Il delitto di atti persecutori e il rapporto con l’omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p.

Il delitto di atti persecutori e il rapporto con l’omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p.

Sommario: 1. Premessa – 2. L’art. 612-bis c.p.: struttura del reato – 3. Rapporti tra il delitto di atti persecutori e l’omicidio aggravato: il contrasto giurisprudenziale – 4. La rimessione alle Sezioni Unite – 5. Conclusioni

 

1. Premessa

Seguendo una linea di tendenza già presente in altri ordinamenti a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, il legislatore italiano ha introdotto all’interno del Codice penale un’apposita disciplina finalizzata a contrastare il fenomeno dello stalking.

La disciplina relativa allo stalking è concepita secondo una strategia integrata di intervento, che da un lato, inserisce nel tessuto normativo il nuovo reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) e, dall’altro, prevede un insieme di altre misure riguardanti la regolamentazione processuale dei provvedimenti cautelari, la normativa civilistica in materia di allontanamento dalla casa familiare e i poteri di polizia.

2. L’art. 612-bis c.p.: struttura del reato

L’art. 612 bis c.p. è iscritto all’interno del capo III dedicato ai delitti contro la libertà individuale.[1]

La disposizione è stata inserita nell’ordinamento con il D.L. n. 11/2009, convertito il L. n. 38/2009. Essa è stata in seguito modificata dal D.L. n. 93/2013, convertito in L. n.  119/2013; e, ancora, dalla L. n. 69/2019.

La norma in esame punisce “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.”

Il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice è la libertà morale, e in particolare la libertà da intrusioni o molestie assillanti.

Inoltre, nella misura in cui la violazione di tale libertà provoca disagi tali da pregiudicare l’equilibrio psicologico della vittima, la tutela si estende al piano dell’integrità psichica della stessa. S’intende garantire al soggetto perseguitato la libertà da ansie e timori eccessivi. La tutela penale ha dunque ad oggetto vari stati mentali psichici che hanno quale riferimento sentimenti e reazioni emotive della vittima.

Il soggetto attivo del reato può essere chiunque.

Quanto alla struttura del reato, essa s’incentra sulla reiterazione di condotte minacciose o moleste e sulla previsione di effetti psichici correlati quali ansia, paura o timore suscitati nella vittima di atti persecutori.

Ci si chiede se tra le condotte prese in esame e gli eventi tipizzati sia necessario accertare l’esistenza di un vero e proprio nesso causale, come per i reati di evento; ovvero, se ai fini della consumazione del reato sia sufficiente che le condotte moleste o minacciose siano idonee a provocare ansia, paura o timore.

La prima tesi è più accreditata: in effetti, la rigorosità del trattamento sanzionatorio è più compatibile con una fattispecie incriminatrice di effettiva lesione, piuttosto che di esposizione a pericolo del bene protetto. Opinare diversamente consentirebbe la sussumibilità nella fattispecie di stalking anche di forme di molestia di incerto disvalore.

Il reato di stalking si delinea per il carattere reiterato e ripetuto delle condotte intrusive.

Tali condotte vengono individuate nella forma della minaccia e della molestia.

Le minacce e le molestie costituiscono fattori condizionanti rispetto ai tre tipi di evento presi in considerazione dalla norma.

Innanzitutto, le condotte di minaccia o molestia debbono essere tali da cagionare un perdurante e grave stato d’ansia o di paura. Si tratta di stati d’animo che la vittima avverte quali conseguenze spiacevoli delle predette condotte assillanti.

Al fine di evitare una dilatazione eccessiva dell’ambito della punibilità, la norma incriminatrice richiede che la vittima subisca uno stress psicologico apprezzabile. È dunque necessario accertare uno stato d’ansia o paura che si manifesti in modo perdurante e grave. Tale verifica deve essere condotta attraverso parametri scientifici propri del sapere medico.

Le condotte di minaccia o molestia devono essere altresì suscettibili di fondato timore per l’incolumità della vittima o di un prossimo congiunto della stessa o di una persona alla medesima legata da relazione affettiva.

Il concetto di timore per l’incolumità va inteso come stato d’animo caratterizzato da sentimenti di paura e ansia per un pericolo incombente sulla base di concrete, e non meramente supposte, circostanze di fatto.

Infine, le condotte di minaccia o molestia devono essere tali da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.

Anche in tal caso l’interprete deve intendere restrittivamente il significato della norma ed escludere la rilevanza penale di condotte che determinano la modifica di abitudini prive di reale significato rispetto allo stile di vita della vittima.

L’elemento psicologico del reato di atti persecutori è il dolo generico. Le condotte del reo devono essere caratterizzate dalla coscienza e volontà di assillare la vittima; egli deve essere consapevole della rilevanza causale di tali condotte rispetto a uno degli eventi tipizzati dalla norma incriminatrice.

Il tentativo è configurabile se si raggiunge la prova di atti aggressivi ripetuti nel tempo idonei a provocare uno degli eventi tipizzati dall’art. 612 bis c.p.

La norma in esame contempla due circostanze aggravanti.

L’art. 612 bis, co. 2, c.p. prevede un aumento di pena quando il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se il fatto è commesso con strumenti informatici o telematici.

L’art. 612 bis, co. 3, c.p. prevede un aumento di pena quando il fatto è commesso nei confronti di una persona che si trovi in una situazione di particolare debolezza.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Il termine per proporre querela è di sei mesi. Nel caso in cui il reato sia commesso nei riguardi di persona che si trovi in una particolare condizione di debolezza, si procederà d’ufficio.

3. Rapporti tra il delitto di atti persecutori e l’omicidio aggravato: il contrasto giurisprudenziale

Di recente, l’art. 612 bis c.p. ha destato l’attenzione della giurisprudenza in relazione ai rapporti con l’omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p.

In particolare, ci si è chiesti se, in caso di concorso tra i predetti reati, sussista un concorso di reati ai sensi dell’art. 81 c.p., o un reato complesso, ai sensi dell’art. 84 c.p, che assorba il disvalore della fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p.

Alla stregua di un primo orientamento[2], non sussiste concorso apparente di norme tra l’art. 612 bis c.p. e l’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p. – che sanziona l’omicidio commesso dall’autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa.

A sostegno di tale conclusione si precisa che l’art. dell’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p. non è un reato complesso.

Il disvalore aggiuntivo che caratterizza l’art. dell’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p. è determinato dall’essere l’autore dell’omicidio colui che precedentemente ha compiuto nei confronti della vittima atti persecutori rilevanti ex art. 612 bis c.p.

Tra l’art. 612 bis c.p. e l’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p. non intercorre neanche un rapporto di specialità. Si esclude, pertanto, l’applicazione dell’art. 15 c.p. che presuppone che tra le fattispecie sussista un rapporto di genere a specie.

In effetti, il reato di atti persecutori si caratterizza per le condotte di minaccia o molestia che sfociano in uno degli eventi previsti dalla norma, i quali non sono lesivi dell’integrità fisica.

Si tratta di un reato abituale con condotta tipizzata.

La fattispecie di omicidio, al contrario, ha ad oggetto l’evento morte ed è un reato istantaneo.

La Cassazione ha dunque affermato che tra le fattispecie esaminate sussiste concorso materiale di reati.

Altro orientamento[3] ha invece qualificato l’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p. come reato complesso.

Secondo i giudici di legittimità la circostanza aggravante prevista al numero 5.1 dell’art. 576 c.p. sembrerebbe attribuire rilevanza al fatto che l’omicidio sia preceduto da condotte persecutorie quali quelle descritte dall’art. 612 bis c.p.

Ne deriva un trattamento sanzionatorio più rigoroso giustificato dal comportamento tenuto dal reo.

Inoltre, sostenere che tra l’art. 612 bis c.p. e l’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p. vi sia concorso materiale di reati significherebbe violare il divieto del ne bis in idem. Al reo verrebbero addebitati per ben due volte gli atti persecutori, sia a titolo di reato autonomo, sia come circostanza aggravante dell’omicidio.

Per tali ragioni, come già detto, la Cassazione ha sussunto l’art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p. nella disciplina del reato complesso: si evita che all’agente venga addossato due volte lo stesso fatto se l’applicazione di una norma incriminatrice assorbe il disvalore dell’intero comportamento.

4. La rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

Il contrasto giurisprudenziale appena esaminato ha determinato la rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il seguente quesito: “se, in caso di concorso tra i fatti-reato di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell’art 576, co. 1, n. 5.1, sussista un concorso di reati ai sensi dell’art. 81 c.p., o un reato complesso, ai sensi dell’art .84, co. 1, c.p., che assorba integralmente il disvalore della fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p ove realizzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall’agente ai danni della medesima persona offesa.”[4]

5. Conclusioni

All’udienza pubblica del 15 Luglio 2021, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dato al suindicato quesito la seguente soluzione: “la fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori dall’agente nei confronti della vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e 576, co. 1, co. 1, n. 5.1, c.p. – punito con la pena edittale dell’ergastolo – integra un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, co. 1, c.p. in ragione dell’unitarietà del fatto.”

In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, è possibile affermare che la soluzione delle Sezioni Unite appare quella che maggiormente rispetta i principi di materialità, offensività e del ne bis in idem.

Il principio di materialità è rispettato dalla circostanza che sia punito il fatto materiale dell’omicidio, realizzato all’esito delle condotte persecutorie, e non un modo di essere del soggetto che pone in essere il reato.

Il principio di offensività è rispettato dall’applicazione della pena dell’ergastolo.

Da ultimo, applicare l’art. 84 c.p. consente di rispettare il principio del ne bis in idem e di punire il reo una sola volta per aver commesso il reato di atti persecutori.

 

 

 

 

 

 


[1] FIANDACA – MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, Vol. II, Tomo I, I delitti contro la persona, IV ed., pp. 224-234
[2] Cass., Sez. I, n. 20786 del 2019
[3] Cass., Sez. III, n. 30931 del 2020
[4] Cass., Sez. V, Ord. 01/03/2021 (dep. 20/03/2021), n. 14916

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Ambra Calabrese

Avvocato
Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi di laurea in diritto processuale penale dal titolo "L'avviso di conclusione delle indagini preliminari". Conseguimento del diploma di specialista in professioni legali presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali "La Sapienza" di Roma. Abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Roma. Master in Diritto di famiglia e minori conseguito presso Studio Cataldi in collaborazione con il Centro Studi di Diritto di famiglia e dei minori di Roma. Funzionario amministrativo presso il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.

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