Il diritto all’assegno di mantenimento, Cass. 11504/2017: una rivoluzione copernicana o tanto rumore per nulla?

Il diritto all’assegno di mantenimento, Cass. 11504/2017: una rivoluzione copernicana o tanto rumore per nulla?

UNA SENTENZA SENZA PRECEDENTI: DAL PARAMETRO DEL “TENORE DI VITA” MATRIMONIALE AL PRINCIPIO DI AUTOSUFFICIENZA ECONOMICA.

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n° 11504 del 10/05/2017, discostandosi da un precedente consolidato orientamento che ancorava l’assegno divorzile al parametro del tenore di vita matrimoniale,  ha sancito il principio dell’indipendenza economica quale criterio cardine per il riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento a favore del coniuge economicamente più “debole”.

A giudizio della prima sezione della Cassazione il parametro del “tenore di vita”, goduto in costanza di matrimonio, sino ad oggi utilizzato dai giudici di merito come criterio fondamentale per determinare l’assegno divorzile alla luce delle statuizioni della pronuncia delle S.U. n°11490 del 1990, “collide radicalmente con la natura stessa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici”.

Così la Cassazione ha inteso superare un principio sancito nel 1970 dalla legge 898 che ha introdotto il divorzio in Italia e bypassare il disposto del III comma dell’art. 374 c.p.c., per adeguare il diritto di famiglia agli orientamenti degli altri paesi europei, dove l’assegno divorzile si fa discendere essenzialmente dai patti prematrimoniali.

Un cambiamento di rotta che ha destato non poche perplessità tra gli operatori del diritto, un vero e proprio “terremoto giurisprudenziale”, per dirla con i più autorevoli giureconsulti.

Premessa la natura meramente “assistenziale” dell’assegno divorzile, la Cassazione ha ritenuto che il diritto all’assegno di mantenimento non debba essere concesso al coniuge economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo. I Giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che, per la valutazione dell’autosufficienza economica del coniuge “debole”, il giudice di merito dovrà attenersi a nuove linee guida, frutto dell’attività di ius dicere della Suprema Corte.

In sintesi, l’assegno divorzile non va più riconosciuto all’ex coniuge che possiede “redditi”, “patrimonio mobiliare ed immobiliare”, “capacità” e “possibilità effettive” di lavoro personale e “la stabile disponibilità” di un’abitazione.

Pertanto, il diritto all’assegno divorzile non è stato abolito bensì il giudice di merito, nel pronunciarsi sull’an debeatur, dovrà accertare la sussistenza o meno di uno stato di autosufficienza economica, valutando, preliminarmente, la situazione patrimoniale complessiva del coniuge richiedente l’assegno alla luce dei quattro nuovi parametri.

LA “RATIO” DELLA SENTENZA.

Si tratta di una sentenza senza precedenti con la quale la Corte ha inteso superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva all’insegna dell’evoluzione del °sentire” sociale.

La Corte sviluppa il suo ragionamento logico-giuridico partendo dal presupposto che, dissolvendosi il vincolo matrimoniale tra i coniugi, cessa altresì l’obbligo di assistenza morale e materiale.

Per dirla con gli Ermellini, il matrimonio è un “atto di libertà e di autoresponsabilità”; pertanto “si deve ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale”.

La “ratio” della sentenza è chiara: nel momento in cui il rapporto matrimoniale si estingue da un punto di vista personale, dissolvendosi  l’effettiva comunione di vita, deve estinguersi definitivamente anche da un punto di vista economico- patrimoniale, “sicchè ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”.

Orbene, a parere della Cassazione il diritto all’assegno di mantenimento  ha natura assistenziale e, come tale, deve essere riconosciuto solo a favore del coniuge economicamente non autosufficiente, in virtù di un “dovere di solidarietà economica post-coniugale” (art.2 Cost. – art 23Cost.) ed il richiedente dovrà dimostrare di non potersi procurare i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento.

In sintesi, per i Giudici di piazza Cavour appare indispensabile tutelare la dignità dell’ex coniuge economicamente più debole quando questi non abbia a disposizione sufficienti risorse per assicurarsi un’esistenza “libera e dignitosa”.

I QUATTRO PARAMETRI DELINEATI DALLA CASSAZIONE.

Il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare di non essere economicamente autosufficiente e dovrà “allegare, dedurre e dimostrare di non disporre di mezzi economici adeguati o di non poterseli procurare per ragioni obiettive”, restando fermo, ovviamente, il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro coniuge.

La valutazione della posizione economia della parte richiedente l’assegno deve basarsi su quattro parametri:

1) Il primo parametro riguarda i redditi. Il possesso di redditi di qualsiasi specie da parte del coniuge richiedente.

2) Il secondo parametro riguarda i cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari. Il il giudice deve valutare il possesso di tali cespiti, tenuto conto di tutti gli oneri imposti ed applicati e del costo della vita nel luogo di residenza della parte che richiede l’assegno.

3) il terzo parametro riguarda il lavoro, ossia le “capacità” e le “possibilità effettive” di lavoro personale.

 Il giudice dovrà valutare l’età, la salute, il sesso e l’effettiva offerta lavorativa esistente nel luogo di residenza dell’ex coniuge.

4) Il quarto parametro è la stabile disponibilità di una casa di abitazione, ossia l’effettiva disponibilità di una casa che sia per il coniuge luogo di dimora e vita familiare.

Alla luce delle suindicate linee guida il giudice di merito dovrà accertare lo stato di autosufficienza della parte, valutando l’adeguatezza o meno dei mezzi patrimoniali a garantire “un’esistenza libera e dignitosa”.

Secondo i Giudici di piazza Cavour il diritto all’assegno di mantenimento deve essere negato tout court quando si accerti che il coniuge richiedente l’assegno possiede “mezzi economici adeguati” o è “effettivamente in grado di procurarseli”. Qualora, invece, si accerti giudizialmente che il coniuge richiedente non possiede “adeguati mezzi” e non può procurarseli per “ragioni oggettive”, il diritto all’assegno deve essergli riconosciuto.

Una volta accertata la fondatezza della domanda il giudice di merito per la determinazione del quantum debeatur potrà avvalersi di altri elementi.

Precisamente nella sentenza in commento si legge: “l’accertamento dello stato di indipendenza economica, nella fase dell’an debeatur, attiene esclusivamente alla persona dell’ex coniuge richiedente l’assegno come singolo individuo, cioè senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale”. “Soltanto nella fase del quantum debeatur è legittimo procedere ad un giudizio comparativo tra le rispettive posizioni personali ed economico- patrimoniali degli ex coniugi, secondo gli specifici criteri dettati dall’art.5., comma 6, della legge n.898 del 1970 per tale fase del giudizio”. Nel quantificare l’assegno il giudice di merito deve valutare, in rapporto alla durata del matrimonio, le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”.

QUALE REDDITO MINIMO GARANTISCE L’AUTOSUFFICIENZA ECONOMICA?

I giudici di piazza Cavour, tuttavia, hanno delineato delle linee guida generali senza specificare quando è soddisfatto il requisito dell’autosufficienza economica che esclude il diritto all’assegno di mantenimento divorzile.

Sul punto il Tribunale di Milano, con ordinanza del 22/05/2017, ha fornito un importante chiarimento in tema di valutazione dell’an debeatur. Il giudice di merito ha stabilito la soglia di reddito al di sopra della quale il coniuge può definirsi autosufficiente e non avere diritto all’assegno di mantenimento.

Il criterio numerico da utilizzare sarebbe quello del gratuito patrocinio, ossia mille euro circa al mese e chi supera questo tetto non avrà più diritto all’assegno. In realtà, il criterio della soglia degli 11.528,41 euro annui dovrebbe essere mitigato dal criterio del reddito medio percepito nella zona di residenza del richiedente,  essendo innumerevoli le variabili legate al luogo di residenza che possono incidere sul raggiungimento di un’esistenza “libera e dignitosa”.  Pertanto, anche il costo della vita e le circostanze del caso particolare possono influire sulla valutazione della soglia minima di reddito che garantisce l’autosufficienza economica.

In definitiva, il Tribunale di Milano completa la riforma elaborata con sentenza del 10/05/17 n°11504/17 dalla Corte di Cassazione, stabilendo che, ai fini della concessione dell’assegno di divorzio, il parametro per definire quando l’ex coniuge più “debole” raggiunge l’indipendenza economica è il tetto del gratuito patrocino o quello del reddito medio percepito nella zona in cui si vive.

PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO.

Occorre precisare che la “riforma” in esame si riferisce solo al diritto all’assegno divorzile e non si estende alla disciplina del mantenimento conseguente al giudizio di separazione personale dei coniugi, che comporta solo la sospensione dei doveri personali, mentre restano fermi gli obblighi coniugali di cui all’art.143 cod.civ.

Sul piano pratico, la pronuncia della Cassazione dovrebbe incidere solo sui divorzi “illustri” in itinere e, di riflesso, l’ex coniuge che ne abbia interesse potrà chiedere, attraverso la modifica delle condizioni di divorzio, la revoca o la rideterminazione dell’assegno precedentemente concesso.

Sulla scorta delle considerazioni della Corte e, dunque, alla luce del “principio di autoresponsabilità” appare chiaro che l’ex coniuge giovane, laureato,  cui il giudice abbia assegnato la residenza coniugale, perde il diritto al mantenimento dopo il divorzio se rifiuta immotivatamente un posto di lavoro o non si attiva per trovarlo, nonostante il buono stato di salute e la giovane età.

Nel ventaglio delle fattispecie concrete che si troverà ad affrontare il giudice del divorzio, occorre distinguere il caso del coniuge con capacità lavorativa ma inerzia assoluta nella ricerca di un’occupazione dal caso in cui non è possibile invocare il principio di ”autoresponsabilità” per oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro. Si pensi alla condizione del coniuge di mezza età che si è dedicato interamente per decenni alla crescita dei figli e che difficilmente riuscirà a reinserirsi nel mondo del lavoro.

Pertanto, il giudice di merito, investito della domanda di riconoscimento e quantificazione dell’assegno, nella fase di valutazione di spettanza dell’assegno dovrà applicare con cautela il principio di “autosufficienza” economica e quello di “autoresponsabilità”.

A tal fine giova ricordare che le linee guida stabilite dalla Corte dovrebbero vincolare il giudice del divorzio solo nella fase dell’an debeatur. ossia nella fase di valutazione dell’ adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi economici del coniuge “debole” e della possibilità/impossibilità di procurarseli.

Una volta accertata la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto de quo, il giudice di merito, nella fase di quantificazione dell’assegno, potrà rifarsi ad altri elementi che si riferiscono al rapporto di coniugio. Ne deriva che, nonostante il superamento del parametro del “tenore di vita” matrimoniale, il giudice del divorzio nella fase di determinazione dell’assegno ha più ampi margini di discrezionalità, in quanto è legittimato a procedere ad un “giudizio comparativo” tra le rispettive “posizioni”, secondo i criteri sanciti dall’art 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970.  Dunque, la quantificazione dell’assegno è rimessa alla valutazione di elementi che fanno ancora riferimento al rapporto di coniugio, con il conseguente rischio di continuare ad incorrere nella concessione di rendite parassitarie.

In ultima analisi sarebbe auspicabile un intervento del legislatore in materia o, quantomeno, una pronuncia delle S.U in quanto i giudici di merito potrebbero non uniformarsi alle statuizioni della prima sezione della Cassazione, con la conseguenza che tale “riforma”potrebbe rimanere lettera morta.


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