Il delitto tentato: una comparazione tra ordinamento italiano e spagnolo

Il delitto tentato: una comparazione tra ordinamento italiano e spagnolo

L’art. 56 del Codice Penale italiano afferma: 1. Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.  2. Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso. 3. Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà”.

L’art. 16 del Codice Penale spagnolo recita: 1. Si configura delitto tentato quando il soggetto da inizio all’esecuzione del reato direttamente attraverso fatti esterni, praticando tutto o parte degli atti che oggettivamente dovrebbero produrre il risultato, e tuttavia ciò non avviene per cause indipendenti dalla volontà dell’autore. 2. Chiunque eviti volontariamente la consumazione del reato sarà esente da responsabilità penale per il delitto tentato, sia desistendo dall’esecuzione già iniziata, sia impedendo la produzione del risultato, ferma restando la responsabilità eventualmente incorsa per gli atti compiuti, se questi erano già costitutivi di un altro crimine”.

L’istituto del delitto tentato si presta ad una generale funzione estensiva della tipicità, permettendo di punire condotte idonee a creare un pericolo diretto nei confronti del bene giuridico tutelato. Si ottiene così una condizione che permette di incriminare condotte prodromiche alla commissione di un delitto consumato, in modo da prevenire l’esposizione al pericolo degli interessi o beni giuridici tutelati.

Attraverso lo strumento dell’anticipazione dell’intervento penale è possibile punire un comportamento che non ha ancora dato luogo alla lesione al bene giuridico tutelato: l’intervento opera di fronte ad una seria prospettiva di condanna, prima che la lesione sia giunta al suo perfezionamento.

Entrambi gli ordinamenti partono così dall’esigenza di anticipazione della tutela penale. Ciò è reso possibile, tenendo conto dell’iter criminis del soggetto, attraverso un arretramento del momento di inizio dell’attività punibile rispetto agli atti esecutivi veri e propri. Così, considerata l’irrilevanza della mera volontà ribelle, è possibile arretrare la soglia di punibilità ad un momento antecedente la commissione del fatto delittuoso in modo da considerare penalmente rilevanti anche agli atti preparatori del reato. 

Una simile operazione è in linea con la comune ratio dell’istituto del delitto tentato: prevenire l’esposizione al pericolo degli interessi o beni giuridici tutelati.

Ciò in quanto, tanto nell’ordinamento spagnolo quanto in quello italiano, il diritto penale, animato da una funzione rieducativa della pena, è chiamato a svolgere un ruolo politico-sociale di prevenzione di comportamenti esterni, e non di volontà o attitudini interne, in relazione alla loro pericolosità obiettiva nei confronti dei beni giuridici.

Difatti, la comune operazione effettuata dai due ordinamenti di analisi dello sviluppo dell’iter criminis, consente proprio di individuare il momento a partire dal quale una certa condotta risulti potenzialmente rilevante come tentativo, mentre invece una condotta che si arresti alla prima fase, di ideazione del reato, è sempre irrilevante. 

Il tentativo punibile. Il problema è, quindi, l’individuazione del tentativo punibile, ovvero il momento a partire dal quale può iniziare ad intervenire il diritto penale.

Entrambi i sistemi penali prediligono l’adozione delle cosiddette teorie oggettive, sebbene con delle differenze legate alla struttura dell’istituto in Spagna ed in Italia.

Quello spagnolo, in particolare, distingue due grandi momenti esterni: quello degli atti preparatori e quello dell’esecuzione (al pari di quanto previsto in Italia sotto la vigenza del codice Zanardelli). Attraverso l’adozione di criteri oggettivi è possibile una chiara delimitazione tra atti preparatori ed atti esecutivi, attraverso la punizione dei soli atti che producono un’obiettiva commozione sociale, dove per gli atti preparatori si tratta solo di quelli particolarmente pericolosi, quali la cospirazione, la proposizione e la provocazione

In modo non dissimile, in Italia la propensione per un’impostazione oggettiva è dovuta ad un migliore sintonia con un impianto penalistico del fatto, presupposto su cui si fonda lo stesso ordinamento penale italiano.

A differenza della Spagna, però, è ormai in disuso la distinzione tra atti preparatori ed esecutivi, per cui, la base oggettiva della punibilità del delitto tentato è ancorata a due presupposti fondamentali: un comportamento materiale, risultato del proposito criminoso dell’agente, e l’effettiva lesione o messa in pericolo del bene o interesse oggetto di protezione, obiettivamente accertabile e conseguente proprio al comportamento materiale posto in essere.

La struttura dell’istituto. Quanto alla struttura dell’istituto, entrambe le disposizioni, art. 16 del Codice Penale spagnolo ed art. 56 di quello italiano, si compongono di un elemento oggettivo e di uno soggettivo.

In merito al primo, quello oggettivo, si evince come entrambi gli ordinamenti richiedano un rapporto di immediatezza tra la condotta dell’agente e la realizzazione del reato.

In particolare, l’avverbio “direttamente” utilizzato dalla previsione spagnola suggerisce che l’inizio dell’esecuzione del delitto debba avvenire direttamente per fatti esteriori. In linea con la sposata teoria oggettivo-materiale, inoltre, è necessario considerare il piano dell’autore, da un punto di vista oggettivo, ancorandolo quindi a due criteri oggettivi di valutazione: la posta in pericolo immediata del bene giuridico protetto e l’immediatezza temporale. Attraverso la formula utilizzata, “direttamente”, si coglie l’esigenza di connessione diretta tra l’atto in esame e la realizzazione del fatto tipico, in modo che il primo appaia come parte del secondo.

D’altro lato, la norma italiana parla di inizio dell’attività punibile, che attraverso il criterio della messa in opera dei mezzi, è individuato nel momento in cui il soggetto pone in essere quelle azioni dirette all’applicazione di mezzi finalizzati ad eseguire il delitto, tenendo conto del suo progetto criminoso sotto il profilo oggettivo e soggettivo, della presenza di un rapporto di immediatezza tra condotta e la realizzazione del reato, tra atti iniziali ed esecuzione del reato, del rapporto che intercorre tra l’atto posto in essere e la finalità sottesa. Il tutto ancorato ai criteri di idoneità ed univocità degli atti.

Per quanto riguarda l’altro elemento, quello soggettivo, in entrambi gli ordinamenti il delitto tentato si configura in presenza del criterio normale di imputazione del dolo.

In particolare, in Spagna si parla di “risoluzione a consumare il delitto”, attraverso un effettivo impulso volontario della condotta esterna. È necessario quindi che il soggetto realizzi gli atti che oggettivamente compie con l’animo di consumare il fatto o, almeno, accetti con sicurezza o probabilità che la propria condotta possa dare luogo alla consumazione.

Analogamente, in Italia si esamina l’intenzione criminosa del soggetto. È richiesta la presenza di una volontà intenzionale diretta al conseguimento del risultato preso di mira relativamente al programma delittuoso, attraverso un comportamento volto ad un intento, e non una mera accettazione di un rischio della produzione di un evento possibile o probabile. Pertanto, il fine per il quale il soggetto agisce e verso cui sono diretti gli atti che compie, deve essere certo tanto sul piano materiale quanto su quello psicologico.

La desistenza volontaria. Quanto all’istituto della desistenza, in entrambi i Codici Penali è espressamente richiesto l’elemento della volontarietà, rispettivamente agli art. 56 c.p. italiano e 16 c.p. spagnolo. 

La differenza tra le due normative corre su due differenti aspetti.

In primis, la normativa italiana distingue il trattamento sanzionatorio di due figure differenti: la desistenza volontaria ed il recesso attivo, le quali differiscono in funzione della conclusione o meno dell’azione esecutiva posta in essere dal soggetto agente, da cui, di conseguenza, emerge una chiara differenza in chiave sanzionatoria. Mentre, infatti, al comportamento desistente consegue la non punibilità del soggetto, il volontario impedimento dell’evento criminoso comporta l’attenuazione della pena, circostanza attenuante rispetto al delitto tentato

Diversamente l’articolo 16 del Codice Penale spagnolo considera esclusivamente la desistenza, trattandola però, alla stregua della corrispondente norma italiana, come causa di esclusione di punibilità.

In secondo luogo, un tale atteggiamento premiale, che si risolve nella non punibilità, va letto, nell’ambito dell’ordinamento italiano, in relazione all’illecito penale, ed in particolare rispetto alla carenza di una effettiva offesa configurabile nella situazione tipica. Ciò alla luce di una valutazione soggettiva di un’assente o comunque minore capacità a delinquere del soggetto, che si traduce in una scarsa probabilità di ricaduta a delinquere, risultando così inutile l’applicazione dello strumento rieducativo della pena

Al contrario l’ordinamento spagnolo rifiuta la teoria del premio, negando che la desistenza volontaria costituisca un merito da premiarsi con il perdono o la revoca della punizione. Il motivo della non punibilità del soggetto risiede nel fatto che la desistenza, così come delineata nel Codice spagnolo, annulla il tentativo. Ciò comporta pertanto il venir meno delle ragioni politico criminali della sua punizione. Questo però senza negare l’ingiusto anteriore, ma solo la sua rilevanza penale: da ciò deriva, allora, la mancanza di necessità di pena.


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