Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne

Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne

Sommario: 1. L’obbligo di mantenimento – 2. L’autosufficienza economica e l’adeguata capacità lavorativa – 3. La condotta colpevole – 4. L’onere della prova – 5. La natura giuridica del titolo giudiziale che attribuisce il diritto

 

1. L’obbligo di mantenimento

All’attualità la fonte legislativa delle obbligazioni di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni è costituita dall’art. 337 septies, comma 1, del codice civile il quale prevede che “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.

L’anzidetta disposizione normativa, che ha recepito il dettato normativo dell’abrogato art. 155 quinquies c.c., merita un’attenta disamina con riferimento all’uso del verbo “può” – che indica una mera possibilità – e al criterio generale della “valutazione delle circostanze” legittimanti il ​​permanere dell’obbligo dei genitori, che il giudice del merito deve effettuare caso per caso in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura (Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. civ. Sez. II, 7 luglio 2004, n. 12477) e che, oltre tali “ragionevoli limiti”, l’assistenza economica protratta ad infinitum potrebbe finire col risolversi in forme di vero e proprio parassitismo (Cass. civ. Sez. I, 6 aprile 1993, n. 4108; Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. civ. Sez. I, 14 agosto 2020 n. 17183).

Nel nostro ordinamento giuridico, quindi, i genitori hanno l’obbligo di mantenere i figli  finché non autosufficienti economicamente (Trib. Trapani, 02 luglio 2020, n. 469; Trib. Palermo, 29 giugno 2020, n. 1944 ; Trib. Monza Sez. IV, 19 marzo 2020, n. 590; Trib. Monza Sez. IV, 08 maggio 2019, n. 1062) e tale obbligazione non cessa,  ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età (Cass. civ. Sez. I, 14 dicembre 2018, n. 32529; Cass. civ. Sez. VI, 20 dicembre 2017, n. 30540; Corte App. Roma – Sez. famiglia, 18 novembre 2020, n. 5708; Cass. civ. Sez. VI, 09 ottobre 2020, n. 21752; Corte App. Perugia, 10 settembre 2020, n. 398; Trib. Napoli Sez. I, 30 novembre 2020, n. 8167). 

2. L’autosufficienza economica e l’adeguata capacità lavorativa

Il diritto al mantenimento si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione che tenga conto delle capacità, inclinazioni e aspirazioni del figlio, nella misura in cui siano compatibili con le condizioni economiche della famiglia (Cass. civ. Sez I, 17 luglio 2019 n. 19135, § 12; id. 20 agosto 2014 n. 18076; Cass. civ. Sez. VI, 12 marzo 2018, n. 5883); una volta acquisita una capacità lavorativa e un’autosufficienza economica, seppure temporanea, il diritto cessa di esistere, a meno che non si dimostri che il percorso formativo non sia stato ultimato (Trib. Ancona Sez. I, 01 febbraio 2019, n. 206 ; Trib. Monza Sez. IV, 08 maggio 2019, n. 1062).

Nondimeno, l’obbligo del genitore di concorrere al mantenimento del figlio perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio sia stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (Cass. civ. Sez VI-1, 25 settembre 2017, n. 22314; id. 26 aprile 2017, n.10207; Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. Sez. I, 08 febbraio 2012, n 1773).

Il diritto e l’obbligo de quibus si fondano sulla situazione del figlio, non sulle capacità reddituali dell’obbligato (Cass. Sez. I, 14 agosto 2020 n. 17183).

Similmente, il conseguimento da parte del figlio maggiorenne dell’autonomia economica, derivante all’espletamento di un’attività lavorativa, non può far sorgere in capo ai genitori un nuovo obbligo di mantenimento se i relativi presupposti erano già venuti meno.

Sul punto la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire come l’ingresso effettivo nel mondo del lavoro con la percezione di una retribuzione, sia pure modesta ma che prelude a una successiva spendita della capacità lavorativa a rendimenti crescenti, segna la fine dell’obbligo di contribuzione da parte del genitore e la successiva eventuale perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento (Cass. civ. Sez. VI-I 22 luglio 2019, n. 19696, § 6; id. 14 marzo 2017, n. 6509; Sez. I 02 dicembre 2005, n. 26259; id. 05 agosto 1997, n. 7195).

Di fondamentale importanza, pertanto, sarà il principio di autoresponsabilità, secondo il quale “non è necessaria una prescrizione legislativa che fissi in modo specifico l’età in cui l’obbligo di mantenimento del figlio viene meno: in quanto, sulla base del sistema positivo, tale limite è già rinvenibile e risiede nel raggiungimento della maggiore età […] Il concetto è quello della cd. capacità lavorativa, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro, in particolare un lavoro remunerato. Essa si acquista con la maggiore età, quando la legge presuppone raggiunta l’autonomia ed attribuisce piena capacità lavorativa da spendere sul mercato del lavoro, tanto che si gode della capacità di agire (e di voto) […] l’età maggiore, pertanto, tanto più quando è matura – perché sia raggiunta, secondo l’id quod plerumque accidit, quell’età in cui si cessa di essere ragazzi e di accettare istruzioni ed indicazioni parentali per le proprie scelte di vita, anche minuta e quotidiana, e si diventa uomini e donne – implica l’insussistenza del diritto al mantenimento (Cass. civ. Sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183).

Dunque, il diritto al mantenimento viene meno quando i figli si inseriscono nel mondo del lavoro dimostrando adeguata capacità lavorativa; pertanto, può considerarsi economicamente autosufficiente il figlio che svolga lavori anche stagionali o a tempo determinato (Trib. Ancona Sez. I, 15 febbraio 2019, n. 296).

3. La condotta colpevole

La condotta colpevole del figlio maggiorenne può configurarsi in diversi modi e il giudice è tenuto a valutarla caso per caso.

Sul punto: “è esigibile l’utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, in attesa dell’auspicato reperimento di un impiego più aderente alle proprie soggettive aspirazioni ” (Cass. civ. Sez. I, 14 agosto 2020, n.17183).

Un contesto colpevole, caratterizzato da uno stile di vita sregolato, dall’incompiutezza e insufficienza della qualificazione professionale e dalla indimostrata ricerca di un lavoro senza presa di coscienza delle proprie reali competenze da parte del figlio maggiorenne rende inconfigurabile il diritto al mantenimento tenuto conto che, in virtù del richiamato principio di autoresponsabilità, pretendere il mantenimento senza dimostrare alcun proficuo impegno costituisce un abuso del diritto.

La condotta personale tenuta dal figlio maggiorenne che, esente da condizioni di inabilità lavorativa ed avendo oramai acquisito la necessaria capacità e professionalità rese manifeste dal concreto espletamento di attività subordinata, non è preoccupato in alcun modo di dimostrare l’impegno rivolto verso la ricerca di una proficua e stabile occupazione lavorativa (Cass. civ. Sez. VI 1, 05 marzo 2018, n. 5088; Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952, § 6.2; Sez. VI-1, 12 aprile 2016, n 7168, § 5; Sez. VI pen. ord. 11.01.2019 n. 1342, § 2.2 ) non giustifica l’accoglimento della domanda di mantenimento.

4. L’onere della prova

L’onere di provare – anche presuntivamente – il raggiungimento dell’indipendenza economica, o del colpevole mancato raggiungimento, dei figli è a carico del genitore obbligato (Cass. civ. Sez. VI – 09 ottobre 2020, n. 21752; Cass. civ Sez. VI – 20 dicembre 2017, n. 30540; Cass. civ. Sez. I – 26 maggio 2017, n. 13354; Cass. civ. Sez. I – 22 giugno 2016, n. 12952).

Il genitore, ai fini dell’accertamento dell’insussistenza del diritto del figlio maggiorenne a percepire l’assegno contributivo, è tenuto a provare che il figlio sia divenuto autosufficiente economicamente, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività produttiva di reddito sia imputabile ad un suo comportamento negligente in quanto, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita (Cfr. Trib. Taranto Sez. I, 07 luglio 2016, n. 2257; Cass. civ. Sez. I, 01 febbraio 2016, n. 1858).

Di contro, spetta al figlio maggiorenne che richieda il mantenimento dimostrare non solo la mancanza di indipendenza economica ma anche che, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico,  si sia adoperato effettivamente per rendersi autonomo, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base di alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa “gradita” (Cfr. Cass. civ. Sez. VI, 29 dicembre 2020, n. 29779; Corte app. Perugia, 10 settembre 2020, n. 398; Cass. civ. Sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183; Cass. civ. Sez. VI, 05 marzo 2018, n. 5088). A titolo esemplificativo, nel caso il cui il figlio sia ancora iscritto all’università, lo stesso dovrà dare prova di esser diretto al raggiungimento della propria indipendenza mediante l’impegno negli studi universitari (cfr. Trib. Sez. I – Napoli, 30/ 11/2020, n.8167).

Di fondamentale rilievo, in merito alla prova richiesta, risulterà quindi l’età del figlio. Ciò in quanto – da un lato – l’onere probatorio del genitore è proporzionale all’avanzare dell’età, sino al punto di non poter essere più assolto, nelle situazioni in cui con il raggiungimento di un’età nella quale il percorso formativo, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società, persiste la sua condizione di insufficienza economico reddituale – in assenza di ragioni individuali specifiche – che, piuttosto, costituisce un indicatore di forte d’inerzia colpevole (Cfr. Trib. Taranto Sez. I, 07 luglio 2016, n. 2257); dall’altro lato, invece, la prova del diritto all’assegno di mantenimento sarà tanto più lieve per il figlio quanto più prossima sia la sua età a quella di un recente maggiorenne, e più gravosa man mano che l’età aumenti, sino a configurare il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’auto-responsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all’impegno profuso, nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa (Cfr.  Cass. civ. Sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183; Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952).

La consequenzialità delle condotte perseguite dal raggiungimento della maggiore età costituisce un altro elemento probatorio rilevante: gli ostacoli personali al raggiungimento dell’autosicienza reddituale, in una fase di vita da qualificarsi pienamente adulta sotto il profilo anagrafico, devono venire puntualmente allegati e provati, se collocati all’interno di un percorso di vita caratterizzato da mancanza d’iniziativa e d’impegno verso un obiettivo prescelto (Cfr.  Corte app. Roma – Sez. famiglia, 18 novembre 2020, n. 5708).

5. La natura giuridica del titolo giudiziale che attribuisce il diritto

A questo punto, per completezza, è utile soffermarsi sulla natura giuridica del provvedimento che attribuisce il diritto al mantenimento a favore del figlio maggiorenne.

Ad avviso di chi scrive, la pronuncia giudiziale che – escluso ogni automatismo – attribuisce al figlio maggiorenne l’assegno di mantenimento (“ può ”) all’esito della “ valutazione delle circostanze ” del caso concreto, assume natura ed efficacia costitutiva di tale diritto, anziché meramente dichiarativa come può ipotizzarsi con riferimento al mantenimento a favore dei figli minorenni, contemplato dall’art. 316 bis del codice civile, per i quali il diritto si acquista con la nascita.

Ciò in quanto il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne non preesisteva al titolo ma è nato con esso: il provvedimento giudiziario quel diritto non lo ha trovato, ma lo ha creato. Ragion per cui quel titolo è costitutivo dell’obbligo del mantenimento (Cass. Sez. III 14 ottobre 2021 n. 28048, § 8.1., sia pure con riguardo ad altra specie di diritto pecuniario).

Discende dalla natura ed efficacia costitutiva che il provvedimento giudiziario attributivo del mantenimento a favore del figlio maggiorenne assume efficacia esecutiva dal passaggio giudicato o, quantomeno, diventa produttivo di effetti soltanto con decorrenza dalla pronuncia.


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