Il danno da nascita indesiderata: onere della prova e legittimazione del nato malformato al risarcimento

Il danno da nascita indesiderata: onere della prova e legittimazione del nato malformato al risarcimento

Il danno da nascita indesiderata costituisce la conseguenza di un errore medico consistente in una errata diagnosi prenatale che non consente di identificare una malformazione del feto, impedendo così alla gestante di decidere circa l’interruzione della gravidanza.

L’analisi di questo delicato tema si incentra essenzialmente su due questioni: l’onere della prova e la legittimazione del nato malformato alla richiesta risarcitoria nei confronti del medico che ha errato o omesso l’informazione circa la sussistenza di patologie in capo al feto.

Relativamente alla prima delle due questioni, si sono registrati due orientamenti che, sebbene concordi nel ritenere che spettasse alla gestante dimostrare che l’accertamento dell’esistenza di malformazioni in capo al feto l’avrebbero indotta all’interruzione della gravidanza e che la conoscenza di tale malformazione le avrebbe provocato uno stato psicologico tale da porre in pericolo il suo stato di saluto psico-fisico, divergono circa la determinazione del contenuto della prova richiesta alla gestante.

Ed invero, un primo e risalente orientamento ritiene sufficiente che la donna alleghi quale onere della prova che si sarebbe avvalsa della facoltà di interrompere la gravidanza qualora fosse stata informata della malformazione del feto, essendo in ciò implicito il pericolo per la saluta fisica e psichica derivante dal trauma connesso all’apprendimento della notizia (Cass. n° 22837/2010).

Un secondo orientamento, invece, ritiene che l’onere della prova non può ritenersi assolto dimostrando che la gestante aveva chiesto di sottoporsi ad esami volti ad accertare lo stato di salute del feto, in quanto tale richiesta costituisce esclusivamente un indizio privo dei caratteri di univocità e gravità al quale non può essere conferito valore decisorio (Cass. n° 7269/2013).

Le Sezioni Unite con sentenza n° 25767/2015 sono intervenute sulla questione sostenendo che la gestante dovrà assolvere all’onere probatorio allegando e provando che, ove informata circa la sussistenza delle malformazioni del feto che avrebbero giustificato l’interruzione della gravidanza, non avrebbe proseguito la gravidanza, non potendosi tuttavia escludere che tale onere possa essere assolto in via presuntiva.

Ancora più marcato è il contrasto sulla seconda questione – legittimazione del nato malformato alla richiesta di risarcimento –  rispetto alla quale si registrano due orientamenti di segno completamente opposto.

L’orientamento prevalente –  posto che l’ordinamento giuridico italiano tutela il concepito e il diritto a nascere sani inteso nel senso che nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie – sostiene che non sia configurabile nel nostro ordinamento un diritto “a non nascere se non sani”, e pertanto,  non riconosce in capo al nato malformato alcun diritto al risarcimento del danno nei confronti del medico e/o della struttura sanitaria per non aver la madre – per difetto d’informazione – esercitato il diritto d’interruzione della gravidanza (Cass. n° 10741/2009).

Di contro, un orientamento giurisprudenziale sicuramente minoritario riconosce il diritto al risarcimento del danno in capo al nato malformato il quale, per la violazione del diritto di autodeterminazione della madre, si duole non della sua nascita ma del proprio stato di minorità fisica o psicofisica in cui è costretto a vivere (Cass. n° 9700/2011)

Le Sezioni Unite con la sentenza di cui supra si sono pronunciate anche su quest’ultima questione e, prendendo le mosse dal concetto “danno – conseguenza” di cui all’art. 1223 c.c riassumibile, con espressione empirica, nell’avere di meno, a seguito dell’illecito, hanno ritenuto che – ricorrendo a tale ricostruzione dogmatica – il danno sarebbe rappresentato dalla stessa vita del bambino e l’assenza di danno dalla sua morte. Sulla scorta di tale premessa, le Sezioni Unite hanno statuito che poiché la “non vita” non può considerarsi un bene giuridicamente tutelato, non potrà riconoscersi in capo al nato malformato una legittimazione alla richiesta del risarcimento danni, e pertanto, un diritto “a non nascere se non sani”.


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