Il contratto di cointeressenza

Il contratto di cointeressenza

Il contratto di cointeressenza è una figura giuridica con cui si dà vita ad un rapporto sinallagmatico tra due soggetti in ordine alla partecipazione agli utili e alle perdite di un’attività di impresa e, pur essendo affine all’associazione in partecipazione, non rientra nell’alveo dei contratti associativi. Con l’art. 2554 c.c. il legislatore disciplina il suddetto contratto ed individua due diversi aspetti di cointeressenza: quella propria, che ricorre nell’ipotesi in cui un contraente attribuisca ad altri la partecipazione agli utili e alle perdite della sua impresa, senza il corrispettivo di un determinato apporto; quella impropria, che ricorre nell’ipotesi di cointeressenza ai soli utili di una impresa senza partecipazione alle perdite. In questa seconda categoria, è controversa la presenza dell’apporto[1], tenendo presente che parte della dottrina ritiene ultroneo un concreto contributo del cointeressato[2].

Sebbene la disposizione di riferimento del contratto di cointeressenza sia incorporata nel capo del codice civile che regola l’associazione in partecipazione, le due fattispecie risultano sottoposte ad una disciplina parzialmente difforme in quanto la cointeressenza risulta connessa solo all’attività di impresa, mentre l’associazione in partecipazione afferisce anche al compimento di uno o più affari. Si rileva, inoltre, che nella cointeressenza, in assenza di esplicito richiamo all’art. 2550 c.c., l’imprenditore può assumere altre compartecipazioni senza il preventivo assenso dei precedenti cointeressati. Tuttavia, nonostante le insuperabili differenze, al contratto di cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite, previsto dall’art. 2554 c.c., si applicano le disposizioni stabilite per l’associazione in partecipazione, fintanto che sono escluse le norme regolatrici della fattispecie societaria, fra le quali l’art. 2263 c.c. sulla presunzione di uguaglianza del valore dei conferimenti dei soci della società semplice.

Nell’ulteriore ipotesi in cui la quota degli utili spettante all’associato non sia determinata nel contratto, il criterio da applicarsi ai fini di tale determinazione è quello della proporzionalità, ossia della commisurazione della quota al valore dell’apporto dell’associato rispetto al valore dell’impresa dell’associante o dell’affare o degli affari da questo gestiti (Cass. 1134/1968). Gli aspetti caratterizzanti la cointeressenza, propria o impropria, rispetto alla società sono sostanzialmente identici a quelli normalmente individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per l’associazione in partecipazione[3].

Il contratto di cointeressenza, per l’appunto, si differenzia dal contratto di società per la mancanza di un autonomo patrimonio comune, risultante dai conferimenti dei singoli soci e per la mancanza di comune gestio dell’impresa che è esercitata, anche nei rapporti interni, dal solo associante, cui compete di svolgere ogni attività relativa all’impresa stessa secondo la propria libera determinazione, anche con l’assunzione della responsabilità esclusiva verso i terzi; mentre il cointeressato può esercitare eventualmente, ove sussista apposito patto e nei limiti in esso fissati, un mero controllo sulla gestione dell’impresa della quale resta dominus l’associante (Cass. 3442/1985; Cass. 5518/1981).

È da tener presente che, nell’attività lavorativa prestata in favore dell’impresa, senza vincolo di dipendenza e senza garanzia di guadagno, è configurabile, nel concorso dei requisiti di cui all’art. 2549 c.c., sia un’associazione in partecipazione, qualora sia prevista una partecipazione ai soli profitti e non anche alle perdite, nonché una cointeressenza (art. 2554 c.c.). In entrambe le ipotesi, la partecipazione agli utili può consistere nel diritto ad una percentuale sul prezzo di vendita dei prodotti, relativamente ai quali l’associato ha fornito la sua opera (Cass. 2960/1975). Consolidata giurisprudenza ha precisato invece che, nella fattispecie in cui l’apporto sia costituito da una prestazione lavorativa, non è ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite. L’art. 2554 c.c., infatti, fa richiamo, in tale caso, alla norma di cui all’art. 2102 c.c. in ordine alla sola partecipazione agli utili attribuita al prestatore di lavoro, mostrando in tal modo di escludere l’ammissibilità di un tale contratto di mera cointeressenza allorché l’apporto dell’associato consista in una prestazione lavorativa (Cass. 24781/2006).

Anche il contratto di mutuo, con il quale una parte versa all’altra una somma determinata per l’acquisto di un’azienda con l’obbligo per l’altra parte di corrispondere mensilmente una percentuale sulla somma mutuata e con dispensa del mutuante dalle eventuali perdite, si distingue dall’associazione in partecipazione e dalla cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite, sia perché nel mutuo il versamento della somma ha lo scopo di un semplice finanziamento e non quello di realizzare un’attività economica in comune, sia anche perché il corrispettivo pattuito per il mutuante è predeterminato in misura fissa e periodica, laddove nella cointeressenza il corrispettivo si estrinseca nella partecipazione agli utili il cui contenuto, per essere aleatorio, può variare ed anche mancare del tutto (Cass. 463/1972).

Il legislatore, dal punto di vista tributario, assimila, in virtù dell’articolo 109, comma 9, lettera b) del Tuir, la fattispecie oggetto del presente lavoro a quella dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro in quanto prevede che gli utili corrisposti dal reddito del “cointeressante” siano deducibili nonché la tassazione degli stessi sia riferita in capo al percettore, ovvero al “cointeressato”. Tale orientamento è peraltro confermato dalla circolare n. 26/E del 16 giugno 2004, nonché dalla risoluzione n. 62 del 16 maggio 2005.


[1] Uberti Bona, Cointeressenza, in ED, VII, Milano, 1960, 307

[2] In questo senso, De Ferra, Associazione in partecipazione, in EG, III, Roma, 1988, 8; Weigmann, Cointeressenza, in Digesto comm., II, Torino, 1988, 124; Riccardelli, Ripartizione degli utili nell’associazione in partecipazione, in Le Società, Casi e questioni, II, Milano, 1990, caso n. 121.

[3] Uberti Bona, op.cit,, p. 309


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Francesco Castaldi

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