Il danno da lesione delle prerogative parlamentari nel delitto di abuso d’ufficio

Il danno da lesione delle prerogative parlamentari nel delitto di abuso d’ufficio

Cassazione penale, Sezione VI, n. 49538/2016

Solo qualche giorno fa sono state depositate le motivazioni della sentenza n. 49538/2016, ultimo atto della vicenda giudiziaria, nata dall’inchiesta “Why Not?”, per un’ipotesi di abuso d’ufficio contestata al magistrato titolare della relativa indagine e al proprio consulente tecnico per aver “acquisito, elaborato e trattato illecitamente i tabulati telefonici relativi ad utenze” riconducibili ad alcuni membri parlamentari, nell’ambito di un procedimento in fase di indagini, in violazione delle norme di legge che si approfondiranno a breve.

Ripercorrendo le tappe del caso in esame, si ricorda che in primo grado lo stesso si è concluso con una condanna, mentre in appello la Corte aveva assolto gli imputati.

Prima di esaminare le importanti conclusioni raggiunte in tema di abuso d’ufficio è utile effettuare una breve premessa rispetto alla fattispecie delineata dall’art. 323 c.p.

Tale norma si colloca all’interno dei delitti contro la pubblica amministrazione, categoria posta a tutela dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, beni giuridici desumibili dall’art. 97/2 Cost.

La formulazione odierna, derivante dall’avvicendamento di varie riforme legislative (Legge 86/1990, Legge 234/1997 e, da ultimo, la Legge 190/2012 che ha inasprito la sanzione penale, aumentandone la reclusione da 1 a 4 anni) cerca di colmare le carenze di tassatività di cui soffriva la disposizione previgente, assimilata, per tali ragioni, ad una norma penale in bianco.

Con la riforma si è scelto di tipizzare la condotta, ancorando il danno o il vantaggio ingiusto alla violazione di norma di legge o di regolamento ovvero all’omessa astensione in situazioni di conflitto di interessi (si allega il testo in vigore dell’art. 323 c.p.: “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico sevizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”).

Tanto premesso, la sentenza in esame si confronta con l’elemento oggettivo della fattispecie criminosa sotto due profili.

Il primo aspetto concerne la possibilità di configurare la “violazione di norme di legge” richiesta dalla fattispecie rispetto alle guarentigie parlamentari. Nello specifico, si discute se tale autorizzazione debba richiedersi anche per l’attività di acquisizione di tabulati telefonici.

Preliminarmente, si rileva che le prerogative parlamentari presentano una copertura già a livello costituzionale.

L’art. 68/3 Cost., infatti, prevede, per quanto di nostro interesse per il caso di specie, che “analoga autorizzazione (si fa riferimento all’autorizzazione della Camera di appartenenza rispetto ad attività investigative specifiche descritte al comma 2) è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”.

Lo stesso è previsto anche a livello legislativo dalla L. 140/2003 che, per orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, sottopone ad autorizzazione preventiva non solo le utenze dei parlamentari ma tutte le comunicazioni perché la ratio dell’art. 68 Cost. è quella di tutelare il libero esercizio nell’esercizio delle funzioni parlamentari.

In questo senso, allora, anche sulla base di quanto statuito dalla sent. della Corte Cost. 390/2007, richiamata dalla stessa sentenza in esame, l’operatività dell’autorizzazione non ha come oggetto solo le utenze dei parlamentari, bensì tutte le comunicazioni dirette o indirette, perché ciò che rileva è la direzione dell’atto d’indagine. Se quest’ultimo è diretto ad accedere alla sfera di comunicazione del membro della Camera, allora, sarà necessaria la preventiva autorizzazione.

È sulla base di queste osservazioni che la Suprema Corte fa rientrare negli atti sottoposti ad autorizzazione preventiva anche quanto compiuto nell’inchiesta “Why Not?”, cioè l’acquisizione e l’elaborazione di alcuni tabulati telefonici rispetto ad utenze che, al momento della richiesta, sulla base degli elementi raccolti, potevano ritenersi riferibili ad alcuni parlamentari.

Tale attività di indagine, quindi, se realizzata senza la preventiva autorizzazione, deve ritenersi esercitata in violazione della L. 140/2003.

La Corte di legittimità fuga, poi, qualsiasi dubbio circa la possibilità di sanare tale violazione attraverso una richiesta di autorizzazione ex post.

Tale attività è inammissibile perché comporterebbe la concessione all’Assemblea parlamentare della possibilità “di sanare, rendendoli utilizzabili, mezzi di prova acquisiti contra constitutionem” (Corte Cost. Sent. 390/2007 ripresa dalla Cass. n. 49538/2016).

In conclusione, l’attività investigativa così esercitata integrerebbe la condotta criminosa richiesta dall’art. 323 c.p.

Resta da esaminare, ancora, il secondo importante profilo.

L’abuso d’ufficio, infatti, richiede la verificazione, intenzionale, di un danno ingiusto o di un ingiusto vantaggio patrimoniale.

L’evento del danno ingiusto rappresenta, invece, un profilo di difficile accertamento nel caso in esame, in quanto è stato necessario verificare, primariamente, se dall’acquisizione dei tabulati predetti sia derivato un danno ingiusto per i parlamentari e, secondariamente, che tale danno sia stato procurato intenzionalmente.

Rispetto alla configurazione del danno ingiusto, la Suprema Corte ritiene integrato tale elemento nel caso di specie, rilevando, in ossequio all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, che lo stesso possa attenere anche alla sfera non patrimoniale dei soggetti o ai loro diritti.

In questo senso è stato riconosciuto un danno ingiusto nella “lesione delle prerogative parlamentari, compiuta mediante l’adozione di un provvedimento di acquisizione, agli atti di un procedimento penale, di dati ottenuti in violazione delle guarentigie riconosciute al membro del Parlamento, ovvero mediante l’elaborazione di tali dati illegittimamente acquisiti” (Cass. Pen., sent. n. 49538/2016, p. 26).

Nello specifico, l’acquisizione e l’elaborazione dei tabulati telefonici risultano immediatamente lesivi – e da qui l’ingiustizia del danno – delle sfere di prerogative attribuite ai parlamentari per tutelare la libertà del parlamentare nello svolgimento del suo mandato elettivo, quindi il funzionamento della Camera di appartenenza.

Inoltre, tale danno si mantiene autonomo dalla condotta illecita, costituendo l’evento della fattispecie e dovendosi, quindi, ritenere rispettato il requisito della cd. “doppia ingiustizia” richiesto dal delitto in esame.

Infine, per quanto concerne l’elemento soggettivo della fattispecie, specialmente in relazione alla tesi per cui non può esserci abuso senza che l’agente agisca in modo diretto contra ius, anche rispetto al danno ingiusto, la Suprema Corte non ritiene che l’abuso d’ufficio segua una disciplina diversa da quella di tutti gli altri reati, delineando una fattispecie sorretta da una condotta e un evento “obiettivamente percepibili indipendentemente dalla componente rappresentativa e volitiva che la deve sorreggere” (Cass. Pen., sent. n. 49538/2016, p. 27).

Sulla base delle osservazioni appena richiamate la Suprema Corte ha annullato la sentenza di appello, limitatamente ad alcuni capi d’imputazione, e ha rinviato il procedimento al giudice civile competente, che avrà il compito di accertare, agli effetti civili, se sussiste l’elemento psicologico dei reati contestati.

Il rinvio al giudice civile si deve al fatto che è, ormai, decorso il termine di prescrizione delle fattispecie contestate.

Si attende, quindi, il nuovo giudizio civile per gli ulteriori sviluppi del caso.


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