Il diritto di libertà religiosa al tempo dell’emergenza Sars – Covid 19

Il diritto di libertà religiosa al tempo dell’emergenza Sars – Covid 19

Sommario: 1. Considerazioni introduttive sulla gestione normativa dell’emergenza sanitaria: la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali di fronte alla diffusione della malattia Covid-19 – 2. Il diritto di libertà religiosa al tempo della pandemia – 3. Il concreto contributo delle confessioni religiose alla gestione dell’emergenza nel segno di una leale collaborazione con lo Stato – 4.  Attualità e prospettive per l’esercizio della libertà religiosa durante l’emergenza epidemiologica

 

1. Considerazioni introduttive sulla gestione normativa dell’emergenza sanitaria: la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali di fronte alla diffusione della malattia Covid-19

Il contagio prodotto dal virus Sars- CoV-2 rappresenta una emergenza nazionale, oltre che mondiale, senza precedenti nella storia della Repubblica. Il nostro Paese ha reagito utilizzando in rapida successione e con un crescendo di intensità, una pluralità di strumenti, quali ordinanze di ambito nazionale, regionale[1] e locale, decreti legge[2] e dpcm[3], che oltre ad accrescere un senso di incertezza nel tessuto sociale[4] e a minare l’esigenza costituzionale della chiarezza[5], “ha lasciato diritti di libertà fondamentali in balia della miriade di “autorità competenti” previste, a vario titolo, dal nostro ordinamento e dei loro provvedimenti amministrativi, laddove, invece, la Costituzione riserva alla legge le loro limitazioni”[6].

I decreti ministeriali, invero, come le ordinanze ed i provvedimenti dei commissari unici per grandi eventi, hanno la veste esterna del provvedimento amministrativo ma sono sostanzialmente fonti di diritto primario perché contengono disposizioni in deroga alle leggi. Perciò, come più volte indicato dalla Corte costituzionale[7], non sono ammissibili “poteri d’ordinanza non adeguatamente circoscritti nell’oggetto, tali da derogare a settori di normazione primaria richiamati in termini assolutamente generici”, avendo il potere di deroga carattere eccezionale. Di conseguenza, come stabilito dall’art. 13-bis legge n. 400 del 1988, va osservato almeno il limite del rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico” e della “indicazione delle principali norme cui si intende derogare”[8]. Come è noto, in Italia, il tentativo di arginare efficacemente l’emergenza sanitaria derivata dalla diffusione della malattia Covid-19, ha portato alla compressione di numerosi diritti individuali e collettivi, per lo più garantiti a livello costituzionale[9]. Ad essere interessati da queste misure emergenziali vi sono non solo i diritti di libertà, ma anche i diritti sociali, i diritti economici e, addirittura, quelli politici. Tuttavia, la categoria maggiormente interessata da tali misure di contenimento del contagio è indubbiamente quella dei diritti di libertà. Si tratta, infatti, proprio di quei diritti che sono protetti da una forte copertura costituzionale e da un apparato di garanzie che difficilmente consente interventi limitativi da parte del potere esecutivo. Al riguardo, invece, per far fronte all’emergenza sanitaria, l’Ordinamento italiano ha adottato, a partire dai primi di febbraio del 2020, una serie crescente di provvedimenti limitativi dei diritti e delle libertà costituzionali quali, ad esempio, la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà di circolazione[10] e di soggiorno (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.) e la libertà religiosa (art 19 Cost.).

2. Il diritto di libertà religiosa al tempo della pandemia

Con il diffondersi dell’epidemia da Covid- 19, il Governo ha adottato diversi provvedimenti con i quali si è disposta la sospensione delle cerimonie religiose con la presenza di pubblico, facendo salva la possibilità di accedere individualmente ai luoghi di culto[11].   Al riguardo, anche se «in condizione di emergenza “saltano” gli schemi correnti»[12], le forti limitazioni subite dal diritto di libertà religiosa (specialmente nella sua veste di libertà di culto associata), attraverso la sospensione delle «cerimonie religiose e civili, ivi comprese quelle funebri» e la condizionata apertura dei luoghi di culto all’«adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro» (dpcm 8 marzo 2020), hanno determinato diverse e rilevanti questioni di interesse per la disciplina ecclesiasticistica[13].

Si pensi, ad esempio, al corretto bilanciamento a fronte dell’emergenza tra i diritti fondamentali, con particolare riguardo al rapporto tra diritto alla salute (art. 32 Cost.)  e diritto di libertà religiosa (art. 19 Cost.) o, ancora, all’osservanza del principio di bilateralità derivante dagli accordi concordatari (e dalle intese), che riconoscono solennemente alla Chiesa (e alle altre confessioni) la libertà di pubblico esercizio del culto[14].

In tema, già il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 aveva sancito che, per ragioni sanitarie, le autorità competenti potevano  disporre «la sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico» (art. 1, comma 2, lett. c), integrando tale previsione con una generica clausola di chiusura, che consentiva il ricorso ad «ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da Covid-19, anche fuori dai casi di cui all’art. 1, comma 1» (art. 2).

Il  dpcm 1 marzo 2020 ha poi disposto la sospensione in alcuni Comuni di manifestazioni di carattere religioso (art. 1), mentre per alcune Regioni e Province è stato stabilito che l’apertura dei luoghi di culto fosse condizionata all’adozione di misure organizzative in grado di evitare assembramenti di persone, considerando le dimensioni e le caratteristiche dei luoghi, così da garantire ai frequentatori la possibilità di mantenere una distanza di almeno un metro (art. 2, comma 1, lett. d).  Il dpcm del 9 marzo 2020, che ha esteso a tutto il territorio italiano (art. 2, comma 1, lett. v)  le limitazioni che il dpcm emanato il giorno precedente aveva stabilito per le cosiddette “zone rosse”, ha previsto la sospensione di tutti “gli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso” (art. 1, lett. g) ha disposto, inoltre, che “l’apertura dei luoghi di culto” sia condizionata non solo “all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi”, ma anche alla possibilità di rispettare la distanza di almeno un metro tra le persone. Allo stesso modo sono state “sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri” (art. 1, lett. i).

Tale situazione non ha subito fondamentali innovazioni ad opera del dpcm  dell’11 marzo 2020 che ha provveduto a disciplinare soprattutto il regime delle attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità.

Su questa linea, anche il d. l. n. 19 del 25 marzo 2020, che ha disposto nuove misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da covid-19, ha previsto, con riferimento pure alla libertà religiosa, la “limitazione o sospensione di manifestazioni  o  iniziative  di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra  forma  di  riunione  in luogo pubblico o  privato,  anche  di  carattere  culturale,  ludico, sportivo, ricreativo e religioso (art. 1, co 2, lett. g); la “sospensione delle cerimonie civili  e  religiose,  limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto” (art. 1, co 2, lett. h)[15]; la  “chiusura di cinema, teatri, sale da concerto  sale  da  ballo, discoteche, sale  giochi,  sale  scommesse  e  sale  bingo,   centri culturali, centri sociali e centri ricreativi o altri analoghi luoghi di aggregazione (art. 1, co 2, lett. i).

Così, il bilanciamento tra diritto alla salute e diritto alla libertà religiosa e al culto pubblico è stato quindi risolto attraverso la sospensione di tutte le cerimonie religiose, comprese quelle funebri attraverso una unilatera scelta governativa che è parso compromettere il principio di autonomia confessionale riconosciuto alla Chiesa cattolica sia dalla Carta costituzione che dalla disciplina concordataria[16].

Ancora, dopo la prima fase di lockdown, ferme tutte le limitazioni appena enunciate, solo una parziale apertura è stata prevista  prima dal dpcm del 10 aprile e poi da quello del 26 aprile 2020 che all’art. 1, co.1, lett. i, pur confermando la sospensione delle cerimonie civili e religiose, consente tuttavia “le cerimonie funebri con l’esclusiva partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di quindici persone, con funzione da svolgersi preferibilmente all’aperto, indossando protezioni delle vie respiratorie e rispettando rigorosamente la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”. Come è noto, di fronte a tali divieti la CEI  con una nota pubblicata il 26 aprile non solo si lamentava che settimane di capaci di «affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie» ma richiamava, altresì, il dovere di distinguere tra la responsabilità di dare indicazioni precise di carattere sanitario (propria della Presidenza del Consiglio e del Comitato tecnico scientifico) e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia[17].

Con il  d.l. 16 maggio 2020, n. 33 si è  poi disposto che «le funzioni religiose con la partecipazione di persone si svolgono nel rispetto dei protocolli sottoscritti dal Governo e dalle rispettive confessioni contenenti le misure idonee a prevenire il rischio di contagio»[18]. In tal senso, i successivi dpcm del  17 maggio e 11 giugno 2020 hanno stabilito che le funzioni religiose con la partecipazione di persone si sarebbero dovute svolgere nel rispetto dei protocolli sottoscritti dal Governo e dalle rispettive confessioni, riportate negli allegati da 1 a 7 (art. 1, comma 1, lett. o), precisando tuttavia che l’accesso ai luoghi di culto sarebbe avvenuta con misure organizzative idonee ad evitare assembramenti di persone  capaci di garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro (art. 1, comma 1, lett. n).  Queste prescrizioni sono state poi ribadite anche dai dpcm del 7 agosto 2020, del 13 ottobre (art. 1, comma 6, lett. o) e p) del 24 ottobre, del  3 novembre e  del 3 dicembre 2020, che contengono il rinvio, per lo svolgimento delle funzioni religiose con la partecipazione di persone, ai «protocolli sottoscritti dal Governo e dalle rispettive confessioni di cui agli allegati da 1, integrato con le successive indicazioni del Comitato tecnico-scientifico, a 7» (art. 1, comma 9, lett. q).

Dal quadro sin qui delineato è, dunque, evidente che queste norme, operando una uniforme compressione del diritto di libertà religiosa e colpendo indistintamente i fedeli di tutte le confessioni religiose e non solo gli appartenenti a quelle confessioni non integrate nel sistema delle intese ex art. 8, co. 3 Cost., costituiscono una novità per quanto riguarda l’esercizio della dimensione collettiva della libertà di culto in Italia.  Del resto, come è stato opportunamente osservato, il nostro Paese, dal dopoguerra ad oggi, ha conosciuto limitati interventi sulla dimensione collettiva dell’esercizio del culto, solo per ragioni di pubblica sicurezza, successivamente agli attentati del 2001[19].

Sebbene lo stato di emergenza abbia comportato che anche altri diritti fondamentali siano stati legittimamente limitati[20], è anche vero che l’art. 19 Cost. protegge l’esercizio del culto, sia in pubblico che in privato, come diretta espressione della libertà religiosa e con l’unico limite della non contrarietà dei riti al buon costume. Pertanto, è giusto evidenziare che, a differenza degli artt. 16 e il 17 della Costituzione, che stabiliscono che la libertà di circolazione possa essere limitata “per motivi di sanità o di sicurezza” e che la libertà di riunione possa essere limitata “per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”, l’art. 19 non prevede questi motivi ma solo il limite del buon costume[21].   Il fenomeno religioso viene dal testo assimilato alla fede religiosa di ogni persona (nella logica di un diritto esercitato nella libertà di coscienza ) e non si pongono limiti alla estrinsecazione individuale e associata degli atti conseguenti alla fede religiosa condivisa e professata (quindi atti di culto, devozioni, pellegrinaggi, culto dei morti ), con l’unico limite di attentati esteriori al cosiddetto “buon costume” che, quale complesso dei principi di etica sociale e della morale comune (cd. moralità media o senso morale) richiamati dalla Costituzione, dai codici e dalle leggi come norme di chiusura, vuole indicare quanto è socialmente ritenuto appartenente alle abitudini e alle prassi etiche della comunità umana di riferimento[22]. Il diritto di libertà religiosa, che esprime una serie di facoltà garantite da norme costituzionali «che comprendono in sé lo svolgimento -di regola senza impedimenti legali di sorta- di numerose attività»[23], attiene, quanto al contenuto, alla libertà spirituale di avere un proprio patrimonio di credenze, di valori, di idee e garantisce anche il diritto di mantenere i comportamenti che detto patrimonio ideologico ispira e rende necessari a tanti uomini.

Proprio in ragione di questa differenza vi è chi ha ritenuto che la libertà di religione sia da considerarsi come “una libertà privilegiata, nelle sue varie manifestazioni, sia sulle libertà di riunione e di associazione, sia sulla libertà di manifestazione del pensiero”[24]. Del resto, la religione, per sua natura, implica l’esistenza di un legame forte e qualificato, che spiega il senso di appartenenza in un vincolo associativo, molte volte idoneo a dar vita ad organizzazioni confessionali che tendono ad assumere un ruolo determinato all’interno del contesto socio-politico nel quale operano. Inoltre, le religioni, si caratterizzano per una vera e propria dimensione normativa[25]  allorché  si estrinsecano in precetti che sono retti da un superiore sentimento di doverosità e che rappresentano, spesso, un elemento oltre che di identità confessionale anche di identità culturale[26].

Così, è chiaro che l’esercizio pubblico del culto (le religioni non possono essere confinate soltanto nella vita privata in quanto, per loro stessa natura, sono proiettate ad innestarsi sulle relazioni sociali) deve necessariamente essere tenuto distinto da uno spettacolo o una semplice manifestazione culturale che, anche se offerti al pubblico, non sono estrinsecazione dell’associarsi dei fedeli nel culto della divinità[27].  Se per tali ragioni, dunque, la Costituzione non ha previsto limiti all’attività di culto ad eccezione del buon costume[28], è anche chiaro che il diritto di libertà religiosa non può essere un diritto assoluto, illimitato e indisciplinabile.

Del resto, come ci ricorda una risalente giurisprudenza costituzionale, lo stesso concetto di limite appare insito nel concetto di diritto e dunque «Una disciplina delle modalità di esercizio di un diritto, in modo che l’attività di un individuo rivolta al perseguimento dei propri fini si concili con il perseguimento dei fini degli altri» non può considerarsi «di per sé violazione o negazione del diritto. E se pure si pensasse che dalla disciplina dell’esercizio può anche derivare indirettamente un certo limite al diritto stesso, bisognerebbe ricordare che il concetto di limite é insito nel concetto di diritto e che nell’ambito dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere nell’ordinata convivenza civile»[29]. Invero, limiti sono stati riconosciuti sia dall’art. 9 della Convenzione Europea, che prevede la tutela della salute come possibile limite alla libertà religiosa, sia dalla dottrina e giurisprudenza nazionali che hanno sempre concordemente ritenuto che le esigenze di tutela della salute possano prevalere sul diritto di libertà religiosa. Così, secondo l’art. 9 CEDU «la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui»[30].

Del resto, nel modulare la tutela della libertà di culto, la Corte costituzionale ha individuato alcuni interessi costituzionali da tenere in adeguata considerazione, nel rigoroso rispetto dei canoni di stretta proporzionalità, annoverando tra questi quelli relativi alla sicurezza, all’ordine pubblico e alla pacifica convivenza[31].  Cira poi il riferimento al diritto alla salute, la Consulta ha affermato che la rilevanza  della salute stessa come bene “primario” esclude un suo (totale) sacrificio a vantaggio di altri interessi costituzionalmente tutelati, ma non comporta la collocazione del diritto in oggetto «alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale»[32].

Da questo punto di vista, allora, nessun dubbio sulla legittimità delle misure adottate che, in via urgente, sono intervenute anche su una materia tanto delicata come quella della celebrazione dei riti che appartiene all’ordine proprio della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose. Dunque, la disciplina limitativa della libertà di culto, introdotta dai decreti, non determina di per sé una lesione del diritto di libertà religiosa perché, salva la proporzionalità, è funzionale alla tutela del bene salute che, quale interesse della collettività, è visto da parte della dottrina come “un tratto che definisce, ai sensi dell’art. 4, secondo comma, TUE, l’identità nazionale italiana”[33].

Tuttavia è certamente auspicabile che tali forme di esercizio del potere basate su una situazione di emergenza come condizione certamente anomala e grave rientrino nell’alveo del sistema costituzionale che, per scelta del Costituente, appare orientato verso l’individuazione di circoscritti e temporanei poteri emergenziali, che rinvengono nell’urgenza di provvedere il proprio fondamento[34] (basti pensare ai ben noti artt. 77, 78 e 120 Cost., oltre che alle previsioni espressamente riferite ad alcuni diritti fondamentali). Inoltre, è anche evidente che sarebbe opportuno non solo coinvolgere nel percorso decisionale, accanto all’esecutivo, il parlamento (non relegato ad una funzione di mera ratifica) ma anche far precedere l’emanazione di tali misure limitative dell’autonomia organizzativa in tema di riti e di celebrazioni religiose (che hanno determinato una rilevante, per quanto astrattamente giustificabile, lesione di quell’autonomia confessionale espressamente garantita dalle norme pattizie) da una consultazione con le diverse autorità confessionali[35].  Sarebbe stato necessario un immediato e preventivo coinvolgimento di ciascuna confessione, in considerazione della posizione di autonomia ad essa riconosciuta, nel suo proprio ordine, dalla stessa Carta fondamentale e dall’importanza «del dialogo istituzionale al fine di poter garantire il bilanciamento tra le esigenze di tutela della salute pubblica e quelle di libertà religiosa nella sua dimensione collettiva in funzione della promozione del bene comune»[36].

Del resto, come è stato acutamente osservato, la mancata convocazione della suddetta Commissione avrebbe inaugurato dunque una prassi costituzionale: “laddove chi può decidere sullo stato di eccezione ritenga di poter sospendere la normativa concordataria può farlo inaudita altera parte, trasformando dunque il regime concordatario vigente in un giurisdizionalismo di fatto. Rientra dunque nell’ordine proprio dello Stato, ex primo comma dell’art. 7 della Costituzione, decidere in che modo, per quanto tempo e a quali condizioni la libertà ecclesiastica possa essere compressa, a prescindere dal fatto che l’altra parte esprima il suo assenso a tale compressione”[37].  Proprio su tali premesse, allora, il principio di proporzionalità, pur invocato dalla normativa emergenziale,  avrebbe rischiato di risolversi in un mero enunciato di principio, inidoneo a descrive i tratti propri (quanto meno) della prima fase dell’emergenza in cui, l’esclusivo favor per l’esigenza securitaria, ha favorito «strategie di azione a direzione unica»[38] laddove proprio il canone di proporzionalità consiglia l’assunzione di un pluralismo di diritti, interessi, istanze individuali e collettive quale sostrato valoriale sul quale radicare le dinamiche proprie del bilanciamento.

3. Il concreto contributo delle confessioni religiose alla gestione dell’emergenza nel segno di una leale collaborazione con lo Stato 

E’ evidente che l’assoggettamento dell’apertura dei luoghi di culto all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone e da garantire il rispetto della distanza di sicurezza tra i fedeli, e la sospensione di tutte le cerimonie religiose (incluso quelle funebri), ha spinto le religioni a ridefinire i tempi e le modalità di esercizio del culto[39]. Del resto, le regole imposte per fronteggiare l’emergenza sanitaria hanno avuto l’effetto di imporre diverse restrizioni per numerosi soggetti sia individuali sia collettivi, sia fisici sia giuridici, tra i quali vi sono anche le confessioni religiose.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, da quando l’epidemia è iniziata, una leale collaborazione non è certo mancata. Con l’intento di collaborare con lo Stato, pur nel “rammarico e disorientamento” che la decisione del governo ha creato “nei Pastori, nei sacerdoti, nelle comunità religiose e nel popolo di Dio” e precisando che la normativa statale è stata “accettata -dunque non concordata- in forza della tutela della salute pubblica”, la CEI[40], con un Comunicato del 9 marzo 2020, ha dichiarato che “la Chiesa che vive in Italia e, attraverso le Diocesi e le parrocchie si rende prossima a ogni uomo, condivide la comune preoccupazione, di fronte all’emergenza sanitaria che sta interessando il Paese.

Rispetto a tale situazione, la CEI – all’interno di un rapporto di confronto e di collaborazione –ha fatto proprie, rilanciandole, le misure attraverso le quali il Governo è impegnato a contrastare la diffusione del “coronavirus”. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entrato in vigore nel marzo 2020, ad esempio, sospendeva a livello preventivo, fino a venerdì 3 aprile 2020, sull’intero territorio nazionale, “le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. L’interpretazione fornita dal Governo includeva rigorosamente le Sante Messe e le esequie tra le “cerimonie religiose”. Si è trattato di un passaggio fortemente restrittivo, la cui accoglienza ha incontrato sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. L’accoglienza del Decreto è stata mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica”. Al riguardo, la CEI ha subito deciso di conformarsi alle misure governative di contenimento, rinviando alla potestà dei singoli Vescovi diocesani per l’emanazione di relativi decreti con cui si dispensavano i fedeli dal precetto domenicale in un periodo centrale, quale quello pasquale[41].

Sempre nel rispetto di tutte le precauzioni utili a limitare il contagio, con numerosi decreti diocesani, i Vescovi, a norma dei cann. 381 § 1 e 838 § 4 C.i.c.  hanno dispensato, ai sensi del can. 1245 C.i.c.[42], i fedeli dall’obbligo dell’osservanza del precetto legato alla celebrazione dei giorni festivi ricompresi nel periodo 9 marzo – 3 aprile che non potrebbe essere agevolmente osservato in relazione alla mancata «partecipazione» alla Messa della Santa Pasqua di Risurrezione, atteso che il punto n. 1389 del Catechismo della Chiesa Cattolica fa obbligo ai fedeli “di ricevere almeno una volta all’anno l’Eucaristia, possibilmente nel periodo pasquale» e che secondo il can. 1246 – § 1 C.i.c. «il giorno di domenica in cui si celebra il mistero pasquale, per la tradizione apostolica deve essere osservato in tutta la Chiesa come il primordiale giorno gestivo di precetto”[43]. Questo ha comportato la degradazione del diritto sancito dal can. 213 da diritto fondamentale a diritto affievolito, poiché condizionato non solo alla sussistenza di uno stato di comunione piena con la Chiesa, ma ad un’eventuale esigenza di interesse pubblico, “il cui verificarsi esclude la tutela e dissolve il diritto[44]. Ancora, di fronte all’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia di Covid-19, la Chiesa, attivando tutte le sue dimensioni, materiali e spirituali, non ha dimenticato i più poveri e vulnerabili, in una grande gara di solidarietà e cura. Basti pensare che, ad esempio, la Conferenza episcopale italiana ha deciso di stanziare milioni di euro, provenienti dall’otto per mille, in favore delle strutture sanitarie; che, in tutta Italia, le Diocesi si sono attivate per rispondere in modo concreto alla pandemia ed hanno aperto le proprie strutture per ospitare persone o gruppi familiari che sono impossibilitati a vivere la quarantena nella propria casa, accollandosi anche il pagamento alberghiero di pazienti dimessi perché meno gravi, così da liberare posti, e che le Congregazioni religiose maschili e femminili, che gestiscono ospedali e case di cura, hanno aumentato l’impegno in favore dei malati di Covid-19[45].

Hanno mostrato lo stesso spirito collaborativo anche le altre confessioni religiose. Il 5 marzo, ad esempio, l’Assemblea dei rabbini italiani ha diffuso un comunicato contenente alcune raccomandazioni per le celebrazioni. I rabbini ricordano che, secondo la legge ebraica, costituisce un “dovere per tutti di osservare le mitzvòt anche in situazioni di difficoltà”. È dovere però anche quello di “salvaguardare la propria vita e la propria salute e la vita e la salute degli altri e, quindi, è un dovere halakhico osservare le raccomandazioni sanitarie degli organismi competenti.  Questi due doveri fondamentali vanno conciliati per quanto possibile, anche se chiaramente la salvaguardia della vita e della salute ha la precedenza su tutto[46]. Ricordando che la salute è anche armonia dello spirito con il corpo, anche le comunità ebraiche hanno cercato di essere il più possibile prossime alle persone contagiate che si trovano in ospedale cercando, in questo momento di grande solitudine, in cui è ancora più forte l’esigenza di richiamarsi ai propri momenti di cultura religiosa, di assicurare a tutti cibo Kosher.

Anche l’Unione delle comunità islamiche in Italia, il 5 marzo 2020, ha pubblicato con circolare comunitaria n. 01/2020 le “Disposizioni emergenza coronavirus per le comunità islamiche” che all’art. 1 affermano chiaramente la prevalenza della tutela della salute rispetto all’obbligo della preghiera comunitaria giornaliera e, all’art. 2, riportano un hadith del Profeta Maometto che, in caso di epidemie, invitava i credenti all’auto isolamento con queste parole: “Se su una terra dovesse apparire un’epidemia, non andateci; e se vi trovate in essa non uscite da questa terra fuggendo”.  Sono stati così chiusi temporaneamente tutti i centri islamici italiani, sospendendo le cinque preghiere giornaliere e tutte le altre attività culturali e di culto[47].  L’Unione delle comunità islamiche in Italia ha poi inviato tutti i fedeli a pregare a casa e ha consentito solo i funerali da celebrarsi a porte chiuse.  In tal senso è stato disposto che “la chiusura deve includere anche tutte le attività ordinarie e straordinarie, come le cinque preghiere, il jumuaa, le prediche, le conferenze, le lezioni, le scuole domenicali ed ogni altra attività culturale, cultuale, conviviale o ludica”.  Le uniche funzioni inderogabili sono i funerali e la preghiera del gha’ib che – come succede per i funerali cristiani – possono essere celebrati a porte chiuse e in piccoli gruppi rispettando il metro di distanza e muniti di mascherine evitando il più possibile il contatto diretto”.

Nella stessa direzione si muove, poi, anche la fatwa recante Raccomandazioni e istruzioni alla luce degli aggiornamenti riguardo l’allerta “Coronavirus” dell’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose che, nell’indicare ai propri fedeli la via da seguire, oltre a porsi in linea con la normativa statale, trova piena legittimazione all’interno dei testi ed alla luce dei principi fondamentali della religione islamica[48].

Inoltre, non disponendo dell’8×1000 per contribuire in autonomia, le comunità islamiche, per dare un supporto concreto alle realtà coinvolte nella gestione della pandemia e al territorio in cui vivono e di cui si sentono parte integrante, hanno raccolto più di 500 mila euro che sono stati devoluti ad ospedali, Protezione Civile, Comuni e Associazioni di volontariato.

Tra le Chiese cristiane si evidenzia poi la posizione dei valdesi e dei luterani. Così, se il Moderatore della Tavola Valdese il 10 marzo ha scritto alle chiese ordinando la sospensione di tutte le attività di culto comunitario, comprese le celebrazioni pubbliche di matrimoni e funerali, sollecitando l’accompagnamento spirituale dei congiunti delle persone defunte[49], il concistoro della Chiesa evangelica luterana ha da parte sua lasciato alle singole comunità decidere “se cancellare o meno i culti e gli incontri spirituali” invitando a considerare la necessità di “non rispondere con le sole misure di isolamento alla difficile situazione esistente per quanto riguarda lo stato fisico e dell’anima delle persone”[50].  Anche la Tavola valdese, avvertendo, per le chiese che rappresenta, la responsabilità di contribuire anche con mezzi straordinari all’impegno diretto a fronteggiare la crisi sanitaria, sociale ed economica prodotta dal diffondersi del virus Covid-19, ha deciso di stanziare 8 milioni di euro, ricavati dai fondi dell’Otto per mille assegnati annualmente alle Chiese valdesi e metodiste, per la costituzione di un Fondo speciale destinato a tale finalità.

La Chiesa Avventista, poi, attraverso l’edizione online de Il Messaggero Avventista del 5 marzo, facendo seguito alle misure adottate dal governo, ha disposto che tutte le attività comunitarie avventiste, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro siano sospese fino a nuove disposizioni prevedendo, allo stesso tempo, la possibilità di seguire  la Scuola del sabato e il culto sabatico via streaming, attivando delle “classi” di Scuola del sabato e un sermone virtuali, disponibili sia attraverso internet, sia attraverso una app per lo smartphone [51].

4. Attualità e prospettive per l’esercizio della libertà religiosa durante l’emergenza epidemiologica 

Alla luce di quanto detto, è chiaro che tale decretazione d’urgenza, eretta sui presupposti della necessità ed urgenza, ha di fatto travolto non solo l’esercizio della libertà religiosa, ma anche lo stesso sistema delineato dagli artt. 7 e 8 della Costituzione. Del resto, la libertas Ecclesiae appare inscindibilmente connessa alla libertas fidelium, sicché tali misure si sono tradotte in una importante limitazione della libertà religiosa[52]. Un travolgimento certamente legittimo, tanto nella prospettiva dell’articolo 9 CEDU (che ritiene la tutela della salute pubblica uno scopo legittimo degli atti diretti alla limitazione della libertà religiosa, purché le misure limitative siano prescritte dalla legge e necessarie in una società democratica secondo un ampio margine di apprezzamento), quanto in quella della deroga, per norma cogente di diritto internazionale pubblico[53], al principio pacta sunt servanda che, come è noto, può essere disatteso per stato di necessità o cause di forza maggiore. In particolare, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, la sospensione dell’art. 2 dell’Accordo di Villa Madama deriverebbe dal fatto che mantenere la totale libertà della stessa di disciplinare senza interventi dello Stato il libero esercizio del culto avrebbe, in questo momento, comportato il rischio del sacrificio di un interesse essenziale quale è la salute dei cittadini[54].

Così, se da un lato tale intervento sospensivo della norma pattizia ad opera dello Stato appare legittimo alla luce della evidente sussistenza di un pericolo grave ed imminente, dall’altro lato, tuttavia, non può trascurarsi che tale sospensione investe necessariamente l’interesse essenziale della Chiesa Cattolica che spazia dalla “promozione dell’uomo” alla realizzazione del bene del Paese (interessi esplicitamente menzionati nell’art. 1 dell’Accordo di Villa Madama) e che risponde, in primis, alla salvezza delle anime, suprema lex dell’ordinamento canonico ex can. 1752 c.i.c.. Del resto, è evidente che l’art. 2 dell’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, nel disciplinare la libertà della Chiesa di esercizio pubblico del culto, abbia inteso garantire ai fedeli una partecipazione attiva secondo le (esclusive e libere) determinazioni dell’autorità ecclesiastica o confessionale, ricomprendendo dunque nel perimetro delle tutele apprestate da tale norma anche la libertà di poter celebrare le Sante Messe coram popolo.

Ancora, il nuovo assetto delle celebrazioni cattoliche in Italia non solo ha momentaneamente ridefinito l’assetto del culto pubblico, ma ha anche delineato un nuovo rapporto dei fedeli con i sacramenti che i ministri sacri non possono negare (can. 843 c.i.c) e che, ex can. 840 c.i.c., “sono azioni liturgiche pubbliche mediante le quali la fede viene espressa e rafforzata, si rende culto a Dio e si compie la santificazione degli uomini”. I sacramenti, dunque, caratterizzati dalla pubblicità e dalla necessarietà (can. 1752 c.i.c.), sono indubbiamente centrali nella vita della Chiesa e necessitano di una dimensione cerimoniale in cui l’azione si deve strutturare secondo le linee portanti stabilite in via generale dai cann. 841 e 838 e nel rispetto di quanto stabilito dai cann. 124 – 126. Alla luce di quanto detto, ben si comprende allora come il diritto di ricevere i sacramenti sia, per coloro che si trovano in piena comunione con la Chiesa, un diritto fondamentale che si radica nello ius divinum ed espresso nel can. 213.

E’ del tutto evidente, però, che le misure giuridiche di contrasto alla pandemia dovuta al Covid-19 hanno determinato in primis un affievolimento del diritto garantito dal canone 213 che, tuttavia, non può essere disposto sine die[55] ed, in secundis, anche ulteriori e notevoli problemi di ordine pratico.

Si pensi, ad esempio, a coloro che potrebbero richiedere, alle condizioni di cui ai cann. 1004-1007 c.i.c., il sacramento dell’estrema unzione e che, in base alla normativa vigente, non sanno se loro o i sacerdoti che dovrebbero, evidentemente, muoversi dalle loro abitazioni, possono sostenere che il loro spostamento è motivato da “situazioni di necessità” secondo quanto previsto, ancora oggi, dal dpcm del 26 aprile.

In tale circostanza, poi, non è stato chiarito se le Forze dell’ordine, alle quali è demandato il controllo e la valutazione delle situazioni di necessità, possono impedire al fedele di raggiungere il luogo di culto e denunciarlo per violazione dell’art. 650 c.p. e – ugualmente – impedire al sacerdote o al ministro straordinario di somministrare la Comunione al fedele infermo che ne faccia richiesta. Ancora, benché si sia ritenuto sproporzionato il sacrificio del principio di precauzione nel caso di persistente apertura degli edifici di culto (ritenendo quindi i servigi spirituali non assimilabili a quelli “essenziali” e imprescindibili come quelli alimentari e sanitari), non può non evidenziarsi una palese incongruenza a fronte dell’apertura consentita ad attività non essenziali, quali le edicole e le tabaccherie (dpcm 11 marzo 2020, sempre prorogato).

Inoltre, attualmente, alla luce della perdurante necessità di garantire il cosiddetto distanziamento sociale, pur avendo il dpcm del 26 aprile 2020 permesso a determinate condizioni le cerimonie funebri, risultano sospese le cerimonie civili e religiose, così come l’apertura dei luoghi di culto, risulta condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone[56]. Pertanto, i luoghi di culto, qualora non chiusi dall’autorità ecclesiastiche, possono continuare a svolgere la funzione di luogo di preghiera individuale dei fedeli e di celebrazione di “funzioni religiose” anche se con le limitazioni sopra indicate il cui rispetto può essere oggetto di controllo da parte delle Forze dell’ordine il cui accesso agli edifici aperti al culto, però, nel rispetto delle norme di derivazione  pattizia[57], non può avvenire in assenza di una “urgente necessità” e senza darne previo avviso all’autorità ecclesiastica[58].

Alla luce della disciplina pattizia, la cui efficacia passiva rinforzata non permette la loro modifica unilaterale né con legge ordinaria né, tantomeno, con dpcm, le Forze dell’ordine non possono dunque impedire o turbare le celebrazioni religiose[59]. Del resto, l’intento di determinare una generale protezione della libertà di culto verso indebite azioni interruttive o di turbamento, è presente sia nella fattispecie di reato di cui all’art 405 c.p. (che, da un punto di vista soggettivo, riferendosi a chiunque, comprende certamente anche le Forze dell’ordine) sia, a livello costituzionale, nell’art. 19 a norma del quale tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume ( buon costume e non ordine pubblico proprio per evitare indebite ingerenze).

Indubbiamente, questa normativa emergenziale è stata complessivamente poco chiara, lasciando molti margini di interpretazione discrezionale, solo parzialmente risolti dalla pubblicazione di risposte sui siti istituzionali, che sono peraltro sempre molto restrittive della mobilità personale. Ad esempio, l’apertura dei luoghi di culto non è stata considerata condizione sufficiente per rendere legittimo uno spostamento dalla propria abitazione, se non in prossimità della stessa (Faq 10 aprile 2020), anche se si è ritenuto accettabile l’ingresso nei luoghi di culto – alle condizioni generalmente stabilite – qualora la mobilità fosse stata determinata da altre ragioni legittime (Faq del Ministero della Salute del 15 marzo 2020; Nota della Direzione Centrale degli Affari dei Culti del Ministero dell’Interno, del 27 marzo 2020). Alla luce di quanto detto appare dunque necessario che lo Stato manifesti una maggiore sensibilità nell’affrontare le questioni che riguardano le esigenze dei credenti, qualunque sia la religione di appartenenza, in modo tale che possa essere assicurato a tutti il libero e pubblico esercizio del culto. Lo Stato laico, almeno nella concezione del principio di laicità che deriva dalla giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, ha il dovere di registrare le istanze che emergono dalla società civile e di dare ad esse, entro i limiti costituzionalmente posti, un riconoscimento. Prendere sul serio la libertà di culto, anche in un momento di drammatica emergenza come quello che stiamo vivendo, passa anche per un corretto bilanciamento tra le richieste dei consociati religiosi in merito al pubblico esercizio del culto e la tutela di beni/valori della vita e della salute pubblica che, in questo specifico campo, non può che passare da una rinnovata valorizzazione del sistema bilaterale dei rapporti tra Stato e confessioni.

Un rinnovato dialogo formale tra poteri pubblici e la Santa Sede (ovvero con gli enti esponenziali delle altre confessioni con intesa) è oggi, a ridosso di una nuova fase nella gestione dell’emergenza, più che mai necessario per individuare, laddove fosse possibile, modalità di compimento di atti di culto che – con le opportune misure di cautela sanitaria generale – non mettano a rischio la vita e la salute pubblica. Del resto, il diritto di esercitare il proprio credo in forma individuale e associata, di partecipare ai riti della propria religione e di manifestare la propria fede è garantito dalle Carte costituzionali di moltissimi Paesi del mondo, e dalle grandi carte interazionali dei diritti (si pensi, ad esempio all’art. 9 CEDU). Come si è detto, innanzi alle enormi compressioni dei diritti dei fedeli, che non possono partecipare ai riti collettivi perché ritenuti potenziali luoghi di contagio e che non possono accedere agli edifici di culto, le autorità ecclesiastiche hanno dimostrato una non comune sensibilità nell’indicare ai fedeli percorsi alternativi di ritualità (anche attraverso il web e altri strumenti digitali)[60], nell’ottica di una leale collaborazione tra Stato e chiesa che acquista ancora più valore se si considera che  le ordinanze contingibili del Governo nazionale e regionale, da una parte, hanno irritualmente compresso il diritto di libertà religiosa che, in ossequio all’art. 19 della Costituzione, non prevede limitazioni di “ordine pubblico” e, dall’altra, hanno occupato spazi decisionali riservati (ex Art. 7, comma I, Cost.) alla Chiesa. Così, se è vero che il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco tra diritto alla salute e libertà religiosa può certamente determinare la compressione del diritto alla ritualità collettiva, è anche vero che tale compressione è ammissibile solo se rispettosa della gerarchia delle fonti del diritto e se contenuta in un limite spazio-temporale ben definitivo e certamente non eccessivamente lungo[61].

Se di fronte all’emergenza dettata dalla pandemia le Chiese hanno risposto con un grande senso di responsabilità e non sono arretrate innanzi alla necessità di fornire un concreto contributo alla gestione dell’emergenza sanitaria (in soccorso delle criticità emerse da un sistematico smantellamento del welfare statale)[62], non può che lasciare perplessi l’ultimo Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri che, dopo settimane di interlocuzione e di negoziato che hanno visto la CEI presentare Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo.  Di fatto, il dpcm del 26 aprile 2020 ha mantenuto inalterato il quadro generale, ammettendo la sola celebrazione dei funerali «preferibilmente» all’aperto, col concorso di non più di 15 partecipanti. In ragione di ciò, la Conferenza episcopale italiana aveva emanato il 26 aprile 2020 una Nota di dissenso lamentando la compromissione dell’esercizio della libertà di culto e ricordando che anche “l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”.  In tal senso, la CEI, nel ricordare che la libertà religiosa dei singoli e dei gruppi può plasmarsi e adattarsi nel bilanciamento con altri diritti fondamentali dell’essere umano ma non può mai del tutto arretrare o peggio scomparire, richiama la Presidenza del Consiglio e il Comitato tecnico-scientifico al “dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia”. In risposta a tale nota, sempre il  26 aprile 2020 la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva comunicato che  si  sarebbe studiato un protocollo che avrebbe consentito quanto prima la partecipazione dei fedeli alla celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza. Tali protocolli sono poi stati richiamati espressamente nella legge 22 maggio 2020 n. 35 che, inserendo la lettera h bis all’art. 1, comma 2 del d.l. n. 19 del 25 marzo 2020, ha previsto che sarebbe stato possibile adottare specifici «protocolli sanitari, d’intesa con la Chiesa cattolica e con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, per la definizione delle misure necessarie ai fini dello svolgimento delle funzioni religiose in condizioni di sicurezza». Al fine di assicurare una ripresa in sicurezza delle celebrazioni religiose a partire dal 18 maggio 2020, ritenute impraticabili in considerazione dell’emergenza le modalità individuate dall’art. 14 dell’Accordo del 1984, tali protocolli sono stati siglati  il 7 maggio 2020 con la Chiesa cattolica e, il 15 maggio 2020, con le altre confessioni religiose. Sottoscritti dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e dalle rappresentanze delle confessioni acattoliche, da una parte, e dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro dell’interno, dall’altra, previo parere del Comitato tecnico-scientifico, tali protocolli sono strumenti di collaborazione inter-ordinamentale capaci di imputare alla volontà due parti la disciplina di una materia che tocca da vicino le specificità spirituali, più intime ed esclusive delle formazioni religiose, che tuttavia l’emergenza ha fatto emergere a esigenza dell’ordinamento generale[63].

In tal senso, a parere di chi scrive, in considerazione del fatto che l’art. 19 Cost. sancisce che la libertà di culto è protetta nei confronti di tutti, tali protocolli, frutto di una rinnovata interlocuzione tra le parti, rappresentano indubbiamente strumenti di recupero (tardivo) del principio di bilateralità capaci di evitare che in tempo di pandemia la “fede sospesa” si trasformi in una “fede interdetta”.

 

 

 

 

 


NOTE
[1] Al riguardo, non di rado si è riscontrata una forte divaricazione decisionale tra il governo nazionale ed i governi regionali. Del resto, la riforma costituzionale del 2001 (l.1/99), con la formulazione dell’art. 117 Cost., ha reso notevolmente più complesso il rapporto tra Stato e Regioni. Sul tema si veda M. G. Nacci, Prospettive di attuazione del regionalismo differenziato o asimmetrico nel post emergenza Covid-19, in Euro-Balkan Law and Economics Review, 2, 2020.
[2]  Il decreto-legge nasce quale “strumento di eccezione utilizzato per la «gestione» di stati di emergenza diversi dalla guerra” (art. 78 Cost.) in cui deve assicurarsi “la sopravvivenza dello Stato e dell’ordinamento”, mediante l’“esercizio straordinario da parte del governo di potestà legislative normalmente di spettanza parlamentare” (Cfr. V. Crisafulli,  Lezioni di diritto costituzionale, II, Cedam, Padova, 1984, p. 104 ; P. Pinna, L’emergenza nell’ordinamento costituzionale italiano, Giuffrè, Milano, 1988, p. 33;  F. Modugno, D. Nocilla, Problemi vecchi e nuovi sugli stati di emergenza nell’ordinamento italiano, in Scritti in onore di M.S. Giannini, III,  Giuffrè, Milano, 1988, p. 513 e ss.; F. Petrini,  Emergenza epidemiologica Covid 19, decretazione d’urgenza e costituzione in senso materiale, in Nomos, 1, 2020). Si sottolinea, inoltre, che durante questa emergenza, il ricorso alla decretazione d’urgenza, anche se in presenza di una “materiale ed assoluta impossibilità di applicare, in certe condizioni, le norme che regolano la vita normale dello Stato, e il bisogno non già di applicarne altre esistenti, ma di emanarne di nuove”, spesso non si è concretizzato in “misure di immediata applicazione” e di contenuto “specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”, come prescritto dall’art. 15, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (che, com’è noto, “pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost.”). Cfr. Corte costituzionale, sent. 12 luglio 2017, n. 170.
[3]  I quali,  benché fondati formalmente forza di legge (il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6  recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, convertito, con modificazioni, dalla l. 5 maggio 2020) non hanno sopito le numerose perplessità sollevate in relazione ad una possibile violazione del principio di legalità sostanziale, che avrebbe richiesto la previsione di una disciplina sufficiente a circoscrivere la discrezionalità dell’azione dell’esecutivo. Sul tema si rinvia a A. Licastro,  Il lockdown della libertà di culto pubblico al tempo della pandemia, in ConsultaOnLine, 14 aprile 2020; N. Colaianni, La libertà di culto ai tempi del coronavirus, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2020; L. A. Mazzarolli, «Riserva di legge» e «principio di legalità» in tempo di emergenza nazionale. Di un parlamentarismo che non regge e cede il passo a una sorta di presidenzialismo extra ordinem, con ovvio, conseguente strapotere delle pp.aa. La reiterata e prolungata violazione degli artt. 16, 70 ss., 77 Cost., per tacer d’altri, in Federalismi.it, Osservatorio Emergenza Covid-19, 2020.
[4] P. Consorti, La libertà religiosa travolta dall’emergenza, in Forum di Quaderni costituzionali, 2, 2020, p. 372 e ss per il quale «se poi il tessuto sociale è anch’esso debole, impoverito, privo di risorse strutturali, costretto a fare affidamento sulla creatività e l’improvvisazione, allora difficilmente l’emergenza resterà transitoria. La crisi momentanea si trasformerà in una condizione duratura. Le regole eccezionali resteranno in piedi. La legge perderà di vista il bisogno delle libertà e la società riuscirà a farne a meno. Resteremo travolti dall’emergenza. Ma la responsabilità sarà nostra, non dell’emergenza».
[5] S. Cassese, Il dovere di essere chiari, in Corriere della sera, 24 marzo 2020; M. Ainis, Il virus della decretite, in la Repubblica, 25 marzo 2020; G. Silvestri, Covid-19 e Costituzione, in www.unicost.eu, 10 aprile 2020; S. Staiano, Nè modello né sistema. La produzione del diritto al cospetto della pandemia, in Rivista AIC, n. 2/2020, 11 giugno 2020.
[6] N. Colaianni, La libertà di culto al tempo del coronavirus, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica, www.statoechiese.it.
[7] Corte cost. 14 aprile 1995, n. 127.
[8] Cons. Stato 28 ottobre 2011, n. 5799.
[9] L. Cuocolo, I diritti costituzionali di fronte all’emergenza Covid. 19. Una prospettiva comparata, in federalismi.it, 13 marzo 2020; M. Cavino, Covid 19. Una prima lettura dei provvedimenti adottati dal Governo, in federalismi.it; G. L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, inSistemapenale.it, 16 marzo 2020.
[10] Libertà di circolazione ridotta alle sole ipotesi di «comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute» (dpcm 8 marzo 2020).
[11]  Sui diversi provvedimenti restrittivi della libertà di culto si rinvia a M. d’Arienzo, Libertà religiosa e autonomia confessionale ai tempi dell’emergenza coronavirus, in  M. Caterini, S. Muleo (a cura di), La giustizia al tempo del coronavirus, Pisa 2020, p. 209  e ss.; S. Montesano, Libertà di culto ed emergenza sanitaria: sintesi ragionata delle limitazioni introdotte in Italia per contrastare la diffusione del Covid-19, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2020, 2, p. 255  e ss.
[12] Così A. Ruggieri, Scelte tragiche e Covid-19, in www.giustiziainsieme.it, 24 marzo 2020.
[13]  P. Consorti, Religioni e virus, in www.diresom.net, 9 marzo 2020.
[14] La stessa Corte costituzionale ha individuato nella bilateralità lo strumento per la regolazione degli aspetti che si collegano alle specificità di ciascuna chiesa e confessione o che richiedono deroghe al diritto comune, ponendolo così in stretta correlazione con il principio-sistema di uguale libertà di tutte le confessioni religiose di fronte allo Stato; cfr., ex multis, le sentt. n. 235 del 1997 e n. 346 del 2002.
[15] Tuttavia, in sede di conversione, la legge 22 maggio 2020, n. 35 ha inserito all’art. 1, comma 2, la lettera h bis) che ha previsto la possibilità di adottare specifici «protocolli sanitari, d’intesa con la Chiesa cattolica e con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, per la definizione delle misure necessarie ai fini dello svolgimento delle funzioni religiose in condizioni di sicurezza». Sul tema si rinvia a  F. Adernò, Il nuovo decreto-legge n. 19/2020: un suggerimento ermeneutico ecclesiasticistico, in Diritti regionali, 1, 2020, p. 482  e ss.; C. Gentile, L’epidemia di Covid-19, la libertà di culto ed i rapporti Stato-Chiesa, in www.Federalismi.it, 15 aprile 2020; N. Colaianni, Il sistema delle fonti costituzionali del diritto ecclesiastico al tempo dell’emergenza (e oltre?), in Rivista AIC, n. 4/2020, p. 226 e ss.
[16] Come osservato  in dottrina da V. Pacillo, La sospensione del diritto di libertà religiosa nel tempo della pandemia, in Olir.it, 16 marzo 2020, sembra che tra necessità di garantire la salute pubblica e i diritti fondamentali dei fedeli […] la prima ha prevalso potremmo dire in maniera assoluta, senza che questa scelta ricevesse un avallo esplicito dalla Santa Sede, o meglio da quella Commissione paritetica che – ai sensi dell’art. 14 dell’Accordo di Villa Madama – dovrebbe intervenire ogniqualvolta nascano difficoltà di applicazione della normativa pattizia.
[17] La nota è pubblicata su  www.olir.it/wp-content/uploads/2020/04/DPCM-la-posizione-della-CEI-%E2%80%93-Chiesacattolica.it_.pdf.; Sul tema si rinvia anche a R. Saccenti,  Libertà religiosa e democrazie al tempo del Covid-19, in www.olir.it (24 luglio 2020).
[18]  Tali protocolli, in una sorta di collaborazione inter-ordinamentale (E. Castorina, Libertà di culto, confessioni religiose e principio di bilateralità: i “protocolli sanitari” per il contrasto alla pandemia da Covid-19, in dirittifondamentali.it, 3/2020, 16 dicembre 2020, p. 564  e ss.), sono stati siglati con la Chiesa cattolica  il 7 maggio 2020 e, con le altre confessioni religiose,  il 15 maggio 2020.  Sul tema si rinvia a M. d’Arienzo, Per responsabilità. Emergenza coronavirus, autorità ecclesiastica e bene comune, in il Regno, n. 10/2020, p. 262 e ss.; G. Macrì, Brevi considerazioni in materia di governance delle pratiche di culto tra istanze egualitarie, soluzioni compiacenti e protocolli (quasi) fotocopia”, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica, www.statoechiese.it, 11/2020; M. L. Lo Giacco, I Protocolli per la ripresa delle celebrazioni delle confessioni diverse dalla cattolica”: una nuova stagione nella politica ecclesiastica italiana, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica, www.statoechiese.it, 12/2020.
[19] F. Balsamo, La leale collaborazione tra Stato e confessioni religiose alla prova della pandemia da Covid-19. Una prospettiva dall’Italia, su www.Diresom.it, 27 marzo 2020; R. Mazzola, La convivenza delle regole. Diritto, sicurezza e organizzazioni religiose, Giuffrè, Milano, 2005; P. Consorti, F. Dal Canto, S. Panizza (a cura di), Libertà di espressione e libertà religiosa in tempi di crisi economica e di rischi per la sicurezza, Pisa University Press, Pisa, 2016.
[20] L. Milella, Coronavirus, Azzariti: “Le misure sono costituzionali a patto che siano a tempo determinato”, in La Repubblica, 8 marzo 2020; G. Azzariti, I pieni e solitari poteri del capo del governo extra ordinem, in il manifesto, 19 marzo 2020.
[21] M. L. Lo Giacco, In Italia è in quarantena anche la libertà di culto, in www.Diresom,.it, 12 marzo 2020.
[22] «Si tratterebbe di una limitazione afferente esclusivamente alla pratica del culto e richiamante l’analoga, ma più ampia limitazione sancita durante il fascismo per i c.d. culti ammessi nella legge n. 1159/1929 (“purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico ed al buon costume”), che faceva da complemento al regime concordatario con la Chiesa cattolica, elevata al rango di religione dello Stato. Questa previsione limitativa non legittima un sindacato sulle credenze, sui valori o sula legittima possibilità di esistenza o sull’attività delle fedi religiose, ma incide sui comportamenti rituali dei singoli e dei gruppi, a tutela del comune sentimento dei costumi, anche se i costumi costituiscono un parametro cariabile nel tempo e nello spazio». Così G. Macrì, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto civile e religioni, Laterza, Roma-Bari, 2013, p. 71.
[23] F. Finocchiaro, Libertà (VII). Libertà di coscienza e di religione, in Enc. Giur. Trecc., Vol. XIX, Roma, 1990, pp. 6-7.
[24] F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 2009, p. 163.
[25] Malgrado le profonde differenze, tutte le religioni hanno una vera e propria dimensione normativa poiché tutte sono portatrici di precetti che orientano e condizionano tanto gli ideali, le credenze interiori, le motivazioni profonde e le aspirazioni, quanto i comportamenti esteriori e socialmente rilevanti di volta in volta imponendo, vietando, o almeno suggerendo o sconsigliando, il comportamento di atti assai più vasti e numerosi; cfr. S. Ferlito, Le religioni il giurista e l’antropologo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, p. 53 ss.
[26] Secondo L. R. kurtz sono almeno cinque gli aspetti del processo di costruzione dell’identità ad essere connessi alle tradizioni religiose: 1) standard o modelli; 2) reti sociali religiose come gruppi di riferimento; 3) interazione con la divinità; 4) meccanismi di sostegno dei cambiamenti d’identità; 5) un sistema di significato e di sicurezza. Così L. R. kurtz, Le religioni nell’era della globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2000, pp.149-153.
[27] Cfr. sul tema R. Santoro, Appartenenza confessionale e diritti di cittadinanza nell’Unione Europea, Cacucci, Bari, 2008;
[28] Il buon costume, quale complesso dei principi di etica sociale e della morale comune (cd. moralità media o senso morale) richiamati dalla Costituzione, dai codici e dalle leggi come norme di chiusura, vuole indicare quanto è socialmente ritenuto appartenente alle abitudini e alle prassi etiche della comunità umana di riferimento. Si tratterebbe di una limitazione afferente esclusivamente alla pratica del culto e richiamante l’analoga, ma più ampia limitazione sancita durante il fascismo per i c.d. culti ammessi nella legge n. 1159/1929 (“purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico ed al buon costume”), che faceva da complemento al regime concordatario con la Chiesa cattolica, elevata al rango di religione dello Stato. Questa previsione limitativa non legittima un sindacato sulle credenze, sui valori o sula legittima possibilità di esistenza o sull’attività delle fedi religiose, ma incide sui comportamenti rituali dei singoli e dei gruppi, a tutela del comune sentimento dei costumi, anche se i costumi costituiscono un parametro cariabile nel tempo e nello spazio». Così G. Macrì, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto civile e religioni, Laterza, Roma-Bari, 2013, p. 71.
[29] Corte Cost., 14 giugno 1956, n. 1.
[30] G. Blando, Libertà religiosa e libertà di culto ai tempi del Covid-19: una questione di bilanciamento, in www.federalismi.it, Osservatorio emergenza Covid-19, paper (5 maggio 2020), p. 4  e ss.
[31] Cfr. Corte costituzionale, sent. n. 63 del 2016, punto 8 del Considerato in diritto.
[32] Cfr., in tal senso, Corte costituzionale, sent. n. 85 del 2013, punto 9 del Considerato in diritto.
[33] B. Caravita, L’Italia ai tempi del coronavirus: rileggendo la Costituzione italiana, in Federalismi.it.
[34] Cfr. G. Silvestri, Covid-19 e Costituzione, in www.unicost.eu, 10 aprile 2020; S. Staino, Nè modello né sistema. La produzione del diritto al cospetto della pandemia, in Rivista AIC, n. 2/2020, 11 giugno 2020; G. Brunelli, Democrazia e tutela dei diritti fondamentali ai tempi del coronavirus (Diritto virale. Scenari e interpretazioni delle norme per l’emergenza Covid-19), in www.giuri.unife.it.
[35] In senso contrario si esprime N. Colaianni, La libertà di culto al tempo del coronavirus, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica, www.statoechiese.it.
[36] M. d’Arienzo, Libertà religiosa e autonomia confessionale ai tempi dell’emergenza coronavirus, in  M. Caterini, S. Muleo (a cura di), La giustizia al tempo del coronavirus, Pisa, 2020, p. 213; A. Licastro, Il lockdown della libertà di culto pubblico al tempo della pandemia, in Consulta online, I, 2020, www.giurcost.org, 14 aprile 2020, p. 238 e ss.
[37] V. Pacillo, La sospensione del diritto di libertà religiosa nel tempo della pandemia, in www.olir.it., 16 marzo 2020.
[38] Così V. Baldini, La gestione dell’emergenza sanitaria: un’analisi in chiave giuridico-positiva dell’esperienza.…, in dirittifondamentali.it, n. 3/2020, 12 novembre 2020, p. 427.
[39] Ad esempio, numerose sono state le iniziative, le esperienze pastorali  e le celebrazioni trasmesse sul web, le dirette Facebook o su Instagram, e le comunicazioni di parroci e vescovi tramite WhatsApp, Telegram o, ancora, mediante le piattaforme di videoconferenza a disposizione.  Al riguardo, inoltre, l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI ha diffuso un vademecum  utile per “Celebrare la messa in Tv o in streaming”.
[40] Che già con un Comunicato del 5 marzo aveva previsto particolari precauzioni da adottarsi nelle zone maggiormente a rischio contagio; tra queste, “alla luce del confronto con il Governo”, la sospensione delle messe, per una settimana.
[41]  Sul punto si rinvia a A. Fuccillo, La religione “contagiata” dal virus? La libertà religiosa nella collaborazione Stato-Chiesa nell’emergenza covid-19, in Olir.it, 21 aprile 2020 per il quale «Le autorità ecclesiastiche hanno dimostrato una non comune sensibilità nell’indicare ai fedeli percorsi alternativi di ritualità, accettando le limitazioni imposte dai governi, ben consapevoli dei rischi di diffusione del covid-19. Si è riempito di nuovo valore il principio di cooperazione Stato-Chiesa in difesa della salute dei cittadini-fedeli. Tale condotta ecclesiale è ancor più apprezzabile in quanto le ordinanze contingibili del Governo nazionale e regionale hanno irritualmente compresso il diritto di libertà religiosa che, in ossequio all’art. 19 della Costituzione, non può soffrire limitazioni di “ordine pubblico”, e hanno occupato spazi decisionali riservati (ex Art. 7, comma I, Cost.) alla Chiesa».
[42]  Il can. 1245, espressamente consente all’autorità ecclesiastica competente (ossia al Vescovo e, secondo le sue disposizioni, al parroco) di dispensare i fedeli in casi particolari dall’obbligo di partecipare fisicamente – la presenza fisica è necessaria – alla Santa Messa, eventualmente disponendo – a riprova della consapevolezza della gravità di una simile misura – la possibile commutazione del precetto in altre opere pie, sulla base di quanto stabilito dal can. 1245 c.i.c.  La possibilità di dispensa da un diritto universale e particolare, su richiesta dei fedeli, difatti rientra nella capacità riconosciuta al Vescovo “ogniqualvolta giudichi che ciò giovi al loro bene spirituale” (can. 87 § 1), e per una “causa giusta e ragionevole” (can. 90 § 1). Una tale dispensa non impedisce il rispetto generale della regola, ma limita il suo esercizio in casi particolari e per persone singole. Nella situazione specifica, i Vescovi, più che ricorrere alla possibilità di “dispensare”, hanno piuttosto applicato il can. 223 § 2 secondo il quale spetta alla stessa autorità “in vista del bene comune, regolare l’esercizio dei diritti che sono propri dei fedeli”. Una decisione di opportunità che non lede la libertà del fedele ma, lungi dall’essere considerata una pena – come pure è stato affermato – ne definisce la modalità di esercizio. Così come del resto si evince chiaramente dal Decreto del 13 marzo 2020 del Vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma: “Tuttavia, ogni provvedimento cautelare ecclesiale deve tener conto non soltanto del bene comune della società civile, ma anche di quel bene unico e prezioso che è la fede, soprattutto quella dei più piccoli”. Cfr. M. d’Arienzo, E’ legittima la sospensione della Messa in forma pubblica? Risponde una ecclesiasticista, su www.acistampa.com.
[43] Sul punto cfr. F. Marini, Il precetto della Messa festiva: un obbligo individuale per un’assemblea che celebra la memoria pasquale, in Quaderni di Diritto Ecclesiale, 18, 2005, pp. 259-277.
[44] Cfr. V. Pacillo, La libertà di culto al tempo del coronavirus: una risposta alle critiche, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica, www.statoechiese.it, n. 8/2020 per il quale la  «la sospensione dell’art. 2 dell’Accordo di Villa Madama,  per quel che riguarda i fedeli cattolici, si traduce in un vulnus al can. 213 del Codice di diritto canonico, e dunque in una grave limitazione della libertà religiosa, stante il nesso inscindibile tra la celebrazione dei sacramenti e professione della fede cattolica».
[45] In tema di assistenza e cura dei malati deve anche essere ricordato che l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, di proprietà della Santa Sede, ha dedicato la struttura di Palidoro ai bambini Covid-19 positivi.
[46] Il messaggio dei rabbini italiani “Salvaguardia vita e salute ha precedenza su tutto, in moked. Il portale dell’ebraismo italiano, 5 marzo 2020. In data 8 marzo, le autorità ebraiche sono poi nuovamente intervenute con l’appello dei leader ebraici “Calma e collaborazione, così ne usciremo”. Entrambi i documenti sono consultabili su moked. Il portale dell’ebraismo italiano, 10 marzo 2020
[47]  Cfr. il documento sul sito dell’Ucoii https://www.ucoii.org/2020/03/05/01-2020- disposizioni-emergenza-coronavirus-per-le-comunita-islamiche/.
[48]  Come ad esempio quello della sacralità della vita (Cor. 5, 32 “[…] chiunque ucciderà una persona senza che questa abbia ucciso un’altra o portato la corruzione sulla terra, è come se avesse ucciso l’umanità intera. E chiunque avrà vivificato una persona sarà come se avesse dato vita all’umanità intera). In tal senso, l’importanza che la visione islamica attribuisce alla tutela della salute individuale e collettiva finisce così per prevalere anche sul dovere di adempiere alla preghiera collettiva.
[49]Coronavirus, sospensione attività ecclesiastiche, liberamente consultabile sul sito internet: https://www.chiesavaldese.org/aria_articles.php?ref=767
[50] Cfr. https://www.chiesaluterana.it/2020/03/06/decreto-ministeriale-su-covid19/.
[51] T. Rimoldi, La Chiesa avventista al tempo del Covid-19, in www.Olir.it, 16 aprile 2020.
[52] Su queste posizioni si attestano M. Carrer, Salus rei publicae e salus animarum, ovvero sovranità della Chiesa e laicità dello Stato: gli artt. 7 e 19 Cost. ai tempi del coronavirus, in BioLawJournal.it, 16 marzo 2020; V. Pacillo, La libertà di culto al tempo del coronavirus: una risposta alle critiche, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica, www.statoechiese.it, n. 8/2020.  In dottrina vi è tuttavia chi, al contrario, esclude che le misure di contenimento abbiano inciso sulla dimensione libertaria della professione di un credo, avendo esse comportato solo  la sospensione delle «forme assembleari di tutte le religioni» (e non i riti in quanto tali), incidendo quindi su una sfera di libertà ben suscettibile di limitazioni da parte dello Stato laddove si ponga in pericolo l’incolumità dei partecipanti, di terzi o del pubblico. Cfr. A. Ferrari, Covid-19 e libertà religiosa, in www.settimananews (6 aprile 2020); M. Massa, I limiti al culto pubblico durante la pandemia, in Quad. cost., 3/2020, p. 602 ss.; F. Alicino, Costituzione e religione in Italia al tempo della pandemia, ivi, n. 19/2020, p. 7.
[53] Che deve intendersi come applicabile anche al Concordato tra Repubblica Italiana e Santa Sede ex art. 3 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
[54] V. Pacillo, La sospensione del diritto di libertà religiosa nel tempo della pandemia, in Olir.It, 16 marzo 2020.
[55] V. Pacillo, Il diritto di ricevere i sacramenti di fronte alla pandemia. Ovvero, l’emergenza da COVID-19 e la struttura teologico-giuridica della relazione tra il fedele e la rivelazione della Grazia, in www.Olir.it, 6 aprile 2020.
[56] Cfr. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 10 aprile 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, applicabili sull’intero territorio nazionale che, nel ribadire quanto già previsto ne precedenti provvedimenti, ha stabilito che «l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro di cui all’allegato  1,  lettera d)» e che «sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri» (art. 1, com. 1, lett. i).
[57] A tale riguardo, con particolare riferimento ai rapporti tra Repubblica italiana e Chiesa Cattolica, l’art. 2 della l. 25 marzo 1985, n. 121 prevede che “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica
[58] L’art. 5 della l. 25 marzo 1985, n. 121 prevede che “gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica. L’autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali”.
[59] Cfr. R. Santoro, Focus La tutela penale del sentimento religioso ai temi del Covid-19: il caso del turbamento di funzioni religiose da parte delle Forze dell’ordine, in www.Olir.it,  22 aprile 2020.
[60] La sospensione della celebrazione delle messe ha, ad esempio, indotto Tv 2000 ad aumentare gli appuntamenti religiosi per accompagnare e rendere un servizio a telespettatori e fedeli. Oltre all’incremento delle messe in tv si registra una inevitabile apertura alle messe in streaming. Ancora, tra gli strumenti utilizzati vi sono whatsapp, Facebook  e Youtube. Sul tema si rinvia a M. d’Arienzo, Zuckerberg e i nuovi rapporti tra diritto e religioni. A proposito di libertà di coscienza nell’era digitale, in Diritto e Religioni, 1, 2019.
[61] Cfr. A. Fuccillo, M. Abu Salem, L. Decimo, Fede interdetta? L’esercizio della libertà religiosa collettiva durante l’emergenza COVID-19: attualità e prospettive, in Calumet Review, Rivista Telematica (www. http://www.calumet-review.it), 4 aprile 2020; T. Rimoldi, La Chiesa avventista al tempo del Covid-19; D. Milani, Fede e salute al tempo del Coronavirus: per un primo bilancio a un mese dal lockdown; C. Cianitto, Let us continue to pray. La Chiesa d’Inghilterra e il Covid-19; V. Pacillo, Il diritto di ricevere i sacramenti di fronte alla pandemia. Ovvero, l’emergenza da COVID-19 e la struttura teologico-giuridica della relazione tra il fedele e la rivelazione della Grazia; S. Montesano, L’esercizio della libertà di culto ai tempi del Coronavirus; V. Pacillo, La sospensione del diritto di libertà religiosa nel tempo della pandemia; A. Gianfreda, Libertà religiosa e culto dei defunti nell’epoca del Coronavirus; M. Abu Salem, L’Islam italiano e le regole religiose di fronte all’emergenza del COVID-19: “L’avversità si accompagna alla buona sorte” (Cor. 94, 5-6), tutti disponibili al sito web www.olir.it.
[62] Si pensi, ad esempio, alla CEI che ha destinato 10 milioni di euro alle Caritas diocesane, all’iniziativa dell’Unione Buddista Italiana atta a destinare una parte delle risorse percepite con l’Otto per Mille alla Protezione Civile o, ancora, alla comunità musulmana di Reggio Emilia che ha fatto una ingente donazione alle strutture impegnate nel contrasto all’epidemia.
[63] E. Castorina, Libertà di culto, confessioni religiose e principio di bilateralità: i “protocolli sanitari” per il contrasto alla pandemia da Covid-19, in dirittifondamentali.it.

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Avv. Alessandro Palma

Alessandro Palma, avvocato del Foro di Napoli e specializzato in professioni legali, è dottore di ricerca in Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Presso lo stesso Ateneo si è perfezionato in Amministrazione e Finanza degli Enti Locali ed è cultore della materia in Diritto Ecclesiastico ed in Diritti Confessionali. E’ Tutor di Diritto Costituzionale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II nonché Tutor di Diritto Ecclesiastico presso l’Università Telematica Pegaso. Per l’a. a. 2018/2019 è docente a contratto sulla cattedra di Diritto Ecclesiastico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente su questioni di bioetica e biodiritto, con particolare riguardo alle tematiche della fine vita e dei diritti fondamentali, sull’esperienza religiosa alla luce delle neuroscienze e della psicologia evoluzionistica e cognitiva, sui rapporti tra diritto e religione e sugli strumenti di inclusione giuridica delle diversità culturali nelle società multiculturali. E’ autore di molteplici recensioni e pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e di una monografia intitolata Finis Vitae. Il Biotestamento tra diritto e religione, Artetetra, Capua, 2018.

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