Il fenomeno Stalking: una piaga sociale, un cantiere aperto

Il fenomeno Stalking: una piaga sociale, un cantiere aperto

Stalking, come è evidente, è il gerundio del verbo anglosassone “to stalk”, verbo attinente alla caccia, che non ha un verbo corrispondente in italiano, bensì varie espressioni: pedinare la preda, avvicinarsi alla preda di nascosto attendendo il momento adatto per colpire. In ambito venatorio quindi stalking è il comportamento del predatore nei confronti della preda, esso si avvicina, la osserva, magari fa sentire la sua presenza senza farsi vedere, attendendo il momento propizio per agire [1].

Del fenomeno in questione è possibile parlare da vari punti di vista, in via principale però si può considerare l’argomento da due prospettive: quella psicologico-sociale e quella giuridica. Data la complessità della materia in oggetto infatti è necessario inquadrare innanzitutto lo stalking nella realtà quotidiana e nell’ambiente di vita classico a cui siamo abituati. È del tutto inutile limitarsi a considerazioni meramente astratte e distaccate, è utile invece vedere come la gente considera e vive lo stalking, è utile analizzare il fenomeno nella sua evoluzione e nelle sue cause: come qualcuno inizia a stalkizzare e perché lo fa, come la vittima reagisce a questi comportamenti, cosa accade nella mente dello stalker. Una volta delineato l’aspetto psicologico-sociale sarà necessario vedere come viene affrontato oggi questo reato dall’ordinamento, quali comportamenti si consiglia alla vittima di seguire e come lo Stato tutela i cittadini nei casi di atti persecutori.

Sembra un’ovvietà dire in primis che lo stalking esiste dall’alba dei tempi, trattandosi di un fenomeno umano è difficile immaginare il contrario, infatti lo stalking non necessita di strumenti particolari per essere messo in atto, chiunque può essere uno stalker. Verrebbe da domandarsi, dopo una considerazione del genere, perché il fenomeno sia stato preso in seria considerazione solo in tempi relativamente recenti, la risposta è semplice: fino a poche decine di anni fa i rapporti tra gli individui erano più improntati al possesso, il marito possedeva la moglie come un oggetto, se un uomo, magari nel 1901, lasciato dalla moglie decideva di perseguitarla, la cosa non suscitava scandalo. Qui si apre un altro particolare spunto di riflessione che verrà approfondito in seguito, l’esempio del marito e della moglie infatti non era casuale, lo stalking ha visto quasi sempre come aguzzino l’uomo e come vittima la donna, anche se ci sono stati numerosi casi contrari, questione di statistica.

Molti sono gli studiosi e le istituzioni che si sono concentrate sul fenomeno, tra i primi spicca Harald Ege, psicologo tedesco che ha studiato a fondo le condotte persecutorie di mobbing [2] e stalking, tra i secondi spiccano l’FBI, i governi di vari Stati, il RIS dei Carabinieri, l’AIPC ecc. Lungo e travagliato è stato il percorso che ha portato a dare una definizione di stalking vera e propria e la strada da fare è ancora tanta, al momento attuale però è possibile, sempre in linea del tutto generale, fornire una definizione psico-sociologica di stalking: “esso è una relazione patologica in cui un individuo (lo stalker) mette in atto un comportamento assillante, intrusivo e indesiderato di approccio, intimidazione, controllo, verso una persona (la vittima) nella quale si genera una condizione di paura tale da comprometterne la salute psichica, fisica e sociale” [3]. Dunque si ha una reiterazione delle condotte dello stalker che genera delle reazioni negative nella vittima, reazioni che purtroppo sono spesso sfociate nelle lesioni gravi, nel suicidio, nell’omicidio del soggetto malcapitato.

Prima di passare all’analisi del fenomeno nella sua evoluzione tipica è interessante notare il preoccupante dato statistico italiano fornito dall’ISTAT: “Quasi tre milioni e mezzo le donne italiane vittima di stalking almeno una volta nella vita. Più di due milioni quelle perseguitate da un ex partner. Cifra simile per le donne che dichiarano di essere state molestate da uomini diversi dall’ex compagno. Nonostante le denunce siano aumentate dall’introduzione della legge nel 2009, la maggioranza delle donne (il 78 percento) scegli di non agire contro il proprio stalker. I dati dimostrano però che le vittime che scelgono di rivolgersi alle forze dell’ordine, spesso riescono a bloccare i comportamenti persecutori.” [4] L’Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia ci dice inoltre che nell’86% dei casi lo stalker è un uomo e la vittima una donna.

Vediamo innanzitutto le varie tipologie di stalking, perché effettivamente esistono vari tipi di stalking, anche se non universalmente riconosciuti, infatti vari psicologi, enti e sociologi hanno fornito sul reato in questione delle linee guida comprendenti classificazioni diversificate. Le categorie maggiormente riconosciute a livello mondiale sono lo stalking c.d. delle star, che si ha nel caso in cui il comportamento persecutorio venga attuato ai danni di un personaggio dello spettacolo da parte di un ammiratore o di un soggetto vicino, lo stalking affettivo, il più comune, che si ha nel caso in cui carnefice e vittima siano stati legati in passato da relazione affettiva ormai cessata per decisione di uno dei due senza la condivisione da parte dell’altro, lo stalking occupazionale, di cui per primo ha parlato proprio Ege, che, differenziandosi dal mobbing, vede nell’ambiente lavorativo solo la sua causa, svolgendosi poi anche negli ambienti privati della vittima [5]. Secondo Harald Ege ci sono sette parametri dai quali è possibile desumere che la situazione ricada nella sfera dello stalking.

Il primo parametro è l’ambiente, lo spazio d’azione in cui il reo compie la sua persecuzione, l’ambiente è la sfera privata del soggetto vittima (nel mobbing sarebbe invece solo la sfera lavorativa).

Il secondo parametro è la frequenza, questo parametro ha posto numerosi problemi a livello internazionale, quanti comportamenti occorrono e quanto devono essere frequenti per poter parlare di stalking ? Secondo Ege è necessario che vi sia un comportamento persecutorio a settimana per almeno tre mesi, molti Stati però non hanno condiviso questo modo di intendere il parametro di Ege, con la motivazione che la condotta potrebbe sfociare in conseguenze terribili in meno tempo e che non sarebbe possibile aspettare tre mesi per scoprire se la condotta sia effettivamente stalking fornendo perciò protezione alla vittima.

Anche lo Stato italiano si è posto il problema, da noi la classificazione in termini di stalking è affidata al giudice e a consulenti psichiatrici, anche se non si perde tempo (purtroppo ci sono alcune eccezioni) a fornire protezione alla vittima che ha denunciato in attesa del processo. Il parametro che dovrebbe prendere come riferimento il giudice è cangiante, una recente pronuncia della Cassazione, precisamente la sentenza della Cassazione penale V sezione del 28 febbraio 2011 n. 7601, ha ribadito che anche due sole condotte sono sufficienti ad integrare la reiterazione di cui parla l’articolo del codice penale riguardante lo stalking, purchè abbiano causato le conseguenze di cui al medesimo articolo. Il Tribunale di Milano parlò addirittura di singola condotta. Non è secondo molti un parametro condivisibile: nell’era smart due condotte sono pochissime, si pensi ad un ragazzo che, essendo timido, contatta via social una ragazza scrivendo un messaggio al giorno per due giorni senza poi proseguire più, la ragazza particolarmente impressionabile potrebbe ben sentirsi perseguitata, si avrebbe un povero malcapitato accusato di stalking dinanzi a un giudice per due messaggi. Di fatto la parola della suprema Corte al momento attuale è quella appena spiegata, anche se la situazione viene valutata caso per caso, il parametro di Ege è riconosciuto ma non condiviso nella sua esplicazione (si ricorda, una condotta a settimana per tre mesi).  In tal senso, illuminante potrebbe risultare la sentenza della Suprema Corte Penale, V sezione, del 2 gennaio 2019 n. 61, nella quale non è stato tenuto conto del lasso di tempo nel quale è avvenuta la reiterazione, ma della reiterazione stessa (una telefonata e dodici messaggi minacciosi), che ha portato alcune delle conseguenze tipizzate dall’art. 612-bis nella vittima.

Il terzo parametro è la durata, di cui si è parlato sopra congiuntamente al secondo parametro.

Il quarto parametro riguarda il tipo di azione, ci si riferisce sempre ad azioni afferenti ad un qualche tipo di violenza, che sia psicologica, fisica, economica, sociale e quant’altro.

Il quinto parametro è, sempre secondo Ege, il dislivello tra vittima, che si trova in posizione di svantaggio, e persecutore, che si trova invece in grande vantaggio, potendo colpire in ogni tempo e modo, si immagini il terrore della vittima che è costretta a vivere nella costante ansia e paura che il suo stalker possa colpirla.

Sesto parametro è individuato dall’andamento per fasi del comportamento del reo e della vittima, infatti ci sono fasi mentali e fisiche nella condotta di stalking: la prima fase è la relazione emotiva conflittuale (un legame passato interrotto dalla vittima, un legame mai esistito desiderato dal carnefice ecc); la seconda fase è quella dell’azione dello stalker (pedinamenti, telefonate assillanti, messaggi, tentativi di intrusione in casa, tentativi di violenza, aggressioni, omicidi, induzioni al suicidio ecc.) incapace di accettare il rifiuto della vittima; la terza fase è rappresentata dalle conseguenze psico-fisiche che si hanno nella vittima (ansia, paura, dolore fisico, patologie da stress ecc.); quarta ed ultima fase è lo scontro finale tra vittima e reo in cui si ha la conclusione della vicenda (un processo, un omicidio ecc.).

L’ultimo parametro è nell’intento persecutorio dello stalker, che può cercare un legame con la vittima o una vendetta o un piacere nel vederla star male.

Quali comportamenti è consigliato di tenere alla vittima ? La risposta è ovvia ma non scontata, il primo e più importante consiglio è di denunciare, cosa che nella maggior parte dei casi la vittima non fa per paura di ritorsioni o perché si sente ancora affettivamente legata al suo carnefice. Il secondo consiglio è di non stare mai in solitudine, perché questo renderebbe più facile il lavoro allo stalker e renderebbe più indifesa la vittima, il terzo consiglio è di non rispondere alle lettere o ai messaggi o alle chiamate sconosciute, facendolo si cadrebbe in un abisso fatto di contatti assillanti improntati all’intimidazione ed al “lavaggio del cervello”. Il quarto consiglio è di non demordere e non ritirare la denuncia una volta fatta.

Come si è anticipato in precedenza lo Stato Italiano ha approntato delle difese dal reato di stalking, ma lo ha fatto in ritardo, in molti altri Stati si è provveduto prima in tal senso, negli USA già degli anni ’80, in Austria nei primi anni ’90.

Perché in Italia si è provveduto in ritardo ? Semplicemente perché la vicenda è stata per anni tollerata da una società maschilista e patriarcale, arrivando a suscitare clamore mediatico solo tra il 2007 e il 2009, anno in cui venne introdotto l’articolo 612-bis del codice penale.

Proprio l’articolo 612-bis prevede la punizione per il reato di stalking, l’articolo porta il titolo di “atti persecutori”, i primi due capoversi recitano: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.” Va notato come l’articolo rispetti la definizione di stalking data dalla psicologia e dalla sociologia, infatti affinché si ricada in questo reato è necessario che le condotte siano reiterate, che ci siano minacce o molestie (anch’esse punite dal codice penale laddove non configurino stalking, ma con pene minori, artt. 610 e 612 c.p.), e che vi siano (alternativamente) delle conseguenze, quali la paura e l’ansia, psichiatricamente accertabili, il timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, o di persona alla vittima legata da relazione affettiva (da notare che il legislatore, compiendo un errore grammaticale, abbia lasciato intendere che tutelata sia la persona legata al prossimo congiunto, la giurisprudenza è unanime nell’affermare il contrario) e la modificazione obbligata delle abitudini di vita, qui ci si ricollega all’osservazione precedentemente fatta sull’eccessiva ampiezza dell’articolo: prima si è fornito l’esempio dei due messaggi su social utili a ricadere nel reato di cui si parla, anche in quest’occasione si può fare un’osservazione simile, infatti la modificazione delle abitudini di vita può comprendere una miriade sterminata di casi, si potrebbe a questo punto dire che i due messaggi e una piccola modificazione di abitudini possano configurare stalking in un caso magari in realtà molto più blando: si tratta di piccole sviste del legislatore che potrebbero portare ad un eccessivo ampliamento della casistica riconducibile allo stalking.

Il secondo comma evidenzia il fatto che la pena sia aumentata, quindi maggiore dei 5 anni del primo capoverso, se lo stalker sia stato legato affettivamente in passato alla vittima o sia stato suo coniuge, questo perché in casi come questo le violenze psicologiche sarebbero ben peggiori: lo stalker in una situazione del genere conoscerebbe bene la vittima ed i suoi punti deboli, anche quelli più reconditi. In Italia destò scalpore un caso in cui lo stalker, ex marito della vittima, conoscendo la sua sofferenza per non essere riuscita ad avere un bambino, si divertì a torturarla mandandole continuamente foto di feti morti. Inutile dire che le precedenti relazioni col proprio carnefice prestano il fianco a conseguenze devastanti in caso di stalking, addirittura più devastanti di quelle derivanti da condotte persecutorie di uno sconosciuto.

La pena risulta aumentata poi anche nel caso in cui, per stalkizzare, si usi un mezzo informatico. Naturalmente, come sopra esposto, la situazione va valutata caso per caso ed occorrono le determinate e tassative conseguenze nella psiche della vittima, ma anche qui si cerca di difendere i soggetti malcapitati dal fenomeno dilagante del cyberstalking o comunque dei reati contro la persona posti in essere attraverso un computer.

La legislazione in materia si evolverà senz’altro seguendo le linee generali adottate da altri Stati più evoluti nella difesa da questo fenomeno, ma al momento attuale, in caso di stalking, la parola d’ordine rimane una: denunciare.


[1] In questo senso, G. De Simone, “Il delitto di atti persecutori”, Aracne, Roma, 2013, p. 10.
[2] La differenza con lo stalking, si ricorda, è a grandi linee riguardante a) la limitazione del mobbing all’ambiente lavorativo e b) l’obiettivo persecutorio limitato all’esclusione del lavoratore da quell’ambiente o al suo sfruttamento.
[3] Cit. V. Caretti-C. Craparo, Prefazione all’edizione italiana del libro di W.R. Cupach e B.H. Spitzberg, “The dark side of relationship pursuit. From attraction to obsession and stalking”, Lawrence Erlbaum Associates, Inc., New Jersey-London, 2004.
[4] Per i dati tabellari e la citazione: http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/09/28/news/stalking-tutti-i-dati-1.311036.
[5] Così, G. De Simone, op. cit., p. 32.

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Antonio Sticchi

Sono l'Avv. Antonio Sticchi, attualmente Ufficiale di Stato Civile, Anagrafe, Ufficio Elettorale e Leva in un piccolo comune del Salento. All'età di 24 anni, nel 2017, mi sono laureato in Giurisprudenza presso l'Università del Salento ed ho subito intrapreso il percorso di praticantato forense e notarile, coltivando al contempo la mia passione per la materia economica. Nel 2020, all'età di 27 anni ed in piena pandemia, ho superato l'esame di stato per l'esercizio della professione forense. Dopo un breve periodo nella Polizia di Stato, ho deciso di aprire un mio studio legale, per poi vincere di lì a poco un altro concorso pubblico per la posizione che attualmente ricopro. Per il futuro ho in programma di non fermarmi mai, di arrivare sempre più in alto. Qualcuno vuole venire con me ? La compagnia è ben accetta. Stay hungry ! Stay foolish !

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