Il decesso dell’ex coniuge non incide sul provvedimento di assegnazione della casa familiare

Il decesso dell’ex coniuge non incide sul provvedimento di assegnazione della casa familiare

Corte di Cassazione, sez. I, ord. 15.01.2018 n. 772

Pres. Francesco Tirelli – Rel., Giulia Iofrida

Con la sentenza in epigrafe, la prima sezione del Supremo Collegio di Legittimità ha affermato che il decesso dell’ex coniuge non influisce sul’assegnazione della casa familiare, la quale resta attribuita sulla base dell’interesse prevalente dei figli.

Prima di analizzare quanto statuito dai giudici della Suprema Corte di Cassazione, occorre sottolineare che, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c (introdotto dal D.Lgs. 154/2013 che ha abrogato l’art. 115 quater c.c., a sua volta introdotto dalla L. 54/2006), “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli“.

Presupposto indefettibile è, dunque, la disponibilità – “godimento“- dell’immobile che può essere rappresentata dal diritto di proprietà (di uno o di entrambi i coniugi), da un diritto reale, da un diritto di locazione o di comodato.

L’interesse che rileva ai fini dell’assegnazione è quello dei figli, posta la ratio di tale misura la quale è volta ad evitare “l’ulteriore trauma di un allontanamento dall’abituale ambiente di vita” (Cass., SS.UU., 26.7.2002 n. 11096), consentendo la permanenza nell’ambiente domestico in cui essi sono cresciuti.

Centrale ai fini dell’interpretazione di tale disposizione normativa è la sentenza n. 308/2008 della Corte Costituzionale la quale ha ritenuto che la misura de qua trovi il suo fondamento costituzionale nell’art. 30 Cost. e, soprattutto, ha evidenziato che il concetto di “mantenimento” comprende, non solo le misure economiche disposte dall’autorità giudicante in favore dei figli, ma anche la necessità di un corretto sviluppo psicologico e fisico del minore.

Pertanto, la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, interessi e consuetudini della vita e che contribuisce alla formazione armonica della personalità, si pone quale mezzo essenziale per la maturazione e la crescita della prole.

La casa familiare, quindi, rappresenta un “luogo di formazione e sviluppo della personalità psico-fisica” della prole e, proprio in ragione di tale peculiarità, il legislatore ha ritagliato la disciplina della sua assegnazione.

La disposizione codicistica ivi analizzata, inoltre, afferma che il giudice tiene conto dell’assegnazione della casa familiare nella regolazione dei rapporti tra i coniugi e descrive le cause di cessazione dell’assegnazione (come l’inizio di una convivenza more uxorio o la celebrazione di un nuovo matrimonio).

Il co. 2 dell’art. 337 sexies, ancora, prevede la trascrizione, ai sensi dell’art. 2643 c.c., del provvedimento di assegnazione o di revoca ai fini dell’opponibilità dello stesso ai terzi.

Ciò chiarito, nel caso di specie, il fratello del coniuge divorziato – nelle more del procedimento deceduto – si è visto accogliere, dal Tribunale, e poi respingere, dalla Corte d’Appello, la domanda di condanna della ex cognata al rilascio dell’immobile, rappresentante la casa coniugale ed assegnata alla donna in quanto genitore affidatario dei figli.

In particolare, secondo il giudice di prime cure, la morte dell’ex coniuge fa venire meno il diritto personale di godimento sull’immobile con conseguente obbligo di restituzione dello stesso a chi, nel frattempo, ne sia divenuto proprietario.

Al contrario, la Corte d’Appello – riformando la sentenza impugnata – ha affermato che l’evento morte non intacca, in alcun modo, la destinazione dell’immobile, essendo posto a tutela dell’interesse superiore della prole. L’assegnazione della casa familiare, come precisano i giudici di impugnazione, è “estranea alla categoria degli obblighi di mantenimento” e non trova alcun tipo di interruzione a seguito della cessione dell’immobile stesso a terzi, quale conseguenza della trascrivibilità dello stesso provvedimento di assegnazione, ex art. 2643 c.c., il quale lo rende noto a tutti i potenziali acquirenti. 

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 772/2018, conferma le statuizioni della sentenza dei giudici di Appello.

Specificamente, il massimo organo di nomofilachia richiama alcune precedenti pronunce del medesimo (Cass. 23591/2010; Cass. 15367/2015) con cui si evidenza che, “l’assegnazione della casa familiare è uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre e diverse finalità“; la scelta dell’autorità giudiziaria, dunque, non può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi ma occorre valutare l’esigenza degli stessi alla permanenza nel loro “habitat domestico“.

In sostanza, secondo i giudici di Piazza Cavour, l’assegnazione della casa coniugale non costituisce una voce delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio, a seguito delle novità introdotte dal D.lgs. 54/2006 la quale – applicando il principio della bigenitoritalità – ha messo in evidenza come l’unico parametro di valutazione per tale tipologia di provvedimento sia l’interesse dei figli (sganciandolo, così, dall’affidamento degli stessi, posto che – con la riforma del 2006 – il modello di riferimento è l’affidamento condiviso e non anche quello monogenitoriale).

Ne consegue che, essendo l’assegnazione connotata da un “vincolo di destinazione collegato all’interesse dei figli“, il provvedimento deve essere rispettato dal terzo acquirente entro i limiti di durata nei quali è a lui opponibile.

Il diritto di abitazione, infatti, non viene meno a seguito della scomparsa dell’ex coniuge “trattandosi di un diritto personale di godimento “sui generis” che, in funzione del “vincolo di destinazione collegato all’interesse dei figli”, si estingue” con l’estinzione dei presupposti legittimanti l’assegnazione – quali la morte del beneficiario, il raggiungimento della maggiore età o della indipendenza economica dei figli – ovvero con la sussistenza delle circostanze, normativamente postivizzate, dalle quali può derivare una revoca giudiziale (quali la celebrazione di nuove nozze oppure la instaurazione di una convivenza more uxorio del beneficiario o la mancata utilizzazione della casa da parte dell’assegnatario).

Infine, la Corte di Cassazione precisa che il terzo non ha diritto, invero, ad alcun tipo di pagamento per tale godimento in quanto, in caso contrario, sarebbe snaturata la funzione stessa dell’istituto, attesa l’incompatibilità di un eventuale corrispettivo con l’esigenza di protezione dei figli.


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