Il divieto del patto commissorio

Il divieto del patto commissorio

Il divieto del patto commissorio è sancito dall’art. 2744 c.c. che lo definisce come un accordo in forza del quale in mancanza del pagamento del credito entro il termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno, passa al creditore. I patti di tale portata sono nulli anche nell’ipotesi in cui siano stati stipulati in un momento successivo rispetto alla costituzione del pegno o dell’ipoteca.

La norma in esame contiene un divieto di carattere generale, ma non può ignorarsi che nel corpus del Codice Civile siano rinvenibili anche ipotesi settoriali di divieto del patto commissorio, come quello previsto dall’art. 1963 c.c. in tema di anticresi.

La vigenza e la portata del divieto non sono nemmeno contraddette dall’art. 2798 c.c. che consente al creditore di domandare al giudice l’assegnazione della cosa data in pegno, ma sino alla concorrenza del debito e in base ad una stima fatta con perizia o secondo il prezzo corrente. Difatti la norma de qua stigmatizza una deroga legislativa al divieto del patto commissorio, ma riguardante soltanto i beni dati in pegno, pertanto è di stretta interpretazione. Inoltre l’esercizio della pretesa di cui all’art. 2798 c.c. è subordinato a tutta una serie di condizioni finalizzate alla protezione del debitore e della par condicio creditorum. In effetti l’assegnazione del bene è limitata alla concorrenza dell’ammontare del debito, di guisa che l’eccedenza vada restituita al debitore, la stima è fatta con perizia o secondo i prezzi correnti e non in via arbitraria e unilaterale dal creditore, in questo modo è preservata la terzietà e l’equità della valutazione, infine l’assegnazione è decisa dal Giudice e posta in essere con le modalità di cui agli artt. 505 e ss. del c.p.c., dunque soggetta al vaglio di un organo terzo e imparziale.

Assai dibattuta è la ratio sottostante alla previsione del  divieto del patto commissorio.

Preliminarmente occorre evidenziare che la norma è collocata nel libro VI del c.c. dedicato alla tutela dei diritti e in particolare tra le disposizioni generali del titolo dedicato alla responsabilità patrimoniale, alle cause di prelazione e alla conservazione della garanzia patrimoniale.

L’istituto della garanzia patrimoniale si articola nella garanzia patrimoniale generica e in quella specifica. La prima è retta dai principi di unitarietà e universalità, sanciti all’art. 2740 c.c. che impone che il debitore risponda dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri, e dal principio della par condicio creditorum di cui all’art. 2741 c.c..

La garanzia patrimoniale specifica rinviene il suo fondamento normativo nella seconda parte dell’art. 2741 c.c., laddove accorda ai creditori titolari di un causa legittima di prelazione il diritto di soddisfarsi in via prioritaria sul ricavato ottenuto dalla eventuale vendita forzata dei beni ai quali il loro diritto di garanzia si riferisce.

E’ d’uopo evidenziare che le cause legittime di prelazione, id est privilegio, pegno e ipoteca, costituiscono diritti reali di garanzia insistenti su beni determinati del debitore o di un terzo, salvo casi particolari quali il pegno rotativo o il privilegio generale.

Il titolare della garanzia, dunque, non si appropria del bene, bensì ha soltanto un diritto di preferenza sul ricavato dell’esecuzione forzata, sicchè il sistema dei diritti reali di garanzia non  costituisce un’eccezione al divieto del patto commissorio, ma lo conferma e ne è un’applicazione.

La circostanza che il legislatore abbia scelto di inserire il 2744 c.c. subito dopo gli articoli sulla garanzia patrimoniale, di certo fornisce un indizio sulla funzione del divieto, ma non è dirimente.

Le teorizzazioni circa la funzione del divieto in esame, possono in via esemplificativa essere ricondotte a due principali orientamenti, a seconda che arrivino a considerare vietato qualsiasi patto commissorio oppure  soltanto quelli lesivi delle prerogative debitorie.

Stando ad un primo filone interpretativo, il divieto è posto a tutela del solo debitore, quale parte debole del rapporto che necessita di protezione dagli abusi del creditore che potrebbe coartare la sua autonomia contrattuale, costringendolo a dare il bene in garanzia al fine di ottenere la concessione del credito. Potrebbe accadere inoltre e sovente e così, che la cosa data in garanzia, abbia un valore superiore al credito garantito. Perciò in caso di inadempimento il creditore si appropria di un valore economico sproporzionato, atteggiandosi così l’intera operazione alla stregua di un’usura reale. L’eccedenza poi, siccome non dovuta, realizzerebbe un arricchimento senza giusta causa, a dispregio del principio causalistico che deve necessariamente sorreggere gli spostamenti patrimoniali nel nostro sistema giuscivilistico.

Considerare il divieto del patto commissorio come un istituto finalizzato alla tutela del solo debitore, conduce alla conclusione che non tutti i patti commissori debbano ritenersi vietati, ma soltanto quelli che violano gli interessi del debitore, se e nella misura in cui realizzino uno spostamento patrimoniale sproporzionato.

In una differente prospettiva si pone invece l’orientamento che propende per la nullità di qualsiasi patto commissorio.

Al suo interno è possibile ricondurre diverse teorie, quale quella che rinviene il fondamento del divieto nella tutela della par condicio creditorum, quella che fa riferimento alla tipicità delle cause legittime di prelazione in particolare e dei diritti reali in generale, oppure ancora quella che ritiene inidonea la causa d garanzia a sorreggere l’effetto traslativo prodotto dallo spostamento patrimoniale. Merita attenzione anche il parere di coloro che riconducono il divieto del patto commissorio al divieto di autotutela privata.

Il nostro ordinamento nel suo complesso è concepito, difatti, in modo tale da conferire allo Stato il monopolio della forza. Pertanto è proibito ai singoli farsi giustizia da soli.

E’ una scelta di politica legislativa presidiata a seconda dei casi da sanzioni penali, si pensi al reato dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni punito ex art. 393 c.p. oppure, stando alla tesi in esame, alla nullità  ex art. 2744 c.c..

Dall’analisi delle nome del codice emerge che il  legislatore ha inteso apprestare tutta una serie  di istituti volti a preservare le ragioni del creditore. Si pensi all’azione surrogatoria, alla revocatoria, al sequestro conservativo ed all’istituto di nuovo conio di cui all’art. 2929 bis del c.c., qualificati alla stregua di mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. Oppure si pensi ai rimedi contrattuali o alle cause legittime di prelazione. Quelli in discorso sono per certi versi mezzi di autotutela, accedendo ad una nozione lata del termine, pur nella loro diversità sono accumunati dalla circostanza che il loro esercizio implica sempre il ricorso all’Autorità Giudiziaria. L’autotutela in senso stretto è invece quella che consente l’esercizio di poteri e facoltà, senza l’intervento del Giudice.

In questa prospettiva è persuasiva la tesi che considera l’art. 2744 c.c. espressione del divieto di autotutela, intesa in senso stretto. Se non fossero colpiti dalla nullità, i patti commissori consentirebbero al creditore di incamerare il bene sic et simpliciter a seguito del verificarsi dell’inadempimento.

La giurisprudenza di legittimità ha in parte aderito alla predette teorie, ammettendo che la ratio del divieto abbia una natura mista, frutto dell’insieme di tutte le funzioni enunciate. Ma l’indirizzo pretorio in esame, se ne è pure in parte discostato laddove ha inteso attribuire al 2744 c.c. rango di norma materiale e di principio generale dell’ordinamento, che a prescindere dalla collocazione topografica all’interno del codice, mira a sancire un divieto di risultato. Di guisa che sono da ritenersi vietati tutti quei patti o negozi che mirano a realizzare un trasferimento a scopo di garanzia, senza che abbia rilievo la veste formale data dalle parti, il tempus o la qualifica dei soggetti intervenuti.

L’approdo giurisprudenziale in commento ha consentito di porre fine alla prassi invalsa di camuffare sotto le vesti di un diverso negozio, l’intenzione di concludere un patto commissorio vietato.

Così sono state ritenute pacificamente nulle per esempio le vendite a scopo di garanzia, i negozi traslativi sospensivamente condizionati all’inadempimento o risolutivamente condizionati all’adempimento.

Non sono peraltro mancate ipotesi dubbie e foriere di accessi contrasti.

E’ quando accaduto a proposito  del sale and lease back, il contratto con cui taluno aliena un bene ad una società di leasing, ma ne mantiene il godimento dietro il pagamento di un canone periodico. Il negozio in parola è bilaterale, a differenza del leasing che ha struttura trilaterale e non pone particolari difficoltà sul versante del divieto del patto commissorio. Il sale and lease back potrebbe pertanto, come accaduto, mascherare una vendita a scopo di garanzia, ma la giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso di ritenere che non sia sempre necessariamente cosi. Difatti il sale and lease back è un contratto atipico oramai divenuto socialmente tipico, soprattutto nell’ambito della contrattazione di impresa, utilizzato principalmente a scopo di finanziamento. Soltanto in presenza di determinati indici ed in considerazione delle peculiarità del caso concreto, è dato presumere che con la stipula di tale contratto le parti abbiano inteso eludere il divieto di cui all’art. 2744 c.c..

Gli indici rilevatori elaborati dalla giurisprudenza sono riconducibili alla preesistenza all’accordo di rapporti di dare-avere tra le parti, alla sproporzione tra il valore del bene e l’entità del credito ed infine allo stato di difficoltà economico-finanziaria dell’imprenditore.

Altrettanto dibattuta è la validità del patto c.d. marciano, stante il divieto dei patti commissori. Il patto marciano non è codificato nel codice civile, ma con tale espressione suole farsi riferimento all’accordo con il quale si conviene che un bene passi al creditore in caso di inadempimento, previa stima, sicché l’eventuale esubero, in natura se possibile o in denaro, venga restituito al debitore.

La disamina circa la validità del patto marciano implica preliminarmente la risoluzione della questione sulla sua natura, se cioè esso configuri o meno una species di patto commissorio e implica inevitabilmente anche il dibattito sul suo fondamento. Se dunque il patto marciano è un sottotipo del patto commissorio, la sua validità dipende dalla adesione alle teorie che reputano nulli tutti i patti commissori oppure a quelle che professano la nullità soltanto di quegli accordi lesivi delle pretese del debitore.

Nel primo caso anche il patto marciano è nullo, nel secondo invece è valido, dal momento che la stima del bene e la restituzione dell’esubero al debitore, valgono a preservarne le ragioni.

A questo punto è d’uopo evidenziare che con D.L. 59/16 il legislatore ha inserito nel Testo unico in materia bancaria di cui al D. lgs. n. 385/1993 l’art. 48 bis, che limitatamente ai contratti di finanziamento conclusi tra banche o istituti autorizzati alla concessione del credito e imprenditori, consente di garantire il finanziamento col trasferimento di un bene immobile sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore.

In caso di inadempimento, pertanto, l’istituto di credito può avvalersi del patto a condizione di rifondere la controparte dell’eventuale differenza tra l’ammontare del debito e il valore del bene, per come stimato da un perito nominato dal tribunale dopo l’avvenuto inadempimento.

Sorge spontaneo domandarsi se la norma in esame abbia inteso tipizzare un istituto a carattere generale, a testimonianza della legittimità del patto marciano.

Ma considerato che essa è inserita in una disciplina di settore, ha un ristretto ambito applicativo e scandisce precipuamente la procedura da seguire per avvalersi del patto, è da escludere che possa assurgere a principio di rango generale.

La norma però si affianca a tutta una serie di recenti pronunce della giurisprudenza che testimoniano il favor dell’ordinamento nei confronti della cautela marciana, che rispettate determinate condizioni, rende ammissibili pattuizioni che prima facie potrebbero celare patti commissori vietati.

Se dunque il patto marciano è valido, allora non è un patto commissorio oppure lo è, ma non è affetto da nullità poiché scongiura per sua natura il pericolo di far ottener al creditore un vantaggio indebito e sproporzionato. Ma accedendo alla tesi da ultimo citata, si arriva a concludere che la funzione del divieto del patto commissorio vada ravvisata nella sola tutela del debitore e pertanto consentire la stipula del patto marciano, significa minare la par condicio creditorum e approntare una garanzia reale atipica a vantaggio del creditore che può così incamerare direttamente il bene.

Occorre evidenziare che un meccanismo simile a quello sotteso al patto marciano, si realizza anche ex art. 1851 c.c. col pegno irregolare. Difatti quando a garanzia del credito sono vincolati depositi di denaro, merci o titoli che non siano stati individuati o per i quali sia stata conferita alla banca la facoltà di disporre, la banca è tenuta a restituire soltanto la somma o la parte di merce o titoli che eccede rispetto all’ammontare dei crediti garantiti.

A prescindere allora dall’asettica e acritica adesione all’una o all’altra teoria, l’esame dell’istituto del patto commissorio e dell’autotutela del creditore, va condotto alla luce di una visione di insieme dei riferimenti normativi in materia.

A tutela del creditore il legislatore ha previsto i rimedi contrattuali e i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica e specifica.

Gli strumenti de quibus necessitano dell’intervento dell’autorità Giudiziaria per essere azionati, circostanza che conferma il monopolio della forza attribuito allo Stato e che ai privati è fatto divieto di farsi giustizia da soli. Tale logica ispiratrice dell’ordinamento è confermata dal divieto del patto commissorio, che impedisce al creditore di appropriarsi unilateralmente del bene dato in garanzia, preserva la par condicio creditorum, conferma il principio di tipicità delle cause di prelazione, preserva le ragioni del debitore quale parte debole e conferma infine il divieto di farsi giustizia da soli.

Tali conclusioni non sono smentite dall’apertura del nostro sistema giuridico alla c.d. cautela marciana che per certi versi  può sembrare depotenziare il divieto del patto commissorio e facoltizzare l’autotutela, ma che a ben vedere riconferma tale divieti, considerato che si presenta piuttosto come un patto la cui conclusione è consentita in via eccezionale ed entro ristretti limiti.


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Morena Campana

Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza nell'A.A. 2012/2013 presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma con tesi di Laurea su "PROFILI GIURIDICI E MEDICO LEGALI DELLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA", si è diplomata nel 2015 presso la Scuola di Specializzazione per le professioni Legali dell'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel 2016.

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