p., 659 c.p.p.
[4] Sotto il profilo sostanziale sono state introdotte le fattispecie di cui agli artt. 387-bis c.p., 558-bis c.p., 583-quinquies c.p., 612-ter c.p.; sono state introdotte circostanze aggravanti e sono stati modificati, mediante aggravamento, i limiti sanzionatori delle fattispecie di cui agli artt. 572 c.p., 609-bis c.p., 609-ter c.p., 609-octies c.p. e 612-bis c.p.
[5] Tale Convenzione, c.d. “Convenzione di Istanbul”, adottata dal Consiglio d’Europa l’11.05.2011, è entrata in vigore il 01.08.2014, a seguito del raggiungimento del numero di 10 ratifiche. L’Italia ha svolto un ruolo importante in questo percorso, essendo stata tra i primi paesi europei a fare propria la Convenzione, ratificandola con la l. 27.06.2013, n. 77. Ad oggi la Convenzione, siglata da 44 Stati parte del Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea (che l’ha firmata il 13 giugno 2017), è stata ratificata da 27 Stati (Albania, Andorra, Austria, Belgio, Bosnia e Erzegovina, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Italia, Malta, Monaco, Montenegro, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia, Turchia e Norvegia). La Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza.
[6] Recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, convertito con modificazioni dalla L. 15.10.2013, n. 119 (in Gazzetta Ufficiale 15.10.2013, n. 242).
[7] Art. 1, “Obbligo di riferire la notizia del reato”: “1. All’articolo 347, comma 3, del codice di procedura penale, dopo le parole: «nell’articolo 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6)» sono inserite le seguenti: «del presente codice, o di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice penale»”.
[8] Alla comunicazione orale seguirà la trasmissione dell’informativa di reato entro le 24 ore successive, al fine di garantire l’immediato intervento del P.M. e della P.G. Inoltre, per le notizie acquisite nel tardo pomeriggio o nella nottata, il termine di 24 ore è prorogato di un giorno e, comunque, il deposito deve essere fatto entro le ore 11:00 antimeridiane. In entrambi i casi, il termine scadente in un giorno festivo è prorogato al primo giorno lavorativo successivo.
[9] Sulla nozione di persona offesa, si richiama l’attenzione alle nuove disposizioni in materia, per le quali il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. si considera persona offesa dal reato (art. 9 l. n. 69/2019).
[10] Il termine è da intendersi come ordinatorio; se scade in un giorno festivo “è prorogato di diritto al primo giorno non festivo” (art. 172, III comma, c.p.p.) e non si applica la sospensione del periodo feriale, trattandosi di attività urgente.
[11] Art. 2, “Assunzione di informazioni”: “1. Dopo il comma 1-bis dell’articolo 362 del codice di procedura penale è aggiunto il seguente: «1-ter. Quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”.
[12] Art. 3, “Atti diretti e atti delegati”: “1. Dopo il comma 2 dell’articolo 370 del codice di procedura penale sono inseriti i seguenti: «2-bis. Se si tratta di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5, 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, la polizia giudiziaria procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero.
2-ter. Nei casi di cui al comma 2-bis, la polizia giudiziaria pone senza ritardo a disposizione del pubblico ministero la documentazione dell’attività nelle forme e con le modalità previste dall’articolo 357»”.
[13] Art. 5: “Formazione degli operatori di polizia”: “1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri e il Corpo di Polizia penitenziaria attivano presso i rispettivi istituti di formazione specifici corsi destinati al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria in relazione alla prevenzione e al perseguimento dei reati di cui agli articoli 1, 2 e 3 o che interviene nel trattamento penitenziario delle persone per essi condannate. La frequenza dei corsi e’ obbligatoria per il personale individuato dall’amministrazione di appartenenza. 2. Al fine di assicurare l’omogeneità dei corsi di cui al comma 1, i relativi contenuti sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione, dell’interno, della giustizia e della difesa”.
[14] Art. 6 “Modifica all’articolo 165 del codice penale in materia di sospensione condizionale della pena”: “1. All’articolo 165 del codice penale, dopo il quarto comma è inserito il seguente: «Nei casi di condanna per i delitti di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis, nonché agli articoli 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati». 2. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli oneri derivanti dalla partecipazione ai corsi di recupero di cui all’articolo 165 del codice penale, come modificato dal citato comma 1, sono a carico del condannato”.
[15] Art. 9 “Modifiche agli articoli 61, 572 e 612-bis del codice penale, nonché al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”: “1. All’articolo 61, numero 11-quinquies, del codice penale, le parole: «contro la libertà personale nonché del delitto di cui all’articolo 572» sono sostituite dalle seguenti: «e contro la libertà personale». All’articolo 572 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: «da due a sei anni» sono sostituite dalle seguenti: «da tre a sette anni»; b) dopo il primo comma è inserito il seguente: «La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi»; c) è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.». All’articolo 612-bis, primo comma, del codice penale, le parole: «da sei mesi a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «da un anno a sei anni e sei mesi». All’articolo 4, comma 1, lettera i-ter), del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, le parole: «del delitto di cui all’articolo 612-bis» sono sostituite dalle seguenti: «dei delitti di cui agli articoli 572 e 612-bis». All’articolo 8, comma 5, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, le parole da: «di cui» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «di cui agli articoli 1, comma 1, lettera c), e 4, comma 1, lettera i-ter), il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione o da minori»”.
[16] Art. 14 “Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e agli articoli 90-bis e 190-bis del codice di procedura penale”: “1. Dopo l’articolo 64 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è inserito il seguente: «Art. 64-bis (Trasmissione obbligatoria di provvedimenti al giudice civile). – 1. Ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all’esercizio della potestà genitoriale, copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l’archiviazione e della sentenza emessi nei confronti di una delle parti in relazione ai reati previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter del codice penale, nonché dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale è trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente».
All’articolo 90-bis, comma 1, lettera p), del codice di procedura penale, le parole: «e alle case rifugio» sono sostituite dalle seguenti: «alle case rifugio e ai servizi di assistenza alle vittime di reato».
3. All’articolo 190-bis, comma 1-bis, del codice di procedura penale, le parole: «anni sedici» sono sostituite dalle seguenti: «anni diciotto»”.
[17]Modifiche agli articoli 90-ter, 282-ter, 282-quater, 299  e  659  del codice di procedura penale”: “1. All’articolo 90-ter del codice di procedura penale è aggiunto,infine, il seguente comma: «1-bis. Le comunicazioni previste al comma 1 sono sempre effettuate alla persona offesa e al suo difensore, ove nominato, se  si  procede per  i  delitti  previsti  dagli  articoli  572,  609-bis,   609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis  del  codice  penale,nonché dagli articoli 582 e 583-quinquies del  codice  penale  nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo  comma,  del  codice penale». 2. Al comma 1 dell’articolo 282-ter del codice di procedura  penale sono aggiunte, in fine,  le  seguenti  parole:  «,anche  disponendo l’applicazione delle  particolari  modalità  di  controllo  previste dall’articolo 275-bis». 3. Al comma 1 dell’articolo  282-quater  del  codice  di  procedura penale,  dopo  le  parole:  «alla  parte  offesa»  sono  inserite  le seguenti: «e, ove nominato, al suo difensore». 4. Al comma 2-bis dell’articolo 299 del codice di procedura penale, le parole: «al difensore della  persona  offesa  o,  in  mancanza  di questo, alla persona offesa» sono sostituite  dalle  seguenti:  «alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore».5. Dopo il comma 1 dell’articolo 659 del codice di procedura penale è inserito il seguente:  «1-bis. Quando  a  seguito  di  un  provvedimento  del  giudice  di sorveglianza deve essere disposta la scarcerazione del condannato per uno dei  delitti  previsti  dagli  articoli  572,  609-bis,  609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis  del  codice  penale, nonché dagli articoli 582 e 583-quinquies del  codice  penale  nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo  comma,  del  codice penale, il pubblico ministero che cura l’esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesae, ove nominato, al suo difensore»”.
[18] Art. 17 “Modifiche all’articolo 13-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento psicologico per i condannati per reati sessuali, per maltrattamenti contro familiari o conviventi e per atti persecutori”: “1. All’articolo 13-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: «nonché agli articoli 609-bis e 609-octies del medesimo codice, se commessi in danno di persona minorenne» sono sostituite dalle seguenti: «nonché agli articoli 572, 583-quinquies, 609-bis, 609-octies e 612-bis del medesimo codice»; b) è aggiunto, in fine, il seguente comma: «1-bis. Le persone condannate per i delitti di cui al comma 1 possono essere ammesse a seguire percorsi di reinserimento nella società e di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, organizzati previo accordo tra i suddetti enti o associazioni e gli istituti penitenziari»; c) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Trattamento psicologico per i condannati per reati sessuali, per maltrattamenti contro familiari o conviventi e per atti persecutori»”.
[19] Art. 18 “Modifica all’articolo 5-bis del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, in materia di riequilibrio territoriale dei centri antiviolenza”: “1. All’articolo 5-bis, comma 2, lettera d), del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, le parole da: «riservando un terzo» fino alla fine della lettera sono soppresse”.
[20] Art. 19 “Modifiche al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, recante attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reato”: “1. Al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 1, le parole: «la procura generale della Repubblica presso la corte d’appello» sono sostituite, ovunque ricorrono, dalle seguenti: «la procura della Repubblica presso il tribunale»; b) all’articolo 3, comma 1, le parole: «procura generale della Repubblica presso la corte d’appello» sono sostituite dalle seguenti: «procura della Repubblica presso il tribunale»; c) all’articolo 4, le parole: «procura generale della Repubblica presso la corte d’appello» sono sostituite, ovunque ricorrano, dalle seguenti: «procura della Repubblica presso il tribunale»; d) all’articolo 7, comma 1, le parole: «delle procure generali presso le corti d’appello» sono sostituite dalle seguenti: «delle procure della Repubblica presso i tribunali»”.
[21] Art. 20 “Modifica all’articolo 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122, in materia di indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti”: “1. All’articolo 11, comma 2, della legge 7 luglio 2016, n. 122, dopo le parole: «secondo comma, del codice penale» sono inserite le seguenti: «nonché per il delitto di deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso di cui all’articolo 583-quinquies del codice penale»”.
[22]Chiunque, essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e 282-ter del codice di procedura penale o dall’ordine di cui all’articolo 384-bis del medesimo codice è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
[23]Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto. La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia”.
[24] La previsione è stata introdotta in considerazione di un fenomeno che negli ultimi anni ha assunto una dimensione ultranazionale: si tratta dei casi in cui giovani donne straniere, residenti in Italia, sono costrette o indotte a stipulare matrimoni da celebrarsi all’estero e comunque fuori dall’ordinamento italiano. Pertanto,  far fronte a questa emergenza, il legislatore ha esteso la disciplina anche ai casi in cui il fatto è stato commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o straniero residente in Italia.
[25] “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.
2. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o il video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
3. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
4. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
5. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.
[26]Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni. La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno”.
[27] Per deformazione del viso deve intendersi una grave alterazione, pressoché irreparabile, del volto  che determini nell’osservatore ripugnanza e ribrezzo, mentre, integra lo sfregio permanente “qualsiasi nocumento che, senza provocare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità” (Cass. Pen., Sez. V, 18.04.2016, n. 21394).

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Ludovica Ionà

- Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi "Roma Tre", con tesi di laurea in diritto penale, dal titolo "L'art. 41-bis ord. penit.: il c.d. "carcere duro"". - Praticante avvocato abilitato al patrocinio.

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