Il disastro colposo tra crolli, incendi e deragliamenti

Il disastro colposo tra crolli, incendi e deragliamenti

La vicenda del crollo del Ponte Morandi, avvenuta lo scorso anno nel capoluogo ligure, ha scosso profondamente l’opinione pubblica.

Molte sono state le ipotesi della caduta di tale imponente e decennale costruzione.

In un primo momento qualcuno supponeva che un fulmine avesse colpito accidentalmente la struttura.

Tesi, di fatto, da subito accantonata.

Successivamente, emergeva un grave cedimento strutturale e una cattiva manutenzione del ponte da tempo segnalata.

Da molti mesi la Procura di Genova sta svolgendo un’indagine per attentato alla sicurezza dei trasporti (ex art. 432 c.p.), per omicidio colposo plurimo (ex art. 589, commi 1 e 3 c.p.) e per il delitto di  disastro colposo (ex artt. 434 e 449 c.p.).

Si rileva come la tragedia di cui trattasi sia, purtroppo, solo uno degli eventi di natura catastrofica avvenuta nel nostro paese negli ultimi anni.

Si possono citare, per fare degli esempi, anche l’alluvione verificatasi a Parma e provocata dall’esondazione del torrente Baganza nell’ottobre del 2014, o il terribile deragliamento del treno a Pioltello lo scorso inverno e, ancora, l’incendio alla Orim a Macerata nel mese di Luglio scorso e il crollo del viadotto a Fossano.

Alla luce di questa breve premessa fattuale, appare interessante esaminare la complessa fattispecie criminosa del disastro colposo.

Il summenzionato reato si identifica in occasione di calamità collettive o singole, nelle quali si possono ravvisare gli estremi di una responsabilità umana volta a danneggiare la collettività.

Il disastro colposo, disciplinato dagli artt. 434 e 449 c.p., viene trattato nel Libro secondo, Titolo VI del nostro codice penale, alla voce “delitti contro l’incolumità pubblica”.

Tale reato, per la sua configurabilità, richiede una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, ossia la ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all’attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti.

Nella fattispecie penale in esame, la situazione di pericolo comune deve essere accertata in concreto e la qualificazione di grave pericolosità non viene meno, allorché l’evento dannoso non si sia verificato.

Tutto ciò si lega alla natura di tale delitto, dalla quale consegue che per la sua sussistenza sia sufficiente la prova che dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno.

Il delitto di disastro colposo è costituito da un “macro-evento”.

Esso comprende sia gli eventi disastrosi di grande ed immediata evidenza, (un crollo, un naufragio o un deragliamento), essia tutti quegli eventi non immediatamente percepibili che si verificano magari in un arco di tempo ristretto e che consentono di affermare l’esistenza di una lesione alla pubblica incolumità o possibilità di danno alla vita.

In tema di “crolli di una costruzione”, come quello narrato in premessa, una rilevante pronuncia degli Ermellini ha sancito che per la sussistenza dei delitti di cui agli artt. 434 e 449 c.p. è necessario che “il crollo della costruzione abbia assunto la fisionomia di un disastro, ovvero di un avvenimento di tale gravità e complessità da porre in concreto pericolo la vita e l’incolumità delle persone” (Cassazione Penale, 4 maggio 2015, n. 18432).

In forza di tale sentenza, la definizione di crollo della costruzione “totale o parziale” comprende la caduta violenta ed improvvisa della stessa accompagnata dal pericolo della produzione di un danno notevole alle persone, senza che sia necessaria la disintegrazione delle strutture essenziali dell’edificio.

La fattispecie criminosa del disastro colposo si estende anche ad altre casistiche, così come previste dal nostro codice penale.

Si ravvisa, per esempio, nel caso d’incidente automobilistico provocato, tout court, da colpa dei conducenti e con conseguenze particolarmente gravi a persone o cose.

Parimenti si pensi all’incendio colposo, ove il fuoco, causato dalla condotta imprudente e negligente dell’agente, debba essere caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento.

Il secondo comma dell’art. 449 c.p. prevede un titolo autonomo di reato, in quanto implica un inasprimento di pena nel caso di ipotesi di disastro ferroviario, di naufragio, di sommersione di una nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un aeromobile adibito anch’esso a trasporto di persone e ancora di disastro aviatorio.

Occorre precisare che la fattispecie criminosa del disastro colposo richiede, quale elemento psicologico la colpa, a differenza dell’ipotesi più grave disciplinata dall’art. 434 c.p., ove si configura la volontà diretta da parte dell’agente, a cagionare un crollo o un altro evento disastroso idoneo a mettere in pericolo la pubblica incolumità.

Questa breve seppur utile analisi della fattispecie criminosa de qua appare necessaria in un’epoca in cui le parole “disastro colposo” sembrano, aimé, all’ordine del giorno.


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Daniela Mancini

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università dell'Insubria di Como. Esperienza quinquennale presso studi legali attivi in diritto civile e penale.

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