Il Csm dice sì all’intercettazione di persone non indagate

Il Csm dice sì all’intercettazione di persone non indagate

Si può essere seguiti, intercettati, localizzati con rilevatori e microspie nell’automobile non essendo nemmeno indagati ma rivestendo la sola qualità di persona informata sui fatti? Per il Csm sì, visto che un recente provvedimento dell’organo di autogoverno della magistratura ha ritenuto questa procedura del tutto legittima, chiudendo con una delibera di archiviazione il procedimento disciplinare a carico di un sostituto procuratore.

I fatti. Il procedimento era stato aperto in seguito all’esposto presentato dalla giornalista Rosaria Federico nei confronti del sostituto procuratore Silvio Marco Guarriello, della Procura di Salerno. Nella segnalazione al Csm si parlava di «incomprensibili compressioni della libertà personale», «preoccupante condotta prevaricatrice della libertà di un cittadino» e «inammissibile, arbitrario e inquisitorio metodo di ricostruzione dei fatti». La vicenda nasce da un articolo pubblicato il 29 giugno del 2016, in cui la cronista dava conto delle rivelazioni di un collaboratore di giustizia sull’omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo. Il 23 settembre fu convocata dalla sera alla mattina in Procura e ascoltata dal pm come persona informata sui fatti, in una breve deposizione nel corso della quale invocò il segreto professionale a tutela della fonte che le aveva rivelato l’indiscrezione. Solo ora è emerso che in quel frangente fu collocata sulla sua auto una microspia, ma nell’esposto si riporta un ammonimento del magistrato: «Io utilizzerò qualsiasi mezzo per scoprire chi le ha dato la notizia. E quando dico qualsiasi mezzo dico qualsiasi mezzo!». Poco dopo essere andata via la giornalista fu raggiunta da un agente di polizia e obbligata a seguirlo negli uffici della Squadra Mobile, dove le fu notificato un ordine di esibizione del cellulare per verificare telefonate e messaggi e le fu infine intimato di mostrare anche le chat della messaggeria whatsapp. Lei rifiutò di aprire le chat, spiegando che ciò avrebbe comportato la disvelazione – in violazione delle norme – di tutte le sue fonti. Il cellulare le fu sequestrato e – solo allora – fu indagata per inosservanza al decreto di ispezione del telefono. Quell’accusa è poi stata archiviata; pochi giorni fa il Csm ha chiuso con l’archiviazione anche il procedimento disciplinare sul magistrato.

La delibera del Csm. Quanto accaduto rientra per il Csm nelle «fisiologiche strategie investigative», come già affermato dalla Procura generale della Cassazione che ha parimenti archiviato l’indagine. Nella seduta dello scorso 14 novembre il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha quindi recepito le conclusioni della Prima Commissione e ha stabilito che l’operato del sostituto procuratore «risulta corretto ed adeguato». Agli atti c’è tra l’altro la relazione dello stesso Guarriello, sintetizzata in delibera. Vi si legge che dopo la pubblicazione dell’articolo era stato subito aperto un procedimento a carico di ignoti per il reato di cui all’art 326 c.p. (rivelazione di segreti d’ufficio) aggravato per una presunta agevolazione di interessi mafiosi dall’articolo 7 D.L. 152/199 (convertito in L. 203/1991 e ora confluito nell’art.416 bis.1 del codice penale); «in tale procedimento – si aggiunge – non era stato iscritto ex art. 335 c.p.p. il nome della Federico “perché non vi era prova che la stessa avesse fatto qualcosa in più dall’essere una mera destinataria della notizia, né vi erano indizi per ritenere che la stessa avesse istigato il P.U. infedele”; nel corso delle indagini era stata disposta l’acquisizione di tabulati telefonici per le utenze in uso alla Federico, si era installato un mezzo di localizzazione satellitare sull’automobile della predetta e si erano effettuate intercettazioni telefoniche ed ambientali, autorizzate dal Gip, sempre sulle utenze e nell’automobile della stessa; il 23 settembre 2016 la Federico era stata convocata in Procura per rendere sommarie informazioni, dinanzi a se stesso, titolare del fascicolo; la Federico si era avvalsa del segreto professionale; mentre la Federico si trovava in Procura si era provveduto ad installare una microspia nella sua automobile; lo stesso 23 settembre 2016 era pervenuta un’informativa di p.g. nella quale si riferiva che “la giornalista utilizzava l’applicativo whatsapp proprio per ricevere dalle sue fonti copia di atti giudiziari”; poiché “le comunicazioni che avvengono mediante detto sistema non sono intercettabili”, si determinava quindi “l’esigenza di verificare se nella memoria dello smartphone della Federico fossero conservati nell’applicativo whatsapp elementi relativi al reato per il quale si procede e, quindi, si rendeva necessario procedere ad ispezione di cose, ovvero dei telefoni”».

Le reazioni. L’archiviazione del procedimento disciplinare a carico del magistrato ha provocato la reazione della Fnsi (Federazione nazionale della stampa) e del Sugc (il Sindacato unitario dei giornalisti campani): «Nonostante l’archiviazione – ha sottolineato il segretario regionale Claudio Silvestri – i fatti rilevati dal Csm, e cioè che la collega era già stata seguita e intercettata dalla Procura, sono gravissimi. C’è stata una ingerenza pericolosa che ha leso nelle fondamenta il diritto di cronaca e quello sacrosanto della riservatezza delle fonti. Ricordo inoltre che l’accesso ai dati del cellulare della collega fu impedito solo grazie all’intervento di un perito del sindacato». In un commento congiunto Fnsi e Sugc evidenziano che «in un sistema democratico che sia degno di questo nome neanche la magistratura può esercitare controllo sulla stampa». E concludono:«Ci auguriamo che il primo ministro Giuseppe Conte dica cosa intende fare per giungere in tempi brevi all’approvazione di una legge che garantisca il segreto professionale e che tuteli i giornalisti dalle querele bavaglio e dai vergognosi attacchi della politica ai quali stiamo assistendo in questi giorni».


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Clementina De Maio

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