Il diritto processuale della CEDU

Il diritto processuale della CEDU

Preliminarmente, giova specificare che le violazioni sostanziali dei diritti riconosciuti sono giustiziabili innanzi ad un organo giurisdizionale internazionale ossia la Corte europea dei diritti dell’uomo (d’ora in poi, Corte EDU).

La competenza di detta Corte è sancita dall’art. 32 CEDU (a norma del quale essa “si estende a tutte le questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che le verranno sottoposti alle condizioni previste dagli artt. 33, 34, 46 e 47”) ed ha natura contenziosa (tranne nell’ipotesi dei pareri consultivi di cui all’art. 47 CEDU). Si presuppone, difatti, che lo Stato contraente non abbia adempiuto agli obblighi contrattuali discendenti dall’art. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La Convenzione europea contiene norme strettamente processuali quali gli artt. 5, 6, 8 ed il 2 c. VII del Protocollo, che offrono ai diritti – in esse menzionati – carattere programmatico anche grazie all’ausilio della giurisprudenza, della prassi e della normativa.

Ci troviamo così di fronte ad un Diritto processuale europeo che si presenta legato in modo inscindibile a standards valutativi tratti dai principi generali dell’ordinamento: si pensi, ad esempio, al c.d. principio del contraddittorio (adversarial trial della giurisprudenza europea), sancito e garantito anche dall’art. 111 della Costituzione italiana. Il principio in questione, “pur non comparendo nel testo CEDU, si desumerebbe dalla nozione di hearing (traducibile in udienza e/o processo), impiegata nella formulazione inglese della Convenzione”. Uno dei diritti fondamentali (dell’equità processuale), nell’ottica dei principi derivanti dall’art. 6 della summenzionata Convenzione, è il diritto ad essere ascoltati ossia il c.d. right to be heard. Di qui una partecipazione fattiva dell’interessato al processo decisionale per meglio favorire, nel rispetto delle garanzie procedurali, il perseguimento di una ed una più facile accettazione, da parte dell’interessato stesso, di tale processo decisionale. Trattasi del “riconoscimento a livello costituzionale del diritto dell’imputato a confrontarsi con l’accusatore, che deve trovare applicazione dinanzi al Giudice” .

Orbene, la prospettiva attraverso la quale delineare la nostra argomentazione concerne, appunto, il Sistema giurisdizionale (di controllo) europeo (rectius: sovranazionale) istituito dalla Convenzione. La succitata Convenzione, frutto di numerosi interventi riformatori operati con il Protocollo n. 11 del 1998 ed integrata da 11 protocolli aggiuntivi, rappresenta un vasto “Sistema sovranazionale” (di protezione) dei diritti umani.

Quanto alla formazione di giudizio della Corte EDU, viene in rilievo, in primis, la modalità di accesso alla Corte. Sono previsti due tipi di ricorso: uno per gli Stati ossia il ricorso interstatale e l’altro per i singoli cioè il ricorso individuale (rispettivamente, artt. 33 e 34 CEDU).

La Corte EDU decide con sentenza definitiva e vincolante, garantendo (nella qualità di giudice ultimo della Convenzione) l’interpretazione conforme delle norme sovranazionali. In secondo luogo, allo scopo di assicurare una ragionevole durata del processo, emerge la presenza di un ‘giudice unico’ (nuovo organo giurisdizionale), diverso da quello eletto per lo Stato contro il quale è stato proposto il ricorso. Il giudice unico funge, infatti, da ‘filtro’ del contenzioso europeo, occupandosi della irricevibilità dei ricorsi manifestamente infondati e cancellandoli dal ruolo con decisione definitiva.

Nell’ottica del giudice della Convenzione, il principio del contraddittorio, come supra citato, è letto in duplice chiave. Il diritto soggettivo al contraddittorio richiama l’esercizio del diritto al contraddittorio attraverso il metodo del contraddittorio (di ricerca) orientato all’accertamento della verità. Tuttavia, anche se il radicamento del diritto europeo all’interno del diritto sostanziale appare effettivo, vi è ancora l’esigenza di adeguare il nostro sistema processuale (specie quello penale) ai principi della Convenzione europea. In altre parole: il contenuto dei commi 4 e 5 dell’art. 111 della Costituzione non coincide del tutto con quanto previsto specificamente nel comma 3, lettera d, dell’art. 6 CEDU. Ci si riferisce a deficit delle garanzie interne rispetto agli obblighi internazionali ed in particolare alle dichiarazioni assunte in assenza di contraddittorio. Il tema delle garanzie processuali riservate all’imputato in relazione al principio del contraddittorio è molto sentito: la sua propulsione proviene, soprattutto dalla Convenzione europea e dalle pronunce giurisprudenziali della Corte di Strasburgo (concernenti le violazioni dell’art. 6 § 1 e 3 della Convenzione). La giurisprudenza della Corte Europea afferma la necessità di un contraddittorio effettivo in punto di riqualificazione del fatto. Ammette, al massimo, il contraddittorio ‘differito’ sulla fonte di prova che non costituisce un effettivo contraddittorio fra le parti, ma dà, comunque, la possibilità di contestare successivamente precedenti dichiarazioni accusatorie . Il diritto dell’accusato di confrontarsi con i suoi accusatori può venir meno anche quando la condanna sia basata su altre prove . In sostanza la condanna non può essere basata solo su dichiarazioni rese nella fase antecedente al dibattimento.

Riguardo il diritto di prova, la Corte ha statuito che non può essere dichiarata inammissibile l’unica prova disponibile per sostenere le ragioni difensive dell’una o dell’altra parte, eventualmente anche in deroga alla normativa interna sulle prove, salvo il potere discrezionale del giudice.

Sul versante nazionale, però, a seguito della riforma sul c.d. “giusto processo” e dell’ingresso nel nostro ordinamento del principio del contraddittorio, vi sono state alcune ripercussioni sul regime delle letture dibattimentali . A riguardo, la giurisprudenza di legittimità italiana tende ad evitare che si verifichi una specie di ‘irripetibilità di comodo’, richiedendo per la valutazione della dichiarazione irripetibile (acquisita ai sensi dell’art. 512 c.p.p. ) un confronto con altri elementi probatori, l’esistenza dell’imprevedibilità dell’evento e la natura oggettiva dello stesso (Cass. pen., sez. V, sent. 9665/2011). Sul punto, le Sezioni Unite hanno optato per un approccio rigoroso del sistema delle letture dibattimentali. Nel caso di specie, la ratio è quella di acquisire le dichiarazioni delle letture predibattimentali, rese della persona informata sui fatti, mediante lettura ai sensi dell’art. 512 bis c.p.p.

Tra il livello europeo e quello nazionale emergono, pertanto, distanze di posizioni e la ricerca costante e delicata di un punto di equilibrio. Si parla, a tal proposito, di “Pluralismo interpretativo” alimentato dalla linea di frattura tra indirizzo nazionale e sovranazionale. A titolo esemplificativo, citiamo l’allontanamento della Corte costituzionale (con la sentenza n. 251 del 2004, in tema d’installazione di microspie) ovvero l’omissione da parte del giudice delle leggi di attribuire valore cogente alla CEDU nel nostro ordinamento. Ancora possiamo menzionare l’interpretazione riduttiva del principio del contraddittorio seguita, in prima battuta, dalla Corte costituzionale (ci si riferisce ad un modello di processo fondato sulla rilevanza dibattimentale delle dichiarazioni rese segretamente durante le indagini preliminari). Altra divergenza la riscontriamo nella posizione attribuibile alla confisca. Questa viene intesa dalla giurisprudenza di Strasburgo come pena ai sensi dell’art. 7 CEDU, mentre i giudici interni le attribuiscono una natura sanzionatoria o di misura di sicurezza.

Come ben noto, quando la Corte Edu riconosce le violazioni dei diritti sostanziali, chiede allo Stato inadempiente di rifare il processo.

L’apporto delle pronunce giurisprudenziali ha assunto un ruolo decisivo sugli orientamenti giurisprudenziali, incidendo anche sull’assetto normativo. E’ molto diffuso, però, l’uso del precedente, che non sempre conferisce ordine al caso concreto e raramente corrisponde allo sviluppo reale della controversia decisa. Si tratta, piuttosto, di uno stare decisis, consistente in un’antica teoria degli ordinamenti anglosassoni.

Si rende, dunque, necessario (anche con l’intervento delle pronunce giurisprudenziali che promanano dalla Corte di Strasburgo) circoscrivere la portata della deroga a quelle situazioni oggettive ed assolute nelle quali il giudice abbia posto in essere ogni tentativo per garantire il contraddittorio e la dialettica tra le parti. Il punto è proprio quello di determinare le situazioni in cui lo Stato versi nell’impossibilità di rimuovere le conseguenze negative della decisione ritenuta ingiusta (recte: iniqua) dalla Corte.

Occorre ricordare, in proposito, la “Raccomandazione del Consiglio d’Europa” con la quale lo stesso afferma che “la legislazione italiana contiene molte lacune e contraddizioni, che sollevano dubbi circa la separazione dei poteri e la necessaria indipendenza e imparzialità dei giudici. Le regole giuridiche sono difficili da applicare e questo va a scapito della complessiva trasparenza ed esistenza del sistema.

Il Legislatore, dunque, nel congegnare le regole processuali deve tener conto della loro funzionalità all’accertamento dei fatti, conciliando il tutto con altri valori e interessi, come ad es. la “parità delle parti” Sarebbe insensata ed ingiusta una disciplina processuale che non fosse preordinata all’accertamento dei fatti ed alla ricerca della verità e che introducesse irragionevoli barriere allo svolgimento delle indagini ed alla produzione delle prove o che al contrario permettesse alle parti di produrre ogni genere di prova senza alcuna pertinenza . Lo stesso contraddittorio […] è uno strumento utile del processo quando vi sono ragioni per contraddire, se non ve ne sono è un ingombro.

In conclusione: sarebbe certamente auspicabile un coordinamento tra i due livelli (nazionale e sovranazionale) al fine di assicurare la prevalenza della condizione ritenuta più favorevole dal punto di vista delle garanzie processuali e di salvaguardare le istanze repressive provenienti dall’esterno (in una dimensione “solidaristica”, nella quale ogni Stato cooperi attivamente ).


Elenco delle fonti: Atti del Convegno “Sull’Amministrazione della Giustizia in Italia VIII Edizione”, BLOISE Maria Giovanna in Giusto Processo civile e giusta verità, 2014; Atti della Relazione del Presidente della Corte di Appello di Torino, S. E. Arturo Sopano, sull’Amministrazione della Giustizia nel distretto di Corte di Appello di Torino, Inaugurazione Anno Giudiziario 2017, pag. 11; CARNELUTTI F., Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1933, pag. 168; COUTURE E. J., La garanzia costituzionale del “dovuto processo legale” in Riv. dir. proc., 1954, pagg. 88-89; FERRUA P., Il giusto processo, III edizione, Bologna, 2012; GAITO A. – GIUNCHEDI F., Procedura penale e garanziee europee, Torino, 2006, pag. 192, 2006, pag. 97; GIUNCHEDI F., La tutela dei diritti umani nel processo penale, Cedam, 2012, pag. 187; MEZZETTI L.– PIZZOLO C., Diritto processuale dei diritti umani, Roma, 2013, pag. 326; PISANI M., Il “processo penale europeo”: problemi e prospettive, in Riv. Dir. Proc., 2004, pag. 653; SONELLI S., La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, Torino, 2015 pag. 219; TARZIA G., L’art. 111 e le garanzie del giusto processo civile in Riv. di dir. processuale, 2001-1, pag. 10; TONINI P., Diritto processuale penale. Manuale breve, Milano, 2013, pag. 12; VIGANO’ F. – UBERTIS G., Corte di Strasburgo e Giustizia penale, Torino, 2016, pag 182; ZACCARIA G. in Enciclopedia del diritto, Annali, vol V, Milano, 2012, pag. 708; C. Edu, 27/02/2001, Lucà/Italia; C. Edu, 5/12/20012, Craxi/Italia; Corte Edu, 3/12/2013, Ricorso 35842/2005 Varacu c. Romania; Sent. caso Dombo Bebeer c/Paesi Bassi; Cass. SS. UU., sent. n. 27918/2011 in www.penalecontemporaneo.it.


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Maria Giovanna Bloise

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